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Nun (in tre versi)

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  Non costringerò in tre versi l'odore di mirto  dei tuoi lenimenti e il suono d'argento  delle tue nenie di consolazione

La confessione

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  Foto di Sergio Daniele Donati Su Musica di Dmitri Shostakovich Suite from Lady Macbeth “ M'ha costretto un coltello, una lama sottile, avvocato, a diventar barocca. Là, nelle stanze in cui pesavano più le parole che un cuore che batte, ho imparato, a trovar rifugio.  Mie compagne sono state le metriche strette, le cadenze fisse e senza scampo. Là nelle camere ove soffocavano la bambina, ho appreso l'arte della sopravvivenza. E mi sono nutrita di larve di sentimenti, catturati dalle ragnatele; della parola. Tutto era buio e prevedibile, là. Ora lei mi guarda, e forse non capisce. Ma il suo silenzio urta e incalza. Vuole che continui, desidera cenni di significato cui applicare la sua logica stretta. Il suo pensiero alto cerca di armonizzare il mio racconto con categorie astratte: norme, fattispecie, esimenti e aggravanti. Ma il mio è reato non previsto da alcun codice. Un assassinio, se vuole, cui manca l'elemento soggettivo della vittima. Allora confesso, perché lei

Dialoghi poetici coi Maestri 5. - Rainer Maria Rilke

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  Rainer Maria Rilke -  Foto di repertorio PRIMA ELEGIA Chi mai, s’io grido, m’udrà dalle schiere celesti? E d’improvviso un angelo contro il suo cuore m’afferri, − io svanirei di quel soffio più forte. Ché il bello è solo l’inizio del tremendo, che noi sopportiamo ancora ammirati perché sicuro disdegna di sgretolarci. Sono gli angeli tutti tremendi. Così mi trattengo e soffoco in gola il richiamo d’un oscuro singhiozzo. Chi mai ci aiuterà? Né gli angeli ahimè né gli umani – e gli animali sagaci ormai sanno che non molto tranquilli noi stiamo di casa in una foresta di segni. Un albero forse ci resta lungo il pendio, da rivedere ogni giorno; ci resta il cammino di ieri e la fedeltà viziata di un’abitudine, che presso di noi si compiacque e non se n’è andata e rimase. E la notte, oh la notte, quando il vento del mondo il viso ci scava, − a chi mai non rimane, l’agognata, che soavemente delude, e grave attende il cuore del solitario? È forse più lieve la notte agli am

Mem (in tre versi)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Sovrano di rame, ti prego, distilla gocce materne e carezze per la nuca di mio figlio dalle melme acide dell'abisso.

Dialoghi poetici coi Maestri 4. - Jorge Luis Borges

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  Jorge Luis Borges -  Foto di repertorio DIMENTICANDO UN SOGNO Tratto da La cifra (Mondadori, 1982) trad. it. D. Porzio Nell’alba dubitante ho avuto un sogno. So che nel sogno c’erano più porte. Il resto l’ho perduto. Il mio risveglio ha lasciato svanire stamattina quella favola intima che adesso è più inafferrabile dell’ombra di Tiresia o di Ur dei Caldei o dei corollari di Spinoza. Ho passato la vita decifrando i dogmi che avventurarono i filosofi. È noto che in Irlanda un uomo disse che l’attenzione di Dio, che mai dorme, raccoglie eternamente ogni sogno ogni vuoto giardino ed ogni lacrima. Continua il dubbio e la penombra cresce. Se sapessi che è stato di quel sogno che sognai, o che sogno aver sognato, saprei tutte le cose. ________________________________ SCORIE DI DESIDERIO (Sergio Daniele Donati - 2021 - Inedito) Sulla linea di fuoco del sogno siamo ermeneuti affannati dal segno che scolora; ne decifriamo in fretta i tratti sbiaditi prima che inchiostri simpatici lascino scart

Felicia Buonomo - Quattro poesie tratte da "Cara Catastrofe" (Miraggi Edizioni, 2020)

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Foto di Felicia Buonomo Mi parli del tempo che distrugge, della ribellione che non c'è, della dignità frantumata sotto il peso di parole rabbiose. Fai l'elenco delle mie colpe con la stessa voce di chi urlava “Barabba!”. Mi ricordi che anche il figlio di Dio è fatto di carne che sanguina e muore. E che nessuno aspetterà, per me, il terzo giorno. Mi siedo al banco degli imputati. La mia parola contro la tua. Mancanza di prove di felicità – dichiaro. La verità, nient'altro che la verità: il dolore è l'unico sentimento che mi lega a te. È tutto quello che ho da dire, Vostro onore. Quando ti abbraccio non sento l'amore che non ricevo ma il disprezzo che non ti dono. Ti sento precipitare nel pozzo delle infinite possibilità per cui mi implori. Implorare è sempre stata la tua costante. Nel bene e nel male. Finché morte – mia, per mano tua – non ci separi. Esatta come il dolore dei pezzi che perdo, sicura come le lacrime che non comprendi. Non ho paura di morire, lasciare

Lamed (in tre versi)

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Tra il trono e l'abisso il cuore del Maestro insegna passi di ritorno. 

Notturna 2

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  Foto di Sergio Daniele Donati poesia esile/poesia esule Leggi questo verso e accogli, ti prego, la dissonanza delle mie parole testarde (tace la notte, a volte, il canto delle stelle). Sorridi, ti prego, al raglio d'un uomo inetto, incapace di dire del soffio del Silenzio su un volto rigato dai fili di ferro della Memoria.

Kaf (in tre versi)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Prende, trattiene e assimila altrui parole e silenzi la corona della saggezza.

Dialoghi poetici coi Maestri - 3. Konstantinos Kavafis

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Konstantinos Kavafis  - Immagine di repertorio MURA Senza riguardo, pudore, compassione mi han costruito alte mura tutt'intorno. E ora sto qui seduto a disperarmi. Non penso ad altro: mi rode questa sorte; perché avevo da fare molte cose fuori. Mentre la costruivano, come non mi accorsi? Non udii mai strepiti e voci di muratori. Inavvertitamente mi hanno escluso dal mondo. (Konstantinos Kavafis - tratto da "Poesie scelte" 2025 Crocetti Editore trad. dal greco Nicola Crocetti) LE DIMORE Ogni ritiro è foglia e linfa, e sudore su palmi, meticci. Non mi appartengono quei palmi, né le mani. E dimorano nei miei polmoni ossigeni altrui. Trovo riposo in cucine, tra odori di spezie inusuali. E suoni di lingue sconosciute cullano il ricordo di me bambino. Il luogo del mio ritiro è dove il mio nome non varca soglia. Perché fu nella lingua dei miei avi che il palato di mio padre pronunciò quel nome, luce rifiutata d'un seme di coscienza. (Sergio Daniele Donati - 2021 Inedito)

Iod (in tre versi)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Sono piccole e sottili e strette. Fiamme d'ambra nei sogni dei nostri figli. Foto di Sergio Daniele Donati

Tet (in tre versi)

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Tet (disegno e foto di Sergio Daniele Donati) Di nove argille si compone il creato. L'ultima sigla il patto e dona i ritmi  alle danze delle donne, d'estate.

Sbagli

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  "Sali o scendi?" foto di Sergio Daniele Donati Ciò che nasce storto non si raddrizza certo solo perché un raggio di sole lo illumina . Questo pensava mentre aspettava l'autobus alla fermata. E di tutte le sensazioni di rinascita della sera prima non rimanevano che tracce mendaci. Del vuoto che si colma, del vaso - da sempre crepato - che trattiene finalmente liquidi d'oro, e si colora di nuova vita non restavano che cocci e teste; a terra. Ciò che nasce storto non si raddrizza certo perché un raggio di sole lo illumina. E i suoni ovattati della città, le risate dei bambini per strada, i colori e i profumi di una Milano dalla bellezza crudele, che in altri momenti gli avevano riempito di senso la vita, diventavano opachi e grigi. Nulla – ma nulla davvero – lo distoglieva da quel pensiero. La pelle, maledetta pelle, trattiene odori estranei e li mescola ai propri desideri. La sua pelle era ormai l'unica testimone di una notte di oblio, in cui tutto sembrava poter

HISM (how I saved myself)

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  Fire dance (foto ricavata dal web) Ispirato al brano di Joy Grifoni HISM Inizia sempre con un mugugno. Un borbottio lento, per farsi intuire, celando le proprie perle dietro suoni gutturali e sgraziati. Arrivano poi dall'alto messaggeri e messi; annunciano raccolti e guerre, urlando a orchestrali svogliati cadenze e percussioni, ritmi e accenti. E prende ritmo un dire per non dire, il suono che tutto crea, la parola in movimento. Senza senso, né fil di lino, è in ogni parola la sola impellenza di parlare e nominare e emettere suono. È così che si salva il nocciolo senza tempo d'ogni scrittura; celandosi ritrosi - vergini sotto lo sguardo di desiderio di uomini vissuti - a ogni significato, soffiando su fili d'erba primaverile venti lontani, aedi dell'antico (nel presente). Fui testimone distratto, poi scudo e corazza, infine sciamano. Là, nella terra dove tutto si forgia tra colline di silenzio; dove il falco taglia il cielo che lo sostiene e l'ossimoro spezza la

Il buio acceso di Flavia Tomassini

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  Foto di Flavia Tomassini   Foto e inedito si pubblicano su gentile concessione dell'autrice Parla con me o non parlare affatto, stendi le lenzuola pulite nella stanza a fianco lascia per me un cuscino e chiudi la porta. Spegni il lume se ne tieni uno, che la notte consumi il buio e si accenda come la bocca che non hai baciato. Conoscersi fa paura. _________ BREVE NOTA BIOBIBLIOGRAFICA :Flavia Tomassini (Roma, 1985) ha pubblicato nel 2008 la sua prima silloge poetica “Muschio e Selva” edita da Il Filo. Suoi inediti sono presenti in rete su riviste e blog letterari fra cui “Critica Impura”, “Poesia Ultracontemporanea”, “Poetarum Silva”, “Larosainpiu”, “Poeti del parco” e “Transiti poetici”. Un suo testo è apparso nella rubrica “La Bottega della Poesia”, curata da Gilda Policastro, su La Repubblica.

Rinascita

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Foto di Sergio Daniele Donati   Tu non sai perché esisti, né sai da dove vieni; ma il bambù nelle sere d'estate ti parla, e in ogni istante respiri. Lumi lontani, non potevi che scorgere fuochi fatui del Vero. Eppure, nelle notti d'inverno il vento (messaggero) ti sembrava intonare lodi alla fertile assenza; e il bambù (suo scudiero) danzava danze guerriere su ritmi tribali. Luci sperse e buio interno, hai dovuto aerare radici profonde e fare di te stesso talea in nuovi suoli. Il tuo canto è ora Silenzio, il tuo sguardo abbraccia il grande e non trascura l'atomo. Canna di bambù ti sei piegato allora alla brezza del dolore, là, dove radici cieche e profonde hanno tratto nutrimento da ferite purulente. Perché tua è la facoltà di trasformazione. Là, d'improvviso, un solo suono è emerso dal suo sterno. E nel tuo sguardo bambino hai colto il senso crudele e profondo d'ogni separazione. Alla sensazione che ieri  chiamavi vera, oggi dai un nome diverso. E il tuo sgua

Nella Fucina della Parola

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Che poi si cerchi anche il plauso dalla Fucina della Parola è cosa certa e antica. Un dire diretto per colpire in chi legge la vertebra dell'assenso. O, al contrario, un parlare sommesso lasciando intendere vi sia ben altro di non detto; solletico, questo, all'articolazione malsana della curiosità. La parola è costituita di materiale neutro, prezioso e grezzo nella Fucina della Parola; e là parlare (o scrivere) senza porsi il problema del limite (del detto o del taciuto), così rispondendo solo ad una legge antica e piccola che ci vuole schiavi di ciò che pretendiamo di dominare, è permearsi di una piccolezza che non giova a chi scrive, né a chi legge, né alla parola. L'Artigiano, pur miope, nella fucina raccoglie la gemma grezza e la pulisce da detriti millenari; bisbigliando formule sacre e antiche che ne risveglino il potenziale di stella o il ritmo costante della risacca del mare o profumi mediorientali d'eucalipto o mirto. Si dimentica l'Artigiano d'avere

Het (in tre versi)

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  Disegno e  foto di Sergio Daniele Donati Lo chiederà a te il cambiamento,  e tu sorridi, chi non ha coraggio,  né un passo bambino verso la Porta di Fuoco

Ti benedica - יְבָרֶכְךָ

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  Paul Klee - All'inizio A mio figlio Gabriel  e a chi ne sorregge i passi Lo chiedo a te che scivoli tra le pieghe di lemmi stentati, balsamo e olio sacro sulle ferite  d'un uomo piccolo, benedici quell'ossidiana pura e non ricada sul figlio l'inciampo del padre, e traggano giovamento dal soffio che crea gli accenni di peluria sulle sue labbra. Accolgano  i tuoi volti una voce che cambia e assume timbri di muschio e sgretola in briciole  sacre ricordi d'assenza. M'hai donato facoltà di procreare, ora incidi un solco profondo tra padre e figlio e siano d'ambra e oro antico i ponti stretti tra passato e futuro. Si rivolga alla terra del ritorno, solo dopo lungo viaggio verso lo straniero, il suo passo. E fa che dimentichi, e poi ricordi, un padre che inciampa e balbetta a ogni respiro, e dedica ogni sforzo a tornare eretto in tempo per vedere la tua pace e i tuoi volti volgersi al figlio, e dimenticarsi infine del mio nome. Sia perfetta ai tuoi occhi la trasm

Che poi, se manca

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Davìd di Gian Lorenzo Bernini (particolare)   Che poi, se manca l'apnea al sorriso, il balzo all'incontro, il silenzio alla parola, la vita stinge e scolora e acari invisibili ne corrodono la tessitura. Se manca un “eppure” alle nostre certezze, un “altrove” alla nostra dimora, una “sincope” ai nostri ritmi piani, la vita sbiadisce e infeltrisce e strappi d'usura ne lacerano il ricamo. Se manca lo sguardo ritroso al bello, la timidezza al gesto, la titubanza alla prima nota, la vita collassa e implode sotto il peso d'un sogno mal posto e immemore della balbuzie creativa del neonato. Si piega su se stessa la vita se manca la memoria, se vive di ricordo, se manca di slancio, se incapace di stasi. Si piega, come si piega un foglio di carta perché diventi aeroplanino da lanciare lontano.

Sparring partner

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  Dicono che sia nata prima la seconda gobba sul mio naso che i miei denti da latte. Parloai, scribacchini, gente capace solo di vedere negli altri un volto; alla volta. Io, certo, paro, colpisco e schivo e ogni tanto capita che aggiunga nuove gobbe al mio nasone. E rido, rido rido; ormai il mondo non ha più strumenti per farmi triste. Oh, sì, c'è stato un tempo (io lo ricordo) in cui il mio naso era dritto che sembrava la giusta ipotenusa per i cateti che congiungono labbro superiore e centro della fronte -  e centro della fronte e sopracciglia. Si è rotto - il nasone - per una disattenzione, forse. Avrei dovuto colpire prima io. Ma nel pubblico c'era lei, e non potevo vincere, che non è nelle mie corde ignoranti la stoffa del campione. Io per gli altri non vinco. Perdo per loro. Le prendo, resisto, mi rialzo e rido; per gli altri. E poco importa se in pochi capiscono il messaggio. Dicono, ridendo delle gobbe sul mio naso, che in fondo era scritto che non avrei mai vinto nient

Due poesie di Flavio Malaspina

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  Ritratto dell'Autore - foto di AC (si pubblica su sua gentile concessione) LISCHE Ci sono cose che non si possono dire si posano dentro la bocca scivolano in fondo alla gola e pesano come macigni. È geologia dell’ansia tettonica dell’angoscia, tolgono il fiato e nel loro movimento tellurico annientano la parola e fanno della voce tremore. Perché ci sono cose che non si possono dire. Restano laggiù come enormi e candide lische di estinti cetacei. RESPIRARE La vita a venire sarà a levare finalmente sarà esistenza respirare. ____________________ BREVI NOTE BIOGRAFICHE : Flavio Malaspina nasce a Milano nell’ottobre del 1959.Cresce nei quartieri popolari della “Cagnola” - “Villapizzone” e Bovisa. Scrive da sempre e da sempre ama la poesia. Ha pubblicato due silloge : “Il dopo è solo per gli dei” edizioni Controluna 2019 e “la dispensa del ragno” edizioni DivinaFollia 2016. Vive a Trezzano sul Naviglio MI.

Arretra e si ferma la parola

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Foto di Sergio Daniele Donati Arretra e si ferma la parola davanti all'essere di silenzio che ne tiene i fili.  La spina dorsale di ogni dire  è una Vav che congiunge l'impronta all'altrove.  Destava stupore ai vostri occhi il mio incedere cauto tra interpunzioni e segni, eppure fu allora per me incanto  la danza dei vostri piedi di roccia in roccia nel fiume.  Che la parola dia vita non lo credo più.  La parola è tradimento e finzione; ogni impulso vitale è, prima del dire, nell'acqua e nel sasso e nel piede vostro che lo sfiora. Praticano dunque ora il disincanto piedi e parole, balzi entrambi per evitare l'umido e stupisce sempre in piedi e scrittura il loro accompagnarsi all'impulso d'avanzare e tacere.

Zain (in tre versi)

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Disegno e foto di Sergio Daniele Donati E tacere del bello che dimora sulla lama del coltello.

Dialoghi poetici coi Maestri - 2. Ronny Someck

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  Ronny Someck - Foto di repertorio GRANO Un campo di grano fluttua sul capo della mia donna e su quello della mia bimba. Quanto appare banale descrivere così  il biondo, eppure, là cresce il pane  della mia vita. Ronny Someck  - tratto da "Il bambino balbuziente" 2008 Mesogea Edizioni trad. dall'ebraico Sarah Kaminsky e Maria Teresa Milano MANGROVIE Siamo mangrovie, Ronny. Le nostre radici si nutrono di cieli umidi  e simboli eterni  giocano a Monopoli con gli sguardi dei nostri figli, senza passare mai dal via. Sergio Daniele Donati  - 2021 Inedito