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Fuggono come frecce

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Scritta ascoltando la musica de  L'Estro Armonico di Antonio Vivaldi E via e via fuggono come frecce intuizioni mal partorite nel buio della stanza lasciano scie di fumo grigio sulle pareti biancastre del mio orgoglio che cola come cola inchiostro dal pennino datemi silenzio datemi silenzio vera china del mio sentire silenzio tra le pieghe di una pagina che avrei voluto semplice e non mostra che grinze e accartocciamenti datemi piume datemi piume leggere piume tra dita che battono a ritmi barocchi sulla tastiera e soffi all'orecchio e carezze sulla nuca e via e via tornano dal nulla i pensieri miei piangono lacrime di noia sulla lama di una spada che fu confine e carezza tra terra e cielo

He

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L'anima cetra arpeggia scale e accordi sottili  eleva gridi d'esistenza  d'un cuore bambino  rende possibile nel canto  l'abbraccio al mondo         l'anima soffio protegge         i passi dei figli del Silenzio         separa semi dalla terra         e li lancia verso un cielo che ride  Mi dicevi “io vado”  guardai a terra inizio e fine del mio mondo         Chi non accoglie         tra sterno e clavicole         un vagito neonato?

Cresce un febbrile di Antonella Lucchini

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Pubblicato su concessione di Antonella Lucchini Cresce un febbrile e sotterraneo lavorio un tramestare di grida sottili nel corpo di quest'aria ormai cicatrice sui tonfi d'autunno. È la prima vera cuccia calda della primavera la mia pelle che inconsapevolmente si cuce al filo del sole. Io che non voglio io che sono un mulinello di foglie secche io vento freddo sugli occhi e fischi nelle ossa mi ritroverò ad avere dita di fiori una volta ancora. Una resa tiepida un chiodo piantato.

Eri piccolo

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A mio figlio Gabriel Lo sai?  Il nuovo soffia sempre sull'antico.  E non è vero il detto.  Esiste tanto d'inaspettato sotto il sole.  Dormivi sul mio torace.  Notti insonni in cui  guardavo il tuo lento respiro,  e pensavo  lo sai? Ogni mio passato  poggia sul tuo futuro.

Altalene e scivoli

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E giunse per lui l'ora, servo della parola, di scendere da quell'altalena. Entrò silenzioso nel parco  dell'infanzia perduta. A chi gli chiedeva  del suo andar lontano, rispondeva il suo sguardo sognante e nostalgico: “Guarda, si è liberato lo scivolo!”

L'avvocato va

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In attesa del dispositivo di sentenza l'altro giorno, mi chiedevo cosa fosse quel lieve disagio. Aveva una collocazione precisa nel mio corpo. Si manifestava come una sorta di piccola vibrazione a livello della clavicola destra; un battito, una pulsazione che faceva cucù alla mia coscienza con ritmo sincopato. E portava con sé pensieri; e portava via da me pensieri. Sono uscito un attimo dall'aula per respirare le polveri sottili di Milano (quelle sì che fanno bene). Poi il cancelliere è venuto a cercarmi. “Avvocato l'aspettano per leggere il dispositivo”. Sono rientrato di malavoglia. L'esito era scontato; l'aveva combinata troppo grossa e la sua recidiva certo non lo agevolava. “Carcere”, avevo previsto. E carcere è stato. “Sì, sì, faremo l'appello. Ci sentiamo presto”, ho bofonchiato distratto al condannato, e sono uscito dal Tribunale. Avrei voluto tornare a piedi in studio; Milano era davvero radiosa. Ma dopo qualche metro ho s

Divertissement

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Scrivere “in levare” e varare piroghe di lemmi in mare; “togliere e limare”, questo bisogna amare se vuoi una scrittura che dura oltre l'ardente pira dell'umano respirare. Non è male il mare, né il fiume di parole, come leggere piume, ma, se a un cuore vuoi arrivare, sia il tuo canto “in levare”, apprendi docile a levigare sospinto lento, lontano da un lieve navigare.

Dalet

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  Johann Sebastian Bach  -   Piano Partita No. 2 In C Minor, BWV 826    (Esec. Martha Argerich ) Davanti a quella porta io mi chino. La scrittura si fa piccola, sempre più piccola; essenziale. Mi dicevi poeta da piccolo. Io, sognante, componevo frasi con le quattro parole che possedevo. “Il cielo, il mare e mamma e papà”, ricordi? Poi mescolai elementi e materie e tu mi dicesti scrittore. Fu un necessario strappo a costringere l'abbondanza dei simboli, ali di rondine per le mie intuizioni, in cassetti inaccessibili, anche a me. Anche a me. Rimanemmo in tre; e ora lentamente svanisci anche tu. Con passo fragile, insicuro, delicato e discreto svanisci. Ti fai piccola ai miei occhi che si chiudono per non vedere. E, mentre a stento varco quella porta, lenta appare in cielo, come scritta di fuoco grigio, la domanda: “Chi mai sosterrà le mie lettere ora, mamma? Chi mai?”.

El m'è mestee (il mio lavoro)

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Se c'è una cosa che del mio lavoro adoro è il suo essere barriera contro le visioni assolute del mondo. Sempre più spesso si leggono interventi di sociologi che spiegano il mondo "solo" in chiave sociologica, di psicoanalisti che lo fanno solo in chiave psicoanalitica, di pedagoghi che lo fanno solo in chiave pedagogica; per non parlare del mondo della religione, della meditazione (che pure pratico e insegno) e delle nuove discipline olistiche da guru.  Persino i linguisti sembrano ridurre spesso tutto a linguaggio. Che poi tutto sia linguaggio è altra questione, che qui non vorrei affrontare.  Noto, in altre parole, una certa difficoltà a passare da un registro interpretativo all'altro; si ricerca una risposta unica, sempre valida, inconfutabile. Il diritto, pur avendo un evidente anelito all'assoluto, sia esso il senso di giustizia o la percezione della sacralità della difesa, o latro, insegna al contrario a valutare sempre ciò che è "l'

L'avvocato pensa

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Messa  in si minore J.S. Bach BWV 232 "Avvocato è con noi, è pronto?", mi chiede il giudice.  Alzo lo sguardo da gufo che prepara la mia discesa in udienza, la maschera che spesso indosso per nascondere l'evanescenza dei miei volti e dei miei pensieri di fronte ai destini di giovani vite.  "Sì certo, dottoressa, quando vuole...".  "Avrà avuto poco tempo per leggere la relazione dei servizi, avvocato. È stata depositata in ritardo solo l'altro ieri. Ha bisogno di qualche minuto per rileggerla?"  "No, grazie dottoressa. Mi è tutto chiaro, possiamo anche cominciare l'udienza".  Il mio sguardo non è più da gufo ora, ma da falco; ho puntato la preda e mi è chiaro che non mi può sfuggire.  Maschera anche questa, pesante maschera; e una leggera sensazione di onnipotenza che mi prende le rarissime volte in cui percepisco la certezza della mia vittoria.  "Bene, allora cominciamo".  Il resto è come

Ghimel

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Su musica di F. Chopin - Notturni, nell'esecuzione di Brigitte Engemor  Gattoni a stento, tenace. Sorridi al sogno.  È argento la sorgente,  spirale del tuo movimento.  Licheni ocra intenso,  vene giocose  per la tua verde linfa,  incidono su pietra antica  la mappa del tuo nome.  Io padre e figlio del sogno,  t'attendo fiducioso.  Sguardo da pastore  verso valli d'anelito,  mi dondolo lento.  Il tuo futuro è battito d'ala  tra i miei occhi.  Apro le braccia, silenzioso;  l'onda della vita canta.  “Vieni Gabrièl, ce la fai!”

Il mio Giorno della Memoria

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Ascoltando il concerto num. 1  per violino e orchestra di Max Bruch  ( Menuhin, Fricsay) Quella lunga nota tesa iniziale. E il tuo pianto, papà. Sei milioni di lacrime.  Come puoi contenerle, papà?  Come può fare una domanda simile un bimbo di sei anni?  E la tua risposta, impaurita: “non lo so, Sergio”.  E il violino che saltella di nota in nota; a me sembrano ossa rotte, spezzate, e grida e urli.  “Perché a noi papà?”.  “Non lo so, Sergio”.  E i tuoi occhi, le tue lacrime.  E i miei occhi che non capivano, non capivano.  Né capiscono ora; e saltellano nervosi e umidi da un nome all'altro; anche inventato, ché tanto tra i sei milioni di morti uno che si chiamava così ci sarà stato, no?  Quante volte, papà, ho ripetuto nomi immaginari, incapace di contenere quelli veri.  Una memoria diffusa, straziante e senza esito.  Già, io non contengo. Esplodo.  E mi dondolo lento, gli occhi chiusi, come facevano loro prima...dell'indicibile.  Non

Bet

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Filtravano raggi di luna piena  dalla soglia del tuo rifugio.  Dentro, nel tepore, gorgogliavano  docili note di sorgente pura.  Fu mia la scelta; il primo passo,  là fuori, nel bosco della narrazione.  V'incontrai silenzi, parole, balzi,  e crescite e diminuzioni  della voce che mi abita.  E, nelle notti di luna nuova,  volto lo sguardo alla tua soglia;  e mi culla la nostalgia  del mio lento ritorno.

La scrittura di un bambino

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Solleva la mano il figlio del soffio. Del duro mondo colora la scorza, ricompone lo scheletro, riattiva il cuore, perdendosi tra colline e pianure del suo primo stentato tratto. E si gonfia lo spazio, e si piega il tempo per quella mano incerta benedetta dalle stelle, carezzata dal vento, coperta dal velo sublime dell'eterno rinnovarsi delle stagioni delle parole.

Ricordo

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Il ruscello alterna crepitii a mugugni. Gorgoglia, poi tace. Ne seguo il ritmo; e mi parla  il sasso che,  lanciato lontano, mai torna a galla. Francesca attende. Mi guarda stupita: "Fai piano, è la tua vita".

Alef

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Sorgente silente,  sussurri ai miei orecchi parole arcane.  E ti celi in un universo che non ti contiene;  nel Silenzio che è prima di ogni vagito.  Ti ho vista dietro l'Albero  cantare nenie a un popolo ilare.  E ho visto i loro sguardi umidi  in quel suono senza suono  che tutto smuove, nella memoria;  Ho smesso di cercarti; certo che  sarai tu a trovarmi nel sogno,  compagna evanescente  dei miei giochi d'elevazione. 

Padre

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Ispirato alla musica di   “El Hatzipor” di Avishai Cohen  Li ho visti ardere, potenti e lontani,  i fuochi, padre;  e il fumo saliva, obliquo.  E ho sentito cori antichi  montare come schiuma  dai muschi del bosco.  Tu non c'eri, padre.  O forse mi percepivi  dal vento.  E chissà se per un istante  sei stato fiero  dello sguardo di tuo figlio,  posato sull'orizzonte;  se hai osservato  la mia schiena dritta;  e chissà cos'hai pensato  delle mie mani,  capaci di comprensione, padre.  Ho visto il cielo come fiamma,  nell'ora che precede il sogno;  il nostro sogno, padre.  Da dove viene la mia parola  se non dai tuoi silenzi, padre?  Da dove viene la mia domanda  soffiata lontano, alle stelle,  se non dalla tua assenza, padre? Ho raccolto poi nella via  amori e speranze.  E chissà se hai sentito  il tamburo del mio cuore  battere un ritmo tribale.  Da dove viene il richiamo dell'abbraccio,  se non dai tuoi slanci  t

Tatuaggi (la consapevolezza dei)

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Io non so se ti appaia banale; versando l'acqua in un vaso la terra muta colore.  Diventa quasi nera; assorbe scurendosi la qualità di un liquido puro, limpido, trasparente.  Così funzionano le relazioni umane. E per certo per queste vie si è articolata la storia del nostro incontro.  Ci siamo adombrati nella speranza di poter accogliere la purezza dell'altro.  Eravamo entrambi malamente drenati; non siamo stati capaci di trattenere dell'altro i significati più profondi.  Una purezza troppo limpida, la nostra, per risultare accettabile.  La si doveva sporcare con il fango delle nostre paure e poi espellerla; abbiamo dovuto lasciarla esondare coi detriti del nostro passato dal sottovaso del nostro amore.  Un amore, il nostro, ancora troppo infante per saper respirare da solo; come terra in un vaso, alla fine ci siamo scuriti noi.  L'acqua, l'amore faranno i loro voli; percorreranno le loro imperscrutabili vie d'elevazione per tornare puri. 

Lamed e Iod

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Lamed e Iod.  Due lettere ebraiche su cui sono stati scritti milioni di pagine e i cui simboli non si è mai cessato di esplorare.  Io non sono certo tra i grandi che hanno soffermato il loro pensiero su queste due lettere.  Ed è con timore che ne parlo.  La Lamed è lettera simbolo sia di insegnamento che di apprendimento. È la lettera graficamente più grande dell'alfabeto ebraico su cui svetta, quasi a dirci che la tradizione (relazione tra chi apprende e chi insegna) e la trasmissione della Torah, sono il punto più alto della spiritualità ebraica. Se unità alla prima lettera della narrazione, la Bet, si compone la parola Lev (cuore). Non esiste insegnamento/apprendimento fuori dal cuore e l'insegnamento/apprendimento sono il cuore della identità e della narrazione ebraica di sé. La Iod (o yud) è la lettera dimensionalmente più piccola. Simbolo di centro vitale, di concentrazione, di fissità generativa del moto rotatorio della vita, non a caso è la prima

Amare amarene amare

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    Ispirato a "Structure in Emotion"  - A vishai Cohen   (album Lyla) Amare amarene amare  davanti al mare  e, con lo sguardo fisso,  remare, remare,  remare nel re mare.  Amo su lenza tesa,  amare le amarene amare,  e amare l'amore  che strappa  da bruni rovi  more more.  Come scure  che taglia,  amare le more,  primizie d'amore,  nella tempesta che  il re mare  pesta  nel mortaio dell'amore.  E, controcorrente,  remare, remare nel re mare,  mentre lasci  che l'ascia  dell'amore  fenda e spezzi  rovi ed arbusti secchi  di more more.  Amore folle d'amarene  amare.  

Silvestre

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Ispirato a  Ludwig van Beethoven -  Piano Concerto No.3 in c-moll, Op.37 - II. Largo Goccia, e poi goccia,  nota con nota,  passo su passo,  intoniamo leggeri  i nostri verdi canti silvani.  E ci attarda la sera,  tra fuochi diafani,  un gioco antico tra i Volti  di un Dio ironico  che mai si sottrae al nostro incontro  dal passato del suo cielo, stellato.  E se, di lontano, l'assiolo  lancia i suoi monotòni,  rispondiamo ilari  col suono dei nostri flauti.  Poi giunge l'ora  che mai ci spaura.  E chiudiamo gli occhi,  e seminiamo nel silenzio  di muschi e ghiande e fronde antiche  la poesia lontana  del nostro comune sogno.  E ride lieto il nostro Dio  dal futuro del suo firmamento.  Posa la sua mano senza tempo  sulle nuche fertili dei nostri figli.  E sigilla nel presente  il patto che da sempre  fa confluire i tre fiumi del Tempo  nello stesso mare.

Sorriso

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"Sì" , mi disse commosso, "sono stato capace di farlo" . Gli sorrisi, come si sorride al primo impacciato passo di un figlio. "E le ho anche detto che il mio amore sarà eterno" . Fu solo un lampo quell'ombra che si impadronì dei miei pensieri. Poi fu di nuovo un sorriso al primo passo impacciato di un figlio.

Distratto

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La foglia sulla quale  posai il mio piede  apparteneva ad una ben rara pianta,  sconosciuta per lo più  agli asfalti milanesi. Ma la mia limpida via  era ormai segnata,  troppo dritta e chiara per poter percepire la lieve altura  che quella foglia avrebbe potuto rappresentare nel mio cammino. Le posai sopra il piede e continuai a camminare,  distratto!

Oggi descrivo

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Oggi non scrivo. De-scrivo Stasera il pub, come tutti i sabati sera, è colmo di umanità.  Mi ci sono ritrovato, solo, per un imprevisto bidone di un amico. E ho osservato per due lunghe ore la vita manifestarsi. Ho deciso di non scrivere ma di descrivere. E c'era la tavolata di ragazze con un unico amico gay. Indovinate chi fra loro mi guardava mentre io li osservavo. No, oggi non scrivo su quel tavolo, sennò ne viene fuori la Recherche due. E c'era la cameriera stanca che nel prendermi l'ordine mi diceva: "Sergio non ce la faccio più" . Ed io, che oggi descrivo e non scrivo, ho dovuto tagliarmi la mano per non costruire un romanzo su quella piccola frase. E c'era il macho, capelli raccolti con un piccolo chignon alla samurai giapponese, che però non beveva Sakè, ma lemonsoda. E via, taglio l'altra mano per non scrivere un romanzo sul nostro bisogno di apparire ciò che non siamo. E c'era la gnocca dell'est che mi gua

Ho previsto tutto

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Ho previsto tutto.  Il lume di candela, la penna, il foglio bianco ed il volto di Glenn che mi guarda dalla copertina del cd, sornione, pregandomi silenziosamente di dar inizio ai suoi​ canti.  Sì, perché Gould canta,  e non solo attraverso il suo piano. Ho previsto tutto, dicevo, perché solo prevedendo tutto si può dar spazio e voce all'imprevedibile.  Pensavo persino, nella mia nevrosi di controllo, di poter prevedere quando  l'imprevedibile si sarebbe manifestato.  " Assurda pretesa.   Adoro troppo il passaggio dal Preludium alla Allemande perché l'imprevedibile non si manifesti proprio allora. L'imprevedibile non può che manifestarsi "nel" silenzio tra i due tempi", dicevo tra me e me.  E invece l'imprevisto imprevedibile mi ha stupito ancora.  Si è manifestato certo tra quei due tempi, nel silenzio che li collega.  Ma, imprevedibilmente, ha scelto di stupirmi nei suoi modi e non nei tempi. E canto mentre scrivo