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L'ombra Lunga

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Camminando verso il Tribunale dei Minori, febbre alticcia, noto che il sole alle mie spalle proietta sul marciapiede un'ombra lunghissima, diafana, quasi onirica.  Di quelle ombre che, se non trovano ostacoli, possono allungarsi per chilometri sul marciapiede.  Sugli ostacoli, invece, quelle ombre si inerpicano, ci si aggrappano e lì si fissano, diventando più definite e a fuoco.  E se l'ostacolo è una persona che cammina verso di te, l'ombra ride.  Sì perché quella persona sembra restituirtela. "Tieni, ti è caduta per terra. È tua no?". " E certo che è mia", vorrei dire, "sono 53 anni che cerco di liberarmene e tu me la restituisci così, con un sorriso, come se mi facessi cosa gradita. " Ma poi io taccio, la persona incontrata tace,  persino l'ombra tace. Perché lo sappiamo tutti e tre.  Di un'ombra ti puoi dimenticare temporaneamente, ma non puoi perderla per sempre, se non vuoi perdere te stesso. All

Et vous êtes passée

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"Et vous êtes passée Demoiselle inconnue À deux doigts d'être nue. Sous le lin qui dansait" (J .Brel) Non lo dico io; lo dice Jaques Brel nella più lirica delle sue canzoni. Io invece sono un pover'uomo. Un essere banale davvero che ha avuto nella vita il massimo punto di elevazione (e di bassezza) nell'aver capito profondamente quanta ruvidità possa portare ai nostri piedi il fragile e delicato esercizio della "danza su fili di lino". Io sono una pietruzza banale del gretto di un fiume impetuoso che ha avuto come massima elevazione (e punto di bassezza) l'aver saputo dire ai diamanti, zaffiri, perle e giade che ha incontrato un bisbigliato: "Eccomi qui. Ci sono". Io sono il più umile degli allievi davanti al più grande dei maestri.  Un figlio poi, e prima, che ha avuto la massima elevazione (e punto di bassezza) nell'aver saputo dire "Basta, io da ora faccio da padre a me stesso" , propri

Arruffami

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Foto di Trini Schultz Oh sì,  arruffami i capelli che persi,  le idee sulle quali inciampai,  i cieli ove lanciai le mie prime lettere,  e poi confondimi i lemmi, le radici, le punteggiature,  e, te ne prego, fammi ancora rotolare,  ridente e per nulla risentito,  nei tuoi chiasmi, nei tuoi ossimori, nelle tue iperboli,  senza dimenticare per favore, di indicarmi la via delle tue metafore,  delle tue similitudini, dei tuoi paradossi, metonimie, e, ti supplico canta. Cantami ancora la nenia antica che per prima mi illuse,  che ancora mi illude, nelle "sere della memoria", prima che l'assiolo lanci i suoi vocalizzi mistici, e che la voce del ruscello  in cui immersi piedini di bimbo  mi ricordi che è ora che io vada.

Sinal Fechado (Chico Buarque)

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Hai voglia a dire “smetto di credere nell'amore”. Ciò che cade a terra, lo so bene, a volte non si rialza più. Viene soffiato via dal vento, come i resti di un giornale bruciato per strada, per gioco. Ciò che cade (credi che lo ignori?) fa il rumore sordo di un cranio sull'asfalto. Uno “stump” cui non segue più alito né respiro. Ciò che cade sul freddo glaciale di uno strappo imprevisto ha il suono del...no anzi non ha suono. Un grido muto lanciato verso orecchie sorde. Hai voglia a dirmi di aiutarti a smettere di amare, amico mio. Come se non conoscessi ancora il desiderio di dire basta, di sprangare la porta dietro ogni speranza. Come se... Ma a me hanno dato ali, amico mio. Spezzate più volte dalle tempeste della vita, certo, ma ancora capaci di volo. Allora mi stendo a terra. Mi faccio cuscino morbido sotto la tua caduta. Crollami pure addosso. Spezzati pure in fratture scomposte, incrinami le vertebre nella caduta. Ma il tuo cranio non toccherà l'a

Elezione

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Terra Arata di Joan Miro (dettaglio) Ascoltando l'Andante sostenuto quasi adagio del Piano Concerto No. 1 in re maggiore op. 17  di Camille Saint-Saens  Se potessi piegarmi, Fedro, rinunciando ad ogni orgoglio, credimi, lo farei. Ma tu sei suono d'archi potenti fatti di lettere, Fedro. Io, sono invece incapace di celare significati arcani quando il tuo aratro solca le mie argille indurite dal gelo. Se potessi inchinarmi, Fedro, davanti alla superiore statura delle tue note ripetute, credimi, lo farei.  Ma tu sei intervalli di seconda, di settima, fatti di lemmi antichi come il cielo prima della separazione. Distonie.   Io invece sono pece. Pece nera, balbuziente, claudicante. Incurante di ogni valore, io vago, Fedro. Io vago ed estendo senza pudore i significati di quelle parole che tu ami gettare a terra nell'elezione di una diversa Qualità. Io raccolgo cocci, Fedro, i tuoi, su un terreno aspro, le nocche delle mani scorticate e sanguinanti. Sono incap

La casa dei sogni (ascoltando le 7 toccate di J. S. Bach eseguite da Glenn Gould)

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Disegno della piccola immensa Ruth Marie (11 anni) Hai ragione Glenn. Dovrei ricordarmelo più spesso.  Le tempeste sono sempre e solo esterne e lasciano rivoli sulla nostra pelle che, certo, invecchia.  Il vento, poi , Glenn, ci soffia sui pensieri e tardiamo sempre di qualche secondo l'istante del nostro ritorno.  Tardiamo e tradiamo l'istante, anagrammi noi stessi delle poche lettere che sappiamo mescolare.  Per questo il nostro stesso nome ci sfugge.  Eppure Glenn, tu lo sai bene, esiste sempre una possibilità di suonare uno staccato, riempiendo i silenzi tra le note delle nostre intenzioni di balzare.  Uno staccato per oltrepassare lo steccato dei nostri turbamenti.  Il mio nome è Fedro, Glenn. Il mio nome è Fedro.  E lancio sguardi dietro lo steccato dal giorno del mio primo respiro, là dove si cela la casa dei sogni. Un albero antico, un ruscello limpido dove posare le nostre fatiche.  E sono piedi nudi sul muschio morbido. E pennellate infan

Mi piace

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Mi piace  pesare la penna, prima della parola, tener sospeso lo strumento, prima degli aliti del lettore, incidere segni su un foglio bianco, prima che nel suo cuore,  Mi piace il gesto quasi pianistico dello scrivere al computer, prima di ogni significato, il corpo e la forma delle lettere, prima del loro suono.  Mi piace pensare e pesare la scrittura, come si pesa e pensa ad una pietra che, più che da scagliare lontano, sia da posare con pudico gesto, su una tomba ebraica, in simbolo eterno di trasmissione.

La geometria dell'amore

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Foto di Noelle Ozwald C'è una geometria dell'amore i cui equilibri poggiano su teoremi così sottili da sembrare abbandonati ai venti del Caso. Esiste poi un'algebra dell'abbandono le cui logiche sembrano scritte in codici indecifrabili. Eppure l'artista, quello vero, sa trasmettere nel caos apparente la Legge che lo governa, e nella Babele della parola il Silenzio che, tacendo, esprime. Quei pochi artisti che parlano la lingua che sento mia, senza saperla però pronunciare, giocano come Maestri tra luce ed ombre, tra l'orizzontalità delle nostre pulsioni e la verticalità dei nostri aneliti. E parlano al cuore, al mio cuore, in modo geometrico, ricordandomi che esiste una Via che sa muoversi con la delicatezza fragile del petalo al di sopra del mio vissuto. Di fronte alle loro opere io, inarrestabile "bavarde", menestrello senza liuto, dismetto il mio canto sgraziato. Perché dove parla la Legge, che tutto governa, non ho parola da

L'amore, dicevi...

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Foto di Noelle Ozwald L'amore, dicevi: è il goniometro  della mia anima. Traccia con precisione  assordante  linee sugli angoli  più riposti delle mie speranze; è la squadra dei miei pensieri. Disegna con minuzia  d'amanuense  e passo di danza i poligoni dei miei abissi. Io tacevo e tacevo  e tacevo, ancora; perché per me amore  è sfera, e rotola giocoso e incurante sulle tracce  di un passato silvestre, perché per me amore è un nome  senza rima, e indicibile e scava solchi  su un terreno  argilloso, e impone note diafane  ai canti miei, antichi; perché per me amore  sono ciglia e sguardi ritrosi e timidi su una terra che trema, e sotto il cielo  che abbaglia.

Ricordi?

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Foto di Noelle Ozwald Ricordi? C'è stato un tempo in cui la linea dei nostri due destini s'è piegata sulle note di un canto comune. Osserva.  Quel tempo che parve per un istante eterno traccia segni fluorescenti nella stanza azzurra.  Ascolta. È ora ch'io vada per non far più ritorno,  che la goccia di pioggia sui nostri volti ceda il passo al raggio di luna,  che il celeste dei nostri intonaci trasudi perle scarlatte da me non colte. Passo di petalo, il primo, il mio, per non fare ritorno.