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Piano Sonata in Re maggiore di Joseph Haydn (Glenn Gould)

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Andante con espressione Ci ho provato, Glenn, ad appoggiare le mie mani sui miei lemmi come fai tu sui tasti del piano che suoni.  Ci ho provato davvero.  Ho persino alzato la mano, in un lungo gesto di sospensione ad ogni pausa prolungata, come se fosse una pausa del pensiero mio, scrivendo poi senza sapere cosa volevo dire.  Ho provato ad inseguire le lettere come fossero fughe barocche, canticchiando, come fai tu, mentre la nera tastiera del mio computer mi osservava come si guarda divertiti un buffo personaggio.  Ho rincorso, ascoltandoti, la scrittura gestuale, istintiva, senza scopo, né significato, in cui i pesi dei polpastrelli sulla tastiera e la postura eretta della schiena hanno più valore di ogni chiasmo, enjambement, metafora, sineddoche.  Cercavo, abbandonando ogni ricerca, una figura retorica diversa.  Una similitudine dell'anima a cui appoggiare i  miei intenti...assenti. Ed ero talmente rapito, Glenn, dal mio scrivere senza senso, che tutti

Controtempo

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Foto di Fabiana Piersanti E verrà il tempo delle foglie morte, col pensiero che scrocchia sul suolo, come per gioco, come piede di bambino felice, e lo sguardo fine  sullo scorrere degli attimi. E verrà il tempo antico delle castagne e dei ricordi e delle fiabe ripetute, parola per parola a sguardi stupiti e infanti. Io ci sarò, ci sono sempre stato, con la gioia di una nota battuta mille volte, sul clavicembalo del mio cuore e mille volte diversa. Perché l'autunno  è la stagione del mio ritorno. Ma ora, controtempo, nella primavera della mia rinascita, piccolo rapace al primo balzo incerto nel vuoto, prendo il volo. Ed è una notte estiva, calda e stellata e accogliente, ad abbracciare i miei uuubuuuuuiuuu di gufetto felice.

Sguardi ritrosi

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Adoro incontrare uno sguardo ritroso,  l'attimo evanescente del suo distacco da uno dei miei volti,  il vuoto che lascia in un etere denso di "eppure",  senza null'altro chiedere,  se non di poter ritornare  al suo mondo fatato di sogno.  Adoro incrociare uno sguardo ritroso,  il permesso volatile che mi concede  d'esser parte di un mondo che fugge,  lasciando però flebili tracce di un'intimità soffusa. Gli sguardi ritrosi hanno la potenza delicata del petalo, del subitaneo struscio di un gatto sulle mie gambe, di un tocco di campane lontane in una notte stellata.  Dello sguardo ritroso non conosci la sorgente, ti si rivela nel suo svanire, come  lume intermittente di lucciola solitaria. Il mio è lo sguardo del gufo,  si posa e penetra fino a cogliere le profondità indicibili di ogni sua visione.  Incapace di svanire repentino, il mio sguardo ha il goffo passo di chi scruta immobile nella notte. Il mio è lo sguardo di un gufo. Uno sguardo che quando osserva si

Odor di gelsomino

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In ricordo del mio Maestro Poggiasti il suono del tuo sterno all'intenzione più pura. Il Silenzio, granito, abbracciava la docile piovana manifestazione  che irrorava i tuoi ultimi lenti pensieri. Il tuo non detto fu tradotto nella parola dell'Uomo e, ascoltato desiderio, si posò sul petalo da te prescelto Quel petalo ero io. Atto finale, dipartita, creazione e trasmissione il tuo, bisbiglio notturno, evocava la mia Via, odor di gelsomino.  Io, maestro, ero là, testimone della tua angelica trasformazione.  E non piansi ciò che eri stato. Mi girai, e con passo lento,  raccolsi pioggia dalle mie orbite per disperderla su una fertile terra ansiosa di riceverla.

Alef (la grande trasformazione)

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Non chiederti perché io non prenda in mano la penna. Troppo stretto è il silenzio tra le parole, perché io possa colmarlo dei miei segni. Non chiedermi perché io non prenda in mano la penna. Troppo ventosa e esposta è la linea del balzo tra due lettere, perché io possa creare ponti dorati di significato. Io resto, inerme e teso, riempito solo dei miei propositi. Intenti antichi come il blu del mare, senza nome, senza forma. Non chiederti perché io non prenda più la penna in mano. Ho incontrato scritture, quelle che elevano l'anima, sfogliando uno ad uno tutti i miei volti. Ne ho assorbito il suono profondo col quale la mia penna ancora acerba non si può accordare. Non chiedere perché non prenda in mano la sua penna a chi ha saputo varcare la soglia dell'altrui scrittura nel Silenzio. Non chiedergli di aggiungere tratti inutili a ciò deve restare nel mondo dell'indicibile. No, amata mia, non parlo del “non detto”, ma di ciò che si inscrive in un cuore nel silenzio,

It will end in tears

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Caspar David Friedrich Luna nascente sul mare "Finirà in lacrime", dicevi. E furono lacrime su lacrime. Ma la mia dedica infranse in parte la tua profezia. E, poiché il luogo del mio dono è in me saldo, finì in morbida mia dolcezza, nel silenzio, di lontano.

Dimmelo tu 2

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Foto di Daniel Taylor Dimmelo tu papà, dove posare lo sguardo, mentre il giorno scolora, e l'intento si fa cauto, e tutto è silenzio, e tace il canto mio, già afono. Dimmelo tu papà, dove posare lo sguardo nell'ora in cui le ombre scompaiono dietro a timide stelle, e l'unico suono possibile è quello ovattato della mia evanescenza. Dimmelo tu papà, dove posare il mio sguardo, prima che, volto dopo volto, io dimentichi il mio nome, prima che la penna che ci univa mi cada di mano, e il foglio si accartocci, e il ricordo diluisca, prima che io tracci gli ultimi stentati segni sull'arborea memoria della valle che ti accolse.

Testamento al bar in solitaria

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E poi ti siedi. La birra in mano, lo sguardo posato sull'orizzonte. Un albero spoglio ti guarda, sorridendo, come facesse un cenno alle tue memorie. Luce. Luce. Luce. Davanti, dietro e dentro di te. Luce nel tuo sguardo che tutto comprende, perché finalmente tace il bimbo. Perché finalmente hai saputo accompagnare il suo sonno. E la musica forte del pub. E la gente che passa, inconsapevolmente attrice di una scenografia divina. E tu guardi osservi, stupito della calma che ti pervade. E respiri al ritmo della musica. Al ritmo dei tuoi sorrisi. Al ritmo dei tuoi sorsi di una gelida birra che sembra dire alla tua gola, luogo sacro della coscienza, "osserva, osserva, osserva". Dio quanto amo l'umanità, quanto amo il suo passaggio, il suo camminare, ridere, piangere, sperare. Dio dammi la forza di continuare ad amare l'umanità. E quella ragazza. Sconosciuta. Mi guarda. Diritto negli occhi ormai lucidi di lacrime. "Cosa scrivi mi chiede". È solo un sus

Stavo per scriverti

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Stavo per scriverti. Ma la lettera l'avrebbero letta i tuoi carcerieri che, sebbene portino tutti il tuo stesso nome, sono tanto distanti da ciò che tu sei. Stavo per scriverti, ma non l'ho fatto, né lo farò. Perché la S.T.A.S.I. controlla la tua stasi e le mie parole sarebbero piume in mano ai tuoi aguzzini. Stavo per scriverti, ma non lo farò, perché odio essere letto solo da chi ti impedisce il respiro. Stavo per scriverti e non lo farò, ma pensare, sì, quello posso. E so che ti basterebbe un soffio per disperdere ciò che ti lega a loro. Lo sai bene, sono fatti di sabbia e cenere e i tuoi polmoni sono fatti per spegnere candeline, come quando eri bimba, e il mondo non ancora prigione.

Uno, due, dieci passi

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Foto di Dariusz Klimczac Uno, due, dieci passi. Poco conta, ma li conti. Uno, due, dieci passi, Poco conta, ma ti racconti. Uno, due, dieci passi. Li conti ancora e poi ricominci. Uno, due, dieci passi. Li conti sempre e ti convinci che uno, due, dieci passi siano tutto ciò che ti separa dal vuoto, che sia tutto ciò che si para davanti a quel balzo, purtroppo, a te già noto.

Non è difficile

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Dedicata ad un ragazzo "speciale" Non è poi così difficile, sai, contenere l'immenso in un gesto. Difficile, forse, è saper chiudere gli occhi al momento giusto ed abbandonarsi all'ascolto. Difficile, forse, è accettare l'onda che torna, come se fosse un gioco di bimbi sulla spiaggia. Non è impossibile contenere l'immenso in un gesto e mettere in quell'immenso le mani amorevoli che ti accompagnano, le voci calde che ti accarezzano. Tu tutto questo lo sai e le mie parole nulla aggiungono a ciò che tu sei ed a ciò che sono coloro che ti accompagnano.

Parole stentate

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Figlio mio, io vorrei trovare le parole (e non ne trovo se non di stentate) per dirti che ogni parola che leggi, ogni virgola su cui posi le tue pause, ogni punto che ti permette di staccarti dal testo, sposta galassie, allontana buchi neri, porta luce nel buio più oscuro. Vorrei trovare le parole (e ne trovo solo di stentate) per dirti che ogni istante che passi alla lettura diviene la lettura dell'Altro. Di quell'altro che è in te e di quello che ancora devi incontrare. Figlio mio, una parola scritta ha bisogno di essere letta e custodita non solo nel cuore di chi scrive. E se ti fai portatore delle parole altrui, ebbene, figlio mio, troverai le tue, quelle vere. E non sarà per imitazione, ma per osmosi, per aderenza profonda all'Umanità. E verranno i momenti in cui avrai bisogno del Silenzio, dell'assenza di parola, dello sguardo lontano e dell'ascolto della parte più profonda di te. Figlio mio vorrei trovare le parole (e ne trovo solo di stentate) per dirti ch

Inno ad una parola

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Una parola sola, timida, appena intuita, nella penombra di una notte stellata, concepita all'alba, delicata, nascosta, celata, ritrosa e sospesa, cullata in un silenzio di attesa, Una sola parola, dolcemente accudita, seminata al tramonto di un gennaio tiepido, inaffiata di sogno, germogliata in una notte di luna piena, fragile legame tra il vegetale e l'umana speranza, Sola, una parola, bisbigliata, sussurrata, mormorata, declinata in lingua antica, compresa da un solo udito, dedicata e delicata, fragile e vitale Parola sola, una, promessa eterna, accresciuta nel soffio del vento, radice salda, tronco possente, albero solitario, coperto di verdi foglie i primi giorni di marzo, e fiorito in colori screziati i primi giorni di un giugno assolato. Una parola, una sola. fonte unica, indicibile per i più, inaudita per molti, figlia del desiderio, dagli spazi siderali caduta nel Giardino che fu e raccolta furtivamente da Adam, come il seme più prezioso da far radicare, nonostante o

Surreale

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"Bisogna conoscerle,  le parole,  per poterle usare",  dicevi e ti gongolavi dei tuoi "corruschi lemmi" e della mia ignoranza. Io tacevo, come tace il tacchino tra un glu-glu e l'altro. "Bisogna conoscerle  le parole  per poterle usare", ripetevi, mostrando al mio sguardo di contadino  ruote di pavone bianco. Tacqui ancora e mi strappai il vestito.  Aprii il ventre,  mostrandoti il meccanismo  che nessuno osava vedere. "Quale parola definisce  le sue molle?", chiesi Ma tu non c'eri più,  ti eri già girata  a osservare il tuo orizzonte  opaco. "Bisogna conoscere  il meccanismo  prima di cercare le parole" pensai. E me ne andai, "volando come vola un tacchino".

Vedo perchè tu veda

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Foto di Rodney Smith Senza appoggio, senza velo, né mistero, né guardia alata, lancio lontano il mio sguardo, solo se il tuo bilancia il possibile delirio mio di coscienza, in egual postura. Vedo perché tu vedi Vedo perché tu veda.

Coeurs Brisés

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Siamo tutti così pieni di crepe che volgiamo lo sguardo spesso solo dentro noi stessi e i nostri drammi. Ma essere avvocati è una fortuna, e le storie degli altri si è per mestiere obbligati a sentirle. A volte ci pesa doverlo fare perché lo sguardo continua ad andare nelle nostre crepe, nonostante l'altrui racconto. Ma poi, già poi... "Avvocato mi sta ascoltando?" "Si certo piccola, si ascolta meglio ad occhi chiusi, sai." (no non ti ascolto, io non ho cuore, io non ho più cuore) "Lo diceva sempre anche mio nonno" Alzo lo sguardo (non me lo dire cosa ti è successo piccola, ti prego. Io non ho cuore, io non ho più cuore) "Allora le dicevo che sono dovuta scappare nel bosco" (Sapessi in quali boschi vorrei scappare io ora. Io non ho cuore, non ho più cuore, piccola mia, ti prego taci) "Ed era quasi buio". (Il mio sguardo si fa più attento, ma no non posso ascoltarti, io non ho cuore, non ho più cuore) "E

Dormiente (la guardia)

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Ho protetto il tuo sonno con fili d'erba intrecciati, i tuoi sogni con raggi di luce lunare, i tuoi silenzi con canti antichi e nenie primordiali. Ho osservato i tuoi respiri regolari nelle mie notti insonni. Sguardo di pastore, cuore d'agnello, mi son fermato deciso davanti ai tuoi tre fantasmi. Guardia antica, spada di vetro, brecciata, è iniziato il duello cui tu, assente nel sogno, non partecipavi. Ho perso, è vero. Ma è certo che i fili d'erba, i canti antichi e i raggi lunari sfioreranno la tua memoria le sere d'estate, ricordandoti, nella brezza, di quella guardia sconfitta.

Piedi umidi

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Foto di Logan Zillmer Hai ragione. Non ho nulla in più di te perché medito. Meditare non fa di me un superuomo. Anche io tengo i piedi nell'umido e la foschia mi chiude spesso i sensi. E sto, come te, immobile ad attendere chissà cosa per iniziare a vivere. Hai ragione meditare non mi dà nulla che tu non abbia già dichiarato di aver ottenuto per altre vie. E se anche tu vedi quella porta dietro la foschia, davvero non c'è nulla, se non il cammino prescelto, che ci differenzi. Hai ragione a rimarcarlo, sono una piccola persona che ha ricevuto un solo insegnamento ed una sola colonna dorsale per stare eretto. Una persona piccola che meditando ha percorso felice i suoi centimetri verso quella porta che tu puoi raggiungere con un solo balzo, a quanto mi dici. Eppure è meditando che ho capito che la mia banalità, piccolezza umana, limite è un valore, è il campo da arare per poter fare altri centimetri, camminando nell'umido. Hai ragione dunque a definirmi piccolo, a rima

Dimmelo tu

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Foto di Francesca Woodman Dimmelo tu se è il ricordo ad impedirti di guardare quel fiore. O forse è il profumo di Calla a non farti sentir degna di quel candore? O forse è la mancanza di veli di seta a far barcollare il tuo passo di regina? Dimmelo tu, dal tuo sguardo perso, perché ti copri il volto? Quasi che ad un fiore, delicato e fragile, molto più fragile delle più grandi tue fragilità, non si potesse far dono di un piccolo sorriso. Vero, non tutti i fiori vanno colti, perché non divengano cappi al collo, né ogni offerta di bellezza va accettata. Ma si può dire no con un sorriso, per non spegnere la luce in questo mondo. Ma tu tutto questo lo sai, perché io ti so limpida ed impaurita. Impaurita e limpida.

Guardare Lontano

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Foto di Rodney Smith Guardare lontano,  sobri e pensosi. Guardarsi di lontano,  a volo d'aquila. E comprendere che  senza quel gesto  pudico, senza nascondere  dietro la schiena, mani  cui potresti dare forma  d'un angelo  sterminatore  o d'una carezza,  nulla è possibile; né l'ineluttabile gesto  che annienta chi ti ha annientato, né il primo passo  verso il perdono  di se stessi. Sì, si nascondono  le mani dietro la schiena  per poter scegliere,  al bivio che  ci si impone davanti,  se diventare angeli della morbidezza  o del ferro  che taglia netto  l'indicibile. Ci si guarda da lontano,  a volo d'aquila,  per poter scegliere  cosa divenire.

Listening to Jazz Standards

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Mi permette, caro signore, una piccola riflessione in questa pausa musicale, mentre gli strumentisti si concedono una birra. Sì lo so, lei non mi conosce, e la nostra vicinanza di posto non mi autorizzerebbe ad una così invadente confidenza. Ma, mi scusi la sfacciataggine, io leggo nei tratti del suo volto, così diverso dal mio una sensibilità comune e, forse errando a causa di questa musica eterea, ho sentito l'impulso di condividere con lei qualche mio pensiero. Piccolo eh, non si attenda nulla di sovversivo per gli equilibri del mondo. Ah, lei sorride e dice che non la disturba, che, anzi, anche lei adora il jazz e le interesserebbe sapere di cosa sto parlando. Allora, mi permetta di offrirle da bere. Certe condivisioni hanno bisogno di carburante per poter avanzare, non trova? Mi dice che le piace il Jazz, ebbene io mi sento di doverle confessare che di questa musica so davvero poco. Certo come tutti ho anche io ascoltato da giovane Nina Simone e John Coltrane, ma

Il vecchio ed i giovani

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Il vecchio si sedette, come ogni sera, allo stesso tavolino, ordinò la stessa grappa, accese la stessa pipa e cominciò, come ogni sera ad osservare la gente. E attese, fino a che la stessa compagnia di giovani sognatori entrò nel locale. Era ormai un appuntamento fisso. Un uomo solo. Un uomo felice della sua solitudine. Un uomo che aveva di sé una buona compagnia. Era uno strano spettacolo da gustare, tra il dolce e l'amaro, tra il forte ed il tenue. Uno spettacolo che teneva sullo sfondo il brusio degli altri frequentatori del bar. Tutto era così struggente, così immensamente struggente. Come ogni sera, i giovani cominciarono, prima timidamente, poi sempre più insistenti a chiedere al vecchio che raccontasse loro una storia. Alcuni desideravano ascoltare la stessa storia delle serate precedenti, lo stesso racconto dalle infinite sfumature che potrebbe aver titolo “la vita di un uomo”. I simboli che sottostanno alle parole mutano, quasi impercettibilmente, anche dietro una

Hopper's style in Milano

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E cammina, cammina forte, a passo deciso. Finché l'immagine non svanisce. Non è quel tuo volto, quella maschera di caucciù, che avrei voluto fissare negli occhi per ultimo, papà. Cammina, pompa forte il cuore, il mio, che ancora non si è fermato. E parlami ancora, parlami di Modena, delle tue montagne, parlane a me, figlio distratto, che a quei racconti ho sempre dato troppa poca importanza. Parlane a me, figlio incapace di non fuggire, fallo ora. Ma dal caucciù la voce si strozza. Ed io cammino veloce, per non ricordarla la tua voce acuta, molto più acuta della mia; cammino veloce come un razzo appuntito per tagliare lo strazio denso e proiettarmi altrove, fuori dalle galassie dei non detti, ormai impossibili a dirsi, fuori dagli sguardi abbassati da entrambi, dai "ti voglio bene" reciproci che ci si bloccavano in gola. Due maschi, troppo maschi per cedersi reciprocamente il passo. Che pena, che strazio, il silenzio ottuso, l'incapacità di dire, quando

Pensive Lady

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Ci vuole tanto coraggio, troppo forse, per pensare a sé mantenendo lo sguardo sull'orizzonte. Dai luoghi protetti tutto sembra facile. Eppure l'orizzonte è dittatore e gioca coi coi tuoi occhi spostandosi lentamente sempre più lontano, sempre più lontano. E i pensieri, e i ricordi, sono piccoli aghi velenosi, che vorrebbero che tu gli occhi li abbassassi, dentro di te, nell'abisso dei tuoi abbandoni. Una battaglia antica e mai risolta, costellata di migliaia di vittorie di Pirro, di vittime lasciate sul campo senza sepoltura. E solo una donna sa affrontare il richiamo del futuro, il rimpianto del passato e la morsa del presente, mantenendo la postura. Un uomo, urla, bestemmia, recalcitra, chiude gli occhi, si agita, umilia il proprio corpo. Finché la postura, l'accettazione di ciò che è, arriva ma per spossatezza, per sfinimento. L'uomo esplode prima di implodere. E non è uno spettacolo per bambini. Ad un bambino farei vedere un uomo che risorge, quan

Robert Pirsig - Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta

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Come parlare di te Fedro? Come parlare con te? Tu, giovane, troppo giovane, filosofo della Qualità, ormai celato, nascosto, ritroso, lasci tracce del tuo passaggio. Ma sono orme di cervo in un bosco in cui fitta cade la neve. Troppo presto cancellate. E obblighi noi, fragili cercatori, ad iniziare la nostra narrazione per arrivare alla tua storia. Tu, ormai fantasma, sei l'emblema, dell'oggetto della scrittura, della narrazione. Si narra di sé per scoprire la presenza di altro in sé. Un Chautauqua, un'auto narrazione dei nativi americani, un raccontarsi interiore per arrivare a percepire la tua presenza, non più come traccia, ma come condizione del proprio essere. Tu, Fedro, ormai diluito nel mondo, elettorshockato, lobotomizzato, ormai fantasma, non puoi che implorarci di lontano, dalla tua assenza, di avere memoria del tuo passato. Ma le tue tracce sono così flebili che siamo obbligati a narrare il nostro presente per ritrovare te. Ed è uno sforzo immane, in