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Lamed e Iod

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Lamed e Iod.  Due lettere ebraiche su cui sono stati scritti milioni di pagine e i cui simboli non si è mai cessato di esplorare.  Io non sono certo tra i grandi che hanno soffermato il loro pensiero su queste due lettere.  Ed è con timore che ne parlo.  La Lamed è lettera simbolo sia di insegnamento che di apprendimento. È la lettera graficamente più grande dell'alfabeto ebraico su cui svetta, quasi a dirci che la tradizione (relazione tra chi apprende e chi insegna) e la trasmissione della Torah, sono il punto più alto della spiritualità ebraica. Se unità alla prima lettera della narrazione, la Bet, si compone la parola Lev (cuore). Non esiste insegnamento/apprendimento fuori dal cuore e l'insegnamento/apprendimento sono il cuore della identità e della narrazione ebraica di sé. La Iod (o yud) è la lettera dimensionalmente più piccola. Simbolo di centro vitale, di concentrazione, di fissità generativa del moto rotatorio della vita, non a caso è la prima

Amare amarene amare

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    Ispirato a "Structure in Emotion"  - A vishai Cohen   (album Lyla) Amare amarene amare  davanti al mare  e, con lo sguardo fisso,  remare, remare,  remare nel re mare.  Amo su lenza tesa,  amare le amarene amare,  e amare l'amore  che strappa  da bruni rovi  more more.  Come scure  che taglia,  amare le more,  primizie d'amore,  nella tempesta che  il re mare  pesta  nel mortaio dell'amore.  E, controcorrente,  remare, remare nel re mare,  mentre lasci  che l'ascia  dell'amore  fenda e spezzi  rovi ed arbusti secchi  di more more.  Amore folle d'amarene  amare.  

Silvestre

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Ispirato a  Ludwig van Beethoven -  Piano Concerto No.3 in c-moll, Op.37 - II. Largo Goccia, e poi goccia,  nota con nota,  passo su passo,  intoniamo leggeri  i nostri verdi canti silvani.  E ci attarda la sera,  tra fuochi diafani,  un gioco antico tra i Volti  di un Dio ironico  che mai si sottrae al nostro incontro  dal passato del suo cielo, stellato.  E se, di lontano, l'assiolo  lancia i suoi monotòni,  rispondiamo ilari  col suono dei nostri flauti.  Poi giunge l'ora  che mai ci spaura.  E chiudiamo gli occhi,  e seminiamo nel silenzio  di muschi e ghiande e fronde antiche  la poesia lontana  del nostro comune sogno.  E ride lieto il nostro Dio  dal futuro del suo firmamento.  Posa la sua mano senza tempo  sulle nuche fertili dei nostri figli.  E sigilla nel presente  il patto che da sempre  fa confluire i tre fiumi del Tempo  nello stesso mare.

Sorriso

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"Sì" , mi disse commosso, "sono stato capace di farlo" . Gli sorrisi, come si sorride al primo impacciato passo di un figlio. "E le ho anche detto che il mio amore sarà eterno" . Fu solo un lampo quell'ombra che si impadronì dei miei pensieri. Poi fu di nuovo un sorriso al primo passo impacciato di un figlio.

Distratto

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La foglia sulla quale  posai il mio piede  apparteneva ad una ben rara pianta,  sconosciuta per lo più  agli asfalti milanesi. Ma la mia limpida via  era ormai segnata,  troppo dritta e chiara per poter percepire la lieve altura  che quella foglia avrebbe potuto rappresentare nel mio cammino. Le posai sopra il piede e continuai a camminare,  distratto!

Oggi descrivo

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Oggi non scrivo. De-scrivo Stasera il pub, come tutti i sabati sera, è colmo di umanità.  Mi ci sono ritrovato, solo, per un imprevisto bidone di un amico. E ho osservato per due lunghe ore la vita manifestarsi. Ho deciso di non scrivere ma di descrivere. E c'era la tavolata di ragazze con un unico amico gay. Indovinate chi fra loro mi guardava mentre io li osservavo. No, oggi non scrivo su quel tavolo, sennò ne viene fuori la Recherche due. E c'era la cameriera stanca che nel prendermi l'ordine mi diceva: "Sergio non ce la faccio più" . Ed io, che oggi descrivo e non scrivo, ho dovuto tagliarmi la mano per non costruire un romanzo su quella piccola frase. E c'era il macho, capelli raccolti con un piccolo chignon alla samurai giapponese, che però non beveva Sakè, ma lemonsoda. E via, taglio l'altra mano per non scrivere un romanzo sul nostro bisogno di apparire ciò che non siamo. E c'era la gnocca dell'est che mi gua

Ho previsto tutto

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Ho previsto tutto.  Il lume di candela, la penna, il foglio bianco ed il volto di Glenn che mi guarda dalla copertina del cd, sornione, pregandomi silenziosamente di dar inizio ai suoi​ canti.  Sì, perché Gould canta,  e non solo attraverso il suo piano. Ho previsto tutto, dicevo, perché solo prevedendo tutto si può dar spazio e voce all'imprevedibile.  Pensavo persino, nella mia nevrosi di controllo, di poter prevedere quando  l'imprevedibile si sarebbe manifestato.  " Assurda pretesa.   Adoro troppo il passaggio dal Preludium alla Allemande perché l'imprevedibile non si manifesti proprio allora. L'imprevedibile non può che manifestarsi "nel" silenzio tra i due tempi", dicevo tra me e me.  E invece l'imprevisto imprevedibile mi ha stupito ancora.  Si è manifestato certo tra quei due tempi, nel silenzio che li collega.  Ma, imprevedibilmente, ha scelto di stupirmi nei suoi modi e non nei tempi. E canto mentre scrivo

Meditazione sul treno del ritorno

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L'avvocato si siede felice. Ne ha salvato un altro, a Marcaria, un paese di mille abitanti vicino a Mantova. Chiude gli occhi. Sempre più stanco. Il treno lento culla i suoi pensieri. O sono i suoi pensieri a rallentare il ritmo della locomotiva sulle rotaie? E il ricordo del maresciallo dei Carabinieri che lo aveva ringraziato, stritolandogli la mano, gli strappa un sorriso.  Poi il volto del ragazzo, sfidante ma fragile, che gli chiede se andrà tutto bene. "Certo che andrà bene" , aveva detto. Ma poi cosa mai è il bene per un ragazzo di 16 anni con quel passato famigliare addosso?  L'avvocato non lo sa. E i vecchi al bar che bevono un bianchino e l'avvocato ci entra in contatto quasi fosse un extraterrestre in un Saloon di un film western. Poi si ricorda di suo padre e della Modena che gli vibrava nel cuore e nelle parole. E si ritrova a parlare in modenese coi vecchi, che gli raccontano la loro vita, mentre il cinese titolare del bar sorr

Il treno delle emozioni

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Il treno va, e porta l'avvocato stanco verso quell'interrogatorio in quei di Mantova. Lento, va il treno regionale, come lenti sono i pensieri dell'avvocato. Ed ogni casa che incrocia è un pensiero, un ricordo dei propri errori, come in sequenza. I "dovevo dire", i "dovevo tacere", i "dovevo fare", i "dovevo astenermi dal fare", professionali e non, scorrono inesorabili nella mente dell'avvocato, stanco.  Ognuno come una piccola puntura su una pelle troppo sensibile, troppo sensibile. Ed è come ripercorrere tutta la propria vita, costellata di inciampi, cadute, risalite, ricadute, progetti, sogni realizzati e racconti rimasti nel cassetto. Il treno va e l'avvocato stanco pensa al suo assistito, alla lista dei suoi errori, per quella giovane età, già troppo lunga. Il treno va e taglia lento campagne, paesini fatti di rotaie e quattro abitanti, e poi ancora campagne e case sperdute che allungano la lista del

Nella penombra

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Per paura dello sciopero e di far tardi, sono arrivato tre quarti d'ora in anticipo nel luogo dove tengo i miei corsi di meditazione.  Tutto è silenzio e buio. Non mi va di accendere le luci, non ancora. Chiudo gli occhi e, per un istante, cerco di fare entrare il silenzio e la penombra nelle ultime tracce di questa mia caotica giornata.  Un senso tutto questo affanno lo avrà?  Un senso, magari sottile, delicato, sfuggente, deve averlo questo mio desiderio di non lasciar morire la voce del mio maestro, di passare ad altri il testimone che fu passato a me.  E ho bisogno di Silenzio anche solo per porre la domanda a me stesso, per non permettere al bimbo piccolino e pigro che mi abita di accontentarsi di risposte preconfezionate e stantie. Perché insegno? Che cosa insegno ogni giovedì e nei miei seminari? Quali voci mi abitano quando parlo ai miei allievi? Quali semi cerco di seminare nel loro più che fertile terreno?  Oh sì, potrei dirvi del piacere del pass