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Tre poesie di Sandra Manca

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Le poesie vengono  pubblicate su concessione dell'autrice  Sandra Manca  © Immagini estrapolate dal web  dall'autrice  Sandra Manca  © e pubblicate su sua gentile concessione Sulla gobba del vento di Sandra Manca 06.04.2020 Scivoli via sulla gobba del vento indugi incurante  nel malinconico canto  di sirene rapite dal solitario tuo volo.  La quercia che ti ha nutrito  è rinsecchita la processionaria ha steso  l'oscuro suo manto disadorna la chioma  non è più riparo  ai merli chiassosi.  Lievemente  adagiata sulla polvere  foglia sei l'ultimo sacrificio  metamorfosi feconda. Asterione (da L’Aleph di J.L. Borges) di Sandra Manca 27.11.2020 Tutto esiste infinite volte tranne me Asterione  e l’intricato sole per i corridoi di pietra corro di me stesso immaginando l’altro non sono un prigioniero  le porte aperte della casa attendono chiunque  solitudine e quiete s’affacci a osservare. Un giorno arriverà il redentore  un toro dal volto umano o chissà e la solitudine allora  s

Noah (Noé)

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Noè - Mosaico ... poiché ti vidi Giusto avanti i miei volti in questa generazione ( Genesi - Noè ) Ti disse Giusto avanti i suoi volti e ti permise la speranza. E non furono i diluvi nella storia a estirpare fuochi empi dagli occhi dell'uomo, ma da allora ogni nostro futuro ha origine nell'incaglio delle nostre case mobili e girovaghe tra le rocce del Monte Ararat.

Vita (dedicato a Silvia Tebaldi)

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" Vita " di Silvia Tebaldi Scrivere a Silvia, di Silvia, osservando  un disegno di Silvia  è per me scrivere  sulla Scrittura Dietro la porta suoni metallici. Cozzano lame, picchiano pesanti  martelli su incudini  plumbee. Sono lì, vestito a festa, davanti alla porta. Arrivi tu con  dita sporche d'inchiostri  pregiati e fogli  accartocciati. Apri la porta, e io ricordo  che i metalli  sono lettere e l'incudine  una penna. Macchi di nero  la mia parete troppo bianca, e io ricordo che c'è  del pastello in ogni nero e che il bianco acceca e abbaglia. Tagli col tuo dire colto e le tue cadenze familiari i miei broccati bizantini, e io ricordo che è ora  di strappare il velo, di offrire pelle e sudori e unghie,  sporche  di cere da sigillo, in dono  sacrificale  a lettere  benevole. Poi taci  e mi osservi, e io ricordo che del silenzio  sono il figlio e al silenzio ritorno. Ora scrivi "Vita" nella lingua  dei Padri, con le tue dita  d'ambra e l

Trema d'amore di Annalisa Mercurio

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Autoritratto di Annalisa Mercurio Poesia inedita pubblicata su concessione dell'autrice Mosse dal silenzio le stelle, pulsanti parole mirano al centro. Stride l'essenza al vento, trema d'amore la terra e il dolore non regge bellezza.

Dio è coricato di Yehuda Amichai

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Foto di Sergio Daniele Donati Dio è coricato supino sotto il mondo Sempre impegnato in riparazioni, sempre qualcosa si guasta Avrei voluto vederlo per intero ma vedo Solo la suola delle sue scarpe e piango ( Yehudah Amichai ) Sono lieto di ospitare su Le parole di Fedro una splendida poesia di Yehuda Amichai, la cui ironia e gioco simbolico non smette mai di colpirmi. Ne consiglio la lettura ascoltando la musica del video allegato. A una Trascendenza che si cela la mistica ebraica ci ha abituato, ma solo una penna eccelsa come quella di Amichai poteva scorgere i motivi di questo nascondimento, la Sua occupazione a riparare eternamente il mondo che creato. Un elogio tenero dell'imperfezione creativa. Un elogio anche dell'umano, che in questa poesia ancora più si nasconde.

Amore è Altro

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Foto di Sergio Daniele Donati Eppure incanta ancora lo scatto felino d'un tuo sguardo furtivo. E tace la voce -e il canto- del mio sterno guerriero se posi le ciglia sul diaspro della mia iride. Tu taciti, io taccio; parla per noi chi della parola trattiene  il segreto roco, e canta ininterrotto al mondo il suo gorgoglio profondo.

Nel mito

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Foto di Sergio Daniele Donati Immergiamo nel mito,  a volte,  mani bambine. Cerchiamo  nelle marmellate  dei significati  mieli per le nostre  labbra.  Suoni mai sentiti  parlano alle nostre  orecchie pallide.  Ci meraviglia  lo spettacolo  dell'antico tempio  rinnovato nel sole,  tiepido.  Il luogo dal quale  non proveniamo  si copre dei nostri  passi di ritorno.  I muschi di Pan  odorano di metriche giambiche  e sogni fecondi.  Immergiamo nel mito,  a volte,  dita bambine.  Ci culla il canto  dell'aedo  e la lira d'ambra  del rapsodo  canta con voce di donna  ai nostri capelli d'argento.

Preparare la scrittura

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  Foto di Sergio Daniele Donati Ci si prepara a scrivere, a volte, secondo rituali antichi. Che scrivere è chiamare a sé, dal silenzio, suoni cristallini. Oppure, al contrario, dare armonia e melodie nascoste ai suoni gutturali e melmosi che provengono dalle proprie viscere.  La gestualità è importante, prima di scrivere. Predispone l'animo all'ascolto quasi maniacale di ciò che ancora non ha forma.  E così il foglio, le penne, gli inchiostri vengono scelti con gesto lento, molto prima di ciò che si vuole dire.  Chi scrive secondo queste ritualità è sempre anche un calligrafo, o un maestro del thé giapponese.  E non dimentica che la corporeità ha un peso nella scrittura.  È il contenitore che dà la forma ai pensieri (prima), al detto (poi).  Ci si prepara alla scrittura come l'amante prepara la casa per la sua amata e sceglie i migliori vini e i bicchieri di cristallo. Non per sedurla, ma perché Lei abbia a disposizione i migliori strumenti per sedurlo.  Ogni scrittura prof

I sogni di Mordechai (cap. 1-13)

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Foto di Sergio Daniele Donati 01 Incipit  Mordechai uscì dalla sinagoga con un malessere di fondo. Parashà e Haftarot questa volta non erano riuscite a sollevarlo da terra. E quel grido, quello strazio, era come un tocco di campane d'inquisizione nelle sue orecchie Camminava, col cuore in affanno, e a nulla valevano le parole che il Rebbe gli aveva rivolto all'uscita. "Le cose tornano, Mordechai. Magari trasformate, ma tornano. Sempre". L'aveva guardato a lungo, senza parlare. Poi era andato via. Come può tornare ciò che mai è arrivato? E che cosa poteva mai capire un uomo di novant'anni degli affanni di un giovane.  Mise le mani in tasca e ci trovò il solito sassolino. Lo strinse, come sempre, e si sedette sul marciapiede. La gente passava indifferente, le ore passavano indifferenti, i ricordi passavano... differenti. Si tingevano di colori diafani, tonalità mai viste, di spiegazioni mai pensate. Mordechai chiuse gli occhi. I suoni del villaggio sembravano lo

Venerdì sera (di Patrizia Pieri)

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Foto di Sergio Daniele Donati Racconto pubblicato su concessione dell'autrice Patrizia Pieri La conosceva da soli tre mesi, ma una cosa così grande nella sua vita non era mai accaduta. Sin dal primo incontro l’aveva subito “sentita” dentro di sé in modo profondo, e, se è vero che non aveva mai faticato troppo per ottenere un incontro con quante desiderava conoscere, con lei aveva impiegato tre mesi prima di combinare realmente un appuntamento. Tra gli impegni prenotati con notevole anticipo, le scadenze da rispettare, i messaggi urgenti e imprevisti in segreteria telefonica, lei aveva sempre rimandato, ma poi, a parte l’attesa, era stato un susseguirsi d’incontri fino alla sera fatidica in cui avevano trascorso la notte insieme. No, una donna così non aveva avuto neanche il tempo d’immaginarsela, c’era qualcosa in lei d' inspiegabile, qualcosa sì d’indefinibile ma così forte che non riusciva a togliersela dalla testa. È vero: pensava sempre a lei, soprattutto dopo quella notte.

Le vesti (la scrittura che strappa)

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  Foto di Sergio Daniele Donati scrittura esile/scrittura esule Due anni.  Per due anni  parole, lettere, segni  mi hanno lacerato  le vesti.  Che al corpo che sanguina,  all'anima che declina,  si devono togliere  (presto)  le vesti.  Erano turbini  (benevoli e violenti)  e prendevano a schiaffi  volti coperti d'oblio.  Cercavano altro,  dentro la ferita.  E strappavano  (svelte e violente)  le vesti.  Due anni per carpire  il valore sacro  del vento  freddo  sul volto.  Brezza gelida  che squaglia la pelle,  e entra dagli occhi  e toglie le vesti  a un corpo  che sanguina,  a un'anima  che declina,  a un'anima  che fibrilla,  e lancia in cielo  S.O.S a forma d'uncino.  Due anni per togliermi  le vesti  e stendere balsami e unguenti  su un corpo che sanguina  e un'anima che declina.  Parole e lettere e segni  (violenti e benevoli)  mi hanno stesso sul tavolo  chirurgico  (presto, presto, lo stiamo  perdendo).  E mi tagliavano  (violente, veloci e benevole)  le