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Adagio (Il sogno)

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                                               Beethoven: Violin Concerto (with Itzhak Perlman, Daniel Barenboim & Berliner Philharmoniker)  Si rincorrono tra loro le memorie. Sono fili di lino, bave di bachi. Uniscono tra loro richiami lontani – chissà di cosa - pronte a spezzarsi al primo alito di vento. Io taccio e ascolto, come se fossero suoni d'oboe. Richiami di corni inglesi. Voci di ritorno. Poggiavo mani ancora bambine su muschi e licheni. Richiami femminei e umidi, al risveglio. Ora le vedo (le mie mani), vissute, battere sui tasti, come fossero di piano, alla ricerca di quegli odori. Tra semitoni e bemolle minori, appena accennati, si culla la memoria mia. Di lontano un canto, amico, si fa strada. È una voce dimenticata che avanza nella mia mente. O, forse, mai udita. Parla una lingua che capisco poco, fatta di suoni che stento a riconoscere. Eppure li faccio miei. Non è la lingua della memoria, né quella del futuro. Non è la lingua antica e arcana delle ventidue let

Lo storpio

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Sono incerti e straziati, eppur sereni, i passi di quell'uomo. Un camminare lento, tenace, testardo - forse un po' ebete - nonostante gli inciampi. E mi chiedo cosa porti un uomo a non cedere alla debolezza delle ossa, del corpo. A fermarsi finalmente sulla via e chiudere gli occhi e tacere. Lo vedo avanzare, inesorabile, strascicando i piedi, quasi a urlare: io vivo e cammino. E a quel suo passo disarticolato - quasi inumano - la gente lascia spazio. Esiste un'empatia immediata verso le fatiche dell'uomo. Esiste eccome, anche quando vogliamo dipingere l'umanità come un ammasso di egoismi senza fondo. Di fronte al movimento da marionetta, da spettacolo dei pupi, di quello storpio, la gente si sposta, silenziosa. Nessuno ne intralcia la via. “Lasciatelo passare”, sembrano dire. E lui passa, tenace, testardo - forse un po' ebete – nonostante i limiti fin troppo evidenti del suo corpo. La gente lo lascia passare e poi si volta, come ad assicura

Timidezze

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Un narrare lento,  raccontarsi piano  per non dire.  Non dire,  lo sguardo distolto  dalla porpora  del tuo cuore.  Erano timide  le mie parole  allora.  Sono timide ora  e non strappano,  non incalzano  non elevano più.  Tornano lente  nella culla che  le vuole silenti  per rinascere.

Palpebra

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La palpebra si abbassa  e illumina il sogno.  Il vento canta messaggi  di lontano, nella lingua antica.  Ma è solo tra i volti  di una voce amica  il senso profondo del mio respiro.

L’essenza del combattimento

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Il nemico è dove si perde il mio Nome.  Il mio Nome si perde dove incontro la tua spada.  La tua spada si perde dove incontro il mio Nome.

Yom Kippur

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Dipinto di Marc Chagall Il ragazzo arriva trafelato in sinagoga. Crede ancora di poter rimediare agli errori della sua giovane vita in dieci giorni di rielaborazione e uno di digiuno. Ha lo sguardo stralunato; occhi neri che vagano senza sosta da un oggetto all'altro, da un volto all'altro della sinagoga, come se cercassero qualcosa di ineffabile. C'è un nodo che il ragazzo spera di risolvere in quella giornata di preghiera e ritiro. Più ci pensa e meno “peccati capitali” gli pare di aver commesso, ma è sempre quel nodo a bussargli con insistenza nei pensieri. Si presenta sempre con la stessa frase stentorea, come un giudizio concluso, una sentenza inappellabile già depositata: “L'ho gestita male, molto male”. Poi segue una lista di atti di autoaccusa interminabile, sempre secondo la terribile formula degli “avrei potuto-avrei dovuto”. La condanna è inevitabile e anche il senso d'angoscia per una serie di errori che la sua rigida etica gli impedisce di evitare di at

Ritmo

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Tempo di scrittura 2min:26 sec Ho voglia di scrivere. Di sentire il tam tam nervoso delle dita sui tasti.  Senza seguire un filo logico.  Scrivere, finalmente, per scrivere.  Lasciando nell'etere, o all'etere, ogni mio intento.  Desidero seguire la danza dei polpastrelli come se fosse una bossa nova, e poi, chissà, qualcosa ne verrà fuori.  Ritmo, ritmo, ritmo.  Utilizzando le pause per non pensare.  Ritmo (ritmo, ritmo).  Utilizzando le pause per ascoltare.  Ritmo (ritmo, ritmo).  Utilizzando le pause per aspettare.  E poi ancora ritmo, ritmo, ritmo.  E chissà qualcosa ne verrà fuori.  Già appaiono storie possibili e personaggi strani capaci di dire ciò che evito di dire.  Le scarto. Romperebbero il ritmo (ritmo, ritmo) dei miei polpastrelli.  E poi, siccome scarto, saluto le storie e i personaggi.  Ciao, ciao. Ci rivediamo presto.  Ho voglia di scrivere, senza pensare, senza costruire, senza scartare né accogliere.  Seguendo il ritmo (ritmo, ritmo) del ritorno.  E poi lo so p

Incipit – Perficit

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  Foto di Noelle Oszwald [Incipit] Si concesse un respiro d'amore, il privilegio di fremere  e gioire;  e d'aver cura e ricever cura.  [In medias res]  (omissis)  [Perficit]  Si concesse un respiro d'amore, ancora, il privilegio  di fremere e gioire, e d'aver cura e ricever cura, ancora,  nonostante tutto.

Yehoshua - Il lettore allo specchio

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  Con Yehoshua ho sempre avuto un rapporto altalenante. Pur considerandolo uno dei grandi della letteratura ebraica e mondiale del secolo ho avuto non poche battaglie interiori con la sua scrittura.  Alcuni dei suoi romanzi li ho adorati alla follia, altri lo trovati di difficile digestione. E spesso sono proprio questi che mi hanno dato poi più da riflettere.  Yehoshua per me è come una montagna da scalare, ecco. Questa intervista diciamo che mi ha dato non pochi picchetti e corde e ramponi di comprensione e in alcuni passaggi mi ha rivelato la natura e l'origine di alcuni miei blocchi di lettore.  Così tanto che mi è venuto il desiderio di rileggere alcuni suoi romanzi. Ad esempio la sua distinzione tra monologo interiore e stream of consciousness mi ha illuminato su alcuni passaggi de L'amante. E la sua netta statuizione  "Per me l'irrazionalità è una minaccia e in letteratura mi sembra sempre una sorta di posa, di artificio", apre voragini dense di significato

Andare oltre, restando.

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Sul quartetto per archi di D. Shostakovich No. 8 in C minor, Op. 110  (esec. Emerson String Quartet)  Per un ascolto meditativo delle memorie e delle immagini evocate Scrittura spontanea.  Andare oltre, restando. Restare, col naso puntato nell'Altrove. È arte sublime. Sublime. Là. Nel luogo di confine tra musica da saga, filastrocca giocosa, canto funebre. Qualcosa sfugge. Non cerchi di afferrarlo. Sono troppo vicini gli zoccoli dei cavalli, gli schizzi di fango. È una carovana circense o un'orda di cosacchi?  Resti lì, nell'oltre. All'ascolto. Tracce di memoria. Kafka. Un racconto di cui non ricordi il finale. O forse il finale non l'aveva perché quei sette messaggeri si perdevano in terre lontane, troppo lontane per inviare dispacci. E c'è una cosa che solo la viola può dire, là dove il violoncello si perde dietro le sue nostalgie. Prati fioriti d'estate. Genziane, genzianelle, campanule, e, nascosto dietro un arbusto di ginepro, il Dio Blu, il mirtillo. N

Funzioni, non funzioni

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Sono ovunque  i segnali dell'inedia.  E non ho più l'intenzione  di rimandare il tempo.  Ovunque io posi lo sguardo  sono là,  segni di ciò che  avrei potuto dire,  di ciò che avrei potuto fare.  E scrivo ora  ciò che per scherzo  recitavo ieri  tra me e me.  Funzioni, non funzioni  e inciampi e cadi  e ridi, ridi, ridi  del ginocchio sbucciato  della mano corrosa  e lo sguardo, fisso.  Ti alzi e funzioni,  non funzioni  e inciampi e cadi  e diffondi verbi  perché sia dato al mondo  ciò che a te è precluso.  Che coscienza è questa?  (funzioni-non funzioni)  che viene da lontano  e tu la diffondi  dal ginocchio sbucciato  dalla mano corrosa  e lo sguardo  fisso?  Che cuore è questo?  Che salta i tempi  e poggia lacrime sulla speranza  di un petalo?  Funzioni o non funzioni?  Che cadi e ridi  del fango sul volto  e del livido sullo sterno.  E lo sguardo fisso  su una terra  a te preclusa.

Tre poesie dedicate alla Corsica

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Terra Nel Sole, il sole,  sguardo di cane.  Terra di simboli.  Nel canto, il mio  il canto dei popoli  Terra di densità.  Nel silenzio  gioia e movimento  Terra degli opposti.  Nei cerchi sacri, tra gli alberi, la danza  Terra d’Iniziazione.   Trilli      Richiami di grilli,      visioni nascoste      del primo suono  Chiamata  Avanzano lenti i nuovi sospiri  Avanzano lenti i venti di terra  Lenti avanzano  Avanzano. Avanzano.

Resh, Shin, Tav

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Resh ר  Sotto il patibolo della  parola sdentata,  Maestro,  pure io ho seppellito la mia Leah.  Sotto terra, il primo  suono, color fuoco,  in lingua nuova  è grido  di rinascita  per chi resta solo  Shin ש  E non c'è pace,  Maestro, se non si abbassa la palpebra tra il falso e il vero. Sui tre rami dell'albero foglie e luce. Dalla terra nera la radice,  cieca, ricava nutrimento.  Tav ת  Dammi la mano,  Maestro.  Ho paura.  L'accesso al monte è interdetto  e ogni ciclo si conclude  nel Silenzio.

Canto

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scritto con Silvia Tebaldi nella primavera del 2020  Siamo tradotti dai Salmi dal verbo degli uccelli  dalla lingua dell'inconscio  nella rete dei giorni riarsi.  E ci attarda la sera  davanti ai fuochi  della narrazione antica  tra sguardi di bambini.  Tehillim di incipiente primavera  dispaccio dall'inconscio che ci desta  prima dell'alba, prima del nulla  quando si posano  i nostri pensieri di elevazione  sul soffio che unisce,  contenti della terra  che crea spazio e tempo.  O Vampa nera. O Grande vuoto.  O indicibile Nome.  Posati sulle nostre tempie.  Le nostre nuche anelano  al soffio della tua Parola.  Trema la vite, trema il gelso,  La terra è secca.  Sia il soffio pioggia, sia la pioggia,  sia.  E i morti nei nostri cuori  e natura che va per la sua strada.  Il ruscello tace, la foglia trema, la terra è secca,  la mano in attesa del passo  del Silenzio. Maestro.  O nostra madre angoscia,  nostra t

Kof

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  Alba.  La scimmia ride sul ramo.  Il braccio nel fango,  là,  dove si incagliano ostinate  parole d'imitazione.  Sole allo Zenit.  Sul palmo della mano  la gemma, dal limo.  Pura, unica  illesa.  La scimmia non ride più  saltella cento volte  sui quattro punti  cardinali.

Samech

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  Un sogno non interpretato è come una lettera non aperta (Talmud) Sessanta petali, dieci steli,  sei foglie e quaranta semi  sostengono il fiore nel sogno.  Sessanta passi, dieci balzi,  sei canti e quaranta silenzi,  concludono il cammino  di chi vacilla;  segni d'un miracolo  nell'occhio d'ossidiana  di mio figlio  sull'oro e sul ferro  della porta d'Oriente

Piangi

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J.S. Bach, The Well-Tempered Clavier, Book 1 / Sviatoslav Richter  Piangi? Piangi? Piangi? E non ti chiedo perché, no non te lo chiedo piangi e non ti chiedo perché, piangi e non ti chiedo perché e leva e appoggia e senti il polpastrello sul tasto e piangi e io non ti chiedo perché sono solo suoni le emozioni, solo suoni e piangi, piangi, piangi e non ti chiedo perché, atterra, atterra e sentirai il cielo tra le palpebre che vibrano umide piangi, piangi, piangi e non ti chiedo perché lascia che sia, tempera il tuo clavicembalo, piangi, piangi, piangi non ti chiederò perché e starò qui o lì o altrove, ma starò mentre tu piangi, piangi, piangi e io non ti chiedo perché sono note che si rincorrono le lacrime, mentre piangi e io non ti chiedo perché sono fulmini, luci che abbagliano in un cielo grigio e tu piangi, tuona, tuona, e io non ti chiederò perché lo senti il canto della sirena che lento avanza e non hai un palo a cui legarti e la nave va di

Tzade (davanti al Giusto)

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L'albero non nega né acconsente. Proclama la sua pienezza dal silenzio delle radici. E tace il canto nell'ora che prepara i sogni. Mi chiedevo dove fosse la tua voce, poi ho visto la corteccia. Era la mia. Sudori di resina ne dicevano il passato. Io non sono albero, ma abbocco, come pesce all'amo, mentre danzano i simboli. La parola è niente. La parola è inciampo, balbuziente, è incanto di fattucchiera per una mente semplice. E io ne sono schiavo; per questo non porto foglie né dono frutti

Pe(i)

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 בִּ֣י אֲדֹנָי֒ לֹא֩ אִ֨ישׁ דְּבָרִ֜ים  אָנֹ֗כִי גַּ֤ם מִתְּמוֹל֙  גַּ֣ם מִשִּׁלְשֹׁ֔ם גַּ֛ם מֵאָ֥ז דַּבֶּרְךָאֶל־עַבְדֶּ֑ךָ  כִּ֧י כְבַד־פֶּ֛ה וּכְבַ֥ד לָשׁ֖וֹן אָנֹֽכִי  ….io non sono un uomo della parola;  non lo sono mai stato prima  e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo,  perché sono impacciato di bocca e di lingua".  Da Shemot (Esodo) 4,10  Il mio maestro è balbuziente;  la sua bocca inciampa  ottanta volte su ogni parola.  Il mio maestro è balbuziente;  il suo sguardo verso nord  cerca grazia e rifugio sacro.  Il mio maestro è balbuziente;  perde un dente  annuisce ottocento volte  e sorride al carico  di completare l'opera.

Ayin

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Sai, figlio mio,  la prima luce illuminò  sessanta volte mille  e settantacinque soli,  e furono sette, figlio mio,  i raggi di stella  nella pupilla del Giusto.  La luce del risveglio,  figlio mio,  è lode eterna e tripudio  per settanta generazioni;  e nell'occhio del sapiente,  figlio mio, è custodito  ogni fertile dolore;  sulla corteccia ruvida dell'albero del silenzio,  figlio mio, il Giusto  posa la sua mano  e pulsano radici  e vibra il fogliame,  il Giusto che salva,  figlio mio, e punta  il suo occhio antico  sui tuoi volti e  benedice il tuo nome.  E ora riposa, figlio mio,  al suono delle settanta  cantilene che diedero  Gloria e Armonia al Creato

Mi attarda (Mon Enfance)

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Mi attarda,  lo sai,  lo sguardo sul muro, e il volo di rondine. Fischiano e picchiano,  come aghi di pino  nel bosco dell'impossibile E ride al canto del merlo, il ricordo d'un volto-mirtillo  da bambino. E tace lo sguardo che si perde nell'ora del tramonto che tutto cela.  Sospendevo allora, con gesto della mano, il flusso del tempo.  Poi la posavo, non ancora uomo,  sulle cortecce degli alberi. Erano pianti, lo sai.  E sai che il bello   e lo stupore calano goccia a goccia,  prima d'ogni parola nel cuore di chi canta in lingua antica e sovrana. Allora ti prego,  amico,  non ridere se m'attarda ancora, nell'ora che prepara  la battaglia, il ricordo di occhi bambini, da gufetto  nel bosco della vita.

Nun

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Adam è perso, eradicato  Adam è diviso e spezzato  Norah, coricata al suo  fianco, si fa lanterna  per reni e stomaco e cuore  e suona per lui  la sua arpa d'argento  su polvere e sangue e fiele  e gli sussurra: alzati  e lo chiama Uomo

La Flussa

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Disegni di Judith Sideri Canto all'antica in sibemolle minore per ragù e orchestra Bolle il brodo e borbottano gli aromi e si mescolano odori e ricordi  e immagini e penne e parole tra i peli ormai bianchi della mia barba. Sanno di desiderio, il mio,  mentre il tuo vissuto canta nelle cucine in cui giocavi coi tuoi  sei fratelli tra una risata  e un rimbrotto della rezdora. Io non lo so, anzi lo so cosa ti ha reso muto; non so, anzi lo so,  cosa mi ha reso ciarlone.  E so che ciò che mi ferisce  ora ti ferì allora, papà.  E scusami, se ho aggiunto bacche di ginepro  ai tuoi ragù, ma i miei boschi  si insinuano ovunque. Sono i sentieri che ho percorso  per allontanarmi da te, le vie che ora  mi riportano a te. E il merlo di cui tu imitavi il fischio canta sul mio balcone a ogni tramonto. Ci toccheremo finalmente le mani sotto un larice, papà, e forse mi tirerai come allora una pigna, e fingerò come allora di rima