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La Flussa

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Disegni di Judith Sideri Canto all'antica in sibemolle minore per ragù e orchestra Bolle il brodo e borbottano gli aromi e si mescolano odori e ricordi  e immagini e penne e parole tra i peli ormai bianchi della mia barba. Sanno di desiderio, il mio,  mentre il tuo vissuto canta nelle cucine in cui giocavi coi tuoi  sei fratelli tra una risata  e un rimbrotto della rezdora. Io non lo so, anzi lo so cosa ti ha reso muto; non so, anzi lo so,  cosa mi ha reso ciarlone.  E so che ciò che mi ferisce  ora ti ferì allora, papà.  E scusami, se ho aggiunto bacche di ginepro  ai tuoi ragù, ma i miei boschi  si insinuano ovunque. Sono i sentieri che ho percorso  per allontanarmi da te, le vie che ora  mi riportano a te. E il merlo di cui tu imitavi il fischio canta sul mio balcone a ogni tramonto. Ci toccheremo finalmente le mani sotto un larice, papà, e forse mi tirerai come allora una pigna, e fingerò come allora di rima

Mem

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Il secchio, guardia dell'abisso, copre acque che, goccia su goccia, scorrono sotterranee. Ti celi al nostro sguardo e lasci tracce,  ridente, tra nespoli e ali di falco. Noi, quaggiù, popolo devoto al tuo nascondimento eleviamo un canto umano in tua gloria, chissà se uditi, chissà se udito.

Concerto

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Note stridenti,  acide,  metallo  contro metallo, legno secco  su legno secco. Intervalli di settima,  di seconda,  disarmonie. Muti gli ottoni,  squillanti i silenzi Eppur presente, ancora, tenue e inascoltato il canto altro,  mai sopito

Au commencement (בראשית)

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Quadro di Paul Klee - particolare Viene di lontano il primo soffio dell'amore,  e strabica, come Venere,  è la prima carezza.  Tu non chiedermi i percorsi  del nostro incontro.  È ancora incerto il mio passo  lungo la spirale centripeta  della vita e m'incanta il battito d'ala dell'airone sulla linea dell'orizzonte

Il messaggero d'autunno

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"Ci vuole un prisma", dicevi, "per trasformare luci bianche in arcobaleni di colori". Io cercavo, al contrario,  il luogo ove ogni parola  torna; un unico silenzio.  Mi sedetti sull'erba. Lontano cantava  un usignolo. Sergio Daniele Donati  - inedito Versi ispirati all'opera di Paul Klee " il messaggero d'autunno".

Lamed

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Spingimi via perché  io possa tornare; insegnami il piccolo  ché io possa  muovere mosche e moscerini  dai miei occhi. Dai impulso  all'apprendimento del passo dopo passo, porta dell'Altrove. E poi strega, incanta e bisbiglia (luce e neve) (canto di sirena) perché il Vero sia non nel luogo della dimora ma dove lo andrò a cercare                                                                                                                                                                                         

Nel tempo del glicine

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Nel tempo del glicine il passo smorza gli occhi violano i colori del mondo. Nel tempo del glicine il silenzio è nel morbo e la madre sul figlio coperto; d'ansie. Nel tempo del glicine posiamo maschere sulle maschere dei nostri volti E sono chiacchiere e suoni di violino dal verone noi tutti, Giuliette, lanciamo un grido. E crisi e fame e code ai rifornimenti nel tempo del glicine ai rifornimenti. E osiamo una battuta e chissà chi abbocca. Chissà chi abbocca nel tempo del glicine. E l'anziano muore, e il bimbo Zorro mascherato nel tempo del glicine. E le mani non strette, gli abbracci non dati, le carezze negate nel tempo del glicine e le lingue non intrecciate e le salive non mescolate per i giovani amanti nel tempo del glicine A debita distanza l'uno dall'altra guardano il glicine attaccato al muro, tenace contro il muro e partono da lì, di nuovo, i giovani amanti nel tempo del glicine.

Kaddish

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Non può che durare  a lungo quella nota sospesa. Non può che tenere a lungo quel filo, di lino, colore argento.  Ricordi e strazio.  Ma non è strazio anche il violino che  suona e suona, e suona incurante del desiderio  di non ascoltare più?  ? E si tendono mani, bambine.                   Perché è del bimbo la spontanea elevazione.  Plurale e collettiva. Si tendono mani  verso ciuffi d'erba di ricordi mentre la cantilena sostiene.  Energie d'insieme.  Linfe vitali.  Dieci anime,  per innalzare un Nome.  Dieci Iod per dieci Iod per nominare e santificare  lo sguardo arrossato di chi ricorda. Sono dieci mani sulle spalle.  Affaticate.  E carezze e sguardi ritrosi  e volti stretti,  in quella serie infinita  di elevazioni, congiunte  dalla stanghetta santa della Vav. Ricorda l'altro e l'Altro. Dieci anime a sostegno di un cuore che lacrima stille di perdita

Kaf

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Misura venti passi, lo sai, la distanza tra lo zelo del Giusto e la sua ritrosia. Misura venti spanne, lo sai, la distanza tra la mano che giura e quella che seduce. Tre sono le corone, lo sai. La quarta, dall'alto, spiana la via e rende stabile il passo. E chissà se lo sai.

Iod

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Crea cieli e terra e mondi  la lucciola  sul palmo della mano  goccia di rugiada  fiamma di candela  svela al Giusto il Nome  che mai fu detto  e versa nel suo cuore  calde stille  di pozione di vita