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Visualizzazione dei post con l'etichetta Lettere ebraiche

Tzade (davanti al Giusto)

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L'albero non nega né acconsente. Proclama la sua pienezza dal silenzio delle radici. E tace il canto nell'ora che prepara i sogni. Mi chiedevo dove fosse la tua voce, poi ho visto la corteccia. Era la mia. Sudori di resina ne dicevano il passato. Io non sono albero, ma abbocco, come pesce all'amo, mentre danzano i simboli. La parola è niente. La parola è inciampo, balbuziente, è incanto di fattucchiera per una mente semplice. E io ne sono schiavo; per questo non porto foglie né dono frutti

Nun

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Adam è perso, eradicato  Adam è diviso e spezzato  Norah, coricata al suo  fianco, si fa lanterna  per reni e stomaco e cuore  e suona per lui  la sua arpa d'argento  su polvere e sangue e fiele  e gli sussurra: alzati  e lo chiama Uomo

Lamed

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Spingimi via perché  io possa tornare; insegnami il piccolo  ché io possa  muovere mosche e moscerini  dai miei occhi. Dai impulso  all'apprendimento del passo dopo passo, porta dell'Altrove. E poi strega, incanta e bisbiglia (luce e neve) (canto di sirena) perché il Vero sia non nel luogo della dimora ma dove lo andrò a cercare                                                                                                                                                                                         

Iod

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Crea cieli e terra e mondi  la lucciola  sul palmo della mano  goccia di rugiada  fiamma di candela  svela al Giusto il Nome  che mai fu detto  e versa nel suo cuore  calde stille  di pozione di vita

Zain

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Ascolta. Bisbigliano piano nomi ineffabili le sere d'estate. Osserva. Brillano, pugnali di diamanti, grida di bambini nei cortili. Silenzio. Avanza, passo di lince, il soffio del settimo nutrimento Luce. La chiave di bronzo apre lenta sorrisi su volti stretti di cera.

Vav

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                      Sta. Nel filo teso di lino la fatica di coniugare,                        di far vibrare legati passato e futuro                        con salto d'asta sulla barra dell'orizzonte                        Sta. Nel succo di radici antiche ogni lama,                        ogni scintilla e fiamma di candela                        delle pupille d'ossidiana dei nostri figli

He

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L'anima cetra arpeggia scale e accordi sottili  eleva gridi d'esistenza  d'un cuore bambino  rende possibile nel canto  l'abbraccio al mondo         l'anima soffio protegge         i passi dei figli del Silenzio         separa semi dalla terra         e li lancia verso un cielo che ride  Mi dicevi “io vado”  guardai a terra inizio e fine del mio mondo         Chi non accoglie         tra sterno e clavicole         un vagito neonato?

Dalet

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  Johann Sebastian Bach  -   Piano Partita No. 2 In C Minor, BWV 826    (Esec. Martha Argerich ) Davanti a quella porta io mi chino. La scrittura si fa piccola, sempre più piccola; essenziale. Mi dicevi poeta da piccolo. Io, sognante, componevo frasi con le quattro parole che possedevo. “Il cielo, il mare e mamma e papà”, ricordi? Poi mescolai elementi e materie e tu mi dicesti scrittore. Fu un necessario strappo a costringere l'abbondanza dei simboli, ali di rondine per le mie intuizioni, in cassetti inaccessibili, anche a me. Anche a me. Rimanemmo in tre; e ora lentamente svanisci anche tu. Con passo fragile, insicuro, delicato e discreto svanisci. Ti fai piccola ai miei occhi che si chiudono per non vedere. E, mentre a stento varco quella porta, lenta appare in cielo, come scritta di fuoco grigio, la domanda: “Chi mai sosterrà le mie lettere ora, mamma? Chi mai?”.

Ghimel

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Su musica di F. Chopin - Notturni, nell'esecuzione di Brigitte Engemor  Gattoni a stento, tenace. Sorridi al sogno.  È argento la sorgente,  spirale del tuo movimento.  Licheni ocra intenso,  vene giocose  per la tua verde linfa,  incidono su pietra antica  la mappa del tuo nome.  Io padre e figlio del sogno,  t'attendo fiducioso.  Sguardo da pastore  verso valli d'anelito,  mi dondolo lento.  Il tuo futuro è battito d'ala  tra i miei occhi.  Apro le braccia, silenzioso;  l'onda della vita canta.  “Vieni Gabrièl, ce la fai!”

Bet

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Filtravano raggi di luna piena  dalla soglia del tuo rifugio.  Dentro, nel tepore, gorgogliavano  docili note di sorgente pura.  Fu mia la scelta; il primo passo,  là fuori, nel bosco della narrazione.  V'incontrai silenzi, parole, balzi,  e crescite e diminuzioni  della voce che mi abita.  E, nelle notti di luna nuova,  volto lo sguardo alla tua soglia;  e mi culla la nostalgia  del mio lento ritorno.

Alef

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Sorgente silente,  sussurri ai miei orecchi parole arcane.  E ti celi in un universo che non ti contiene;  nel Silenzio che è prima di ogni vagito.  Ti ho vista dietro l'Albero  cantare nenie a un popolo ilare.  E ho visto i loro sguardi umidi  in quel suono senza suono  che tutto smuove, nella memoria;  Ho smesso di cercarti; certo che  sarai tu a trovarmi nel sogno,  compagna evanescente  dei miei giochi d'elevazione.