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Sparring partner

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  Dicono che sia nata prima la seconda gobba sul mio naso che i miei denti da latte. Parloai, scribacchini, gente capace solo di vedere negli altri un volto; alla volta. Io, certo, paro, colpisco e schivo e ogni tanto capita che aggiunga nuove gobbe al mio nasone. E rido, rido rido; ormai il mondo non ha più strumenti per farmi triste. Oh, sì, c'è stato un tempo (io lo ricordo) in cui il mio naso era dritto che sembrava la giusta ipotenusa per i cateti che congiungono labbro superiore e centro della fronte -  e centro della fronte e sopracciglia. Si è rotto - il nasone - per una disattenzione, forse. Avrei dovuto colpire prima io. Ma nel pubblico c'era lei, e non potevo vincere, che non è nelle mie corde ignoranti la stoffa del campione. Io per gli altri non vinco. Perdo per loro. Le prendo, resisto, mi rialzo e rido; per gli altri. E poco importa se in pochi capiscono il messaggio. Dicono, ridendo delle gobbe sul mio naso, che in fondo era scritto che non avrei mai vinto nient

La danza del pugile

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Abbasso la guardia, ancora una volta, e lo prendo in pieno volto.  E cado a terra col pubblico che grida e il viso preoccupato dell'arbitro a pochi centimetri dal mio.  Conta fino a dieci. Urla. Ma dieci cosa?  Non sono certo secondi quelli che scorrono lenti tra i miei occhi gonfi.  Uno, due , tre.  Nemmeno il tempo di capire dove sono. Respirare mi fa male.  Erano tre i fratelli maschi che mi hanno portato via.  E danzo sul ring e picchio forte il sacco per dimenticare, per perdonarmi di essere sopravvissuto, io, il più piccolo, unico nella mia famiglia, a quello scempio.  E certo che ho dovuto imparare a danzare, e non so se sia più difficile schivare i montanti di Jo, il mio istruttore, o i ricordi.  So che muovo i piedi leggero come un danzatore classico e la gente in palestra si ferma a guardarmi estasiata.  Ma, se il nome dei miei fratelli compare da qualche angolo della mia mente, mi fermo abbasso la guardia e guardo Jo. Vorrei che mi colpisse in mezzo al viso, che mi fraca

Il pugile (ispirata a: Gioco d'azzardo di Paolo Conte)

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Schiva, schiva, para, schiva e colpisci.  Montante basso, para, schiva, schiva ancora. E saltella, danza, cambia guardia, resta al centro del ring, attacca, danza ancora. Diretto, gancio, diretto. Alza la guardia, esci dalle corde, schiva. Colpisci ora. Colpisci...ora. E nella testa quel ritornello, piazzato sotto l'arcata sopraccigliare ormai rotta: “io parlo di me, di me che ho goduto, di me che ho amato e...” Attento, para, ora entra nella sua guardia. Uno, uno, due. Uno. Saltella. Al corpo, al corpo, senza sosta, senza pietà, toglili il fiato. “...e che ho perduto” Gancio, gancio, diretto, gancio. Non fermarti. “Adesso è tardi e dico soltanto...” Cambia guardia ancora, il sudore ti brucia nel sopracciglio. Non importa, mordi, attacca, attacca, non dargli sosta. “...che si trattava d'amore” Diretto, diretto, gancio, montante, diretto. E' a terra. ….sette, otto, nove, dieci “...e non sai quanto”