Oblivion (melanconie)

 

Il sogno - Valdimir Lubarov



NOTA CRITICA  
di Melita Ruiz (Emanuela Maggini)

La celebre definizione del musicista e compositore Enrique Santos Discèpoloil tango è un pensiero triste che si balla” ha fatto il giro del mondo consacrando questa meravigliosa disciplina, nonché pratica meditativa, come la più sensuale delle danze argentine. 
Non è un caso se la maggior parte dei brani realizzati dalle grandi orchestre attive nel panorama musicale tra gli anni Trenta e Quaranta siano caratterizzati da una visione profonda e drammatica oltre che da una innata capacità di cogliere il dolore del mondo. 
Tuttavia, Enrique Discèpolo non ballava; il suo pensiero filosofico racchiuso in un aforisma così semplice eppur potente, nasce da una sensibilità interna tale da portarlo a definire il tango come un sentimento triste. 
Diversi sono poeti, filosofi, artisti contemporanei che pur non praticando il tango argentino è come se lo conoscessero da sempre fosse anche solo perché ne apprezzano la bellezza musicale dei grandi compositori. 
Un esempio in questo senso viene offerto dalla visione poetica dello scrittore milanese Sergio Daniele Donati, appassionato e audiofilo: “conosco il tango ma non lo ballo” afferma candidamente nell’incipit di uno dei suoi numerosi componimenti confluiti nella collana OBLIVION (melanconie) per rendere omaggio alla straordinaria opera di uno dei più conosciuti compositori del mondo tanguero che porta la firma di Astor Piazzolla
Leggendo le poesie del Donati si ha subito la sensazione di essere trasportati in un’atmosfera magica fatta di sentimenti, connessioni e vibrazioni dove la parola assume un carattere sacrale quasi meditativo, dove le immagini descritte rievocano rimpianti ed amori perduti perché se da un lato il poeta si affida al mistero e all’ignoto come la musica argentina suggerisce di fare, dall’altro la dimensione terrena riporta lo scrittore a vivere il dramma del proprio tempo. 
L’amore muore quando non è ascoltato”, “tu ti muovi come dea e posi i tuoi silenzi sul mio sguardo bambino”, “erano inciampi su inciampi ma d’un uomo ancora puro” sono soltanto alcune delle citazioni estratte da uno dei suoi tanti componimenti che vi invito a leggere, in cui il poeta mette a nudo la propria anima con un atto di estrema onestà intellettuale svelando al lettore l’umiltà e fragilità di un “samurai ormai stanco la cui corazza si mostra impreparata ai colpi dell’amore”. 
I versi dell’autore milanese guardano l’amore con gli occhi di un bambino la cui purezza riecheggia a più riprese; e forse è proprio quello sguardo che da inconsapevole diviene malinconico nel momento in cui prende atto dell’impossibilità di tornare indietro a rendere le liriche di Sergio Daniele Donati cariche di significati simbolici e materici al tempo stesso. 
Ecco che sembra svelarsi il segreto della connessione del poeta con la più alta delle danze argentine e con i suoni che essa produce; egli si affida semplicemente al sentimento che il suono del tango rievoca in lui e da lì parte il suo viaggio interiore.
I testi del poeta milanese intrisi di suoni lontani e nostalgici aprono scenari su amori passati, la cui cadenza metrica assume quasi il sapore di una canzone, del tutto simile a quella che potrebbe scrivere un cantautore di tango. 
È qui che risiede la bellezza contenuta nei versi della raccolta OBLIVION (melanconie) e il poeta ne dà prova in più momenti restituendo al lettore quel sentimento tanto triste ma cosi autentico di cui parlava Enrique Santos Discèpolo che come il Donati non ballava tango.

stampa la pagina

Commenti