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Sinagoga - Un sogno

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"La lotta con l'Angelo" di Eugène Delacroix   Resta la brina  sul ricordo di quell'abbraccio, sulla penombra di quel luogo  in cui il sacro si mescolava con l'odore dei nostri epiteli. Eri più vecchia e io, senza tempo, privato del tempo per dire del rimpianto e della nostalgia. «Mi sei mancata» , dicevo. «Ti amo ancora»,  rispondevi. Ma c'era poi quella presenza; il volto coperto da un velo di lino nero stava alla finestra  e prendeva in foto un luogo che vieta le immagini, dietro a un vetro che piangeva gocce di pioggia novembrina dense come colla. E il tuo spavento  e la mia rabbia mentre fustigavo il vuoto  con rami secchi intrecciati, pesanti come il marmo. Poi l'urlo strozzato in gola -  la mia -  «ti faccio vedere io cosa significa fotografare il vuoto», urlavo alzandomi.  Figlio del sogno ho lottato anche io contro il vuoto e ho perso l'attimo per dirti che anch'io ti amo ancora.  Là, in una sinagoga  abitata solo dal nostro incontro palind

(Redazione) - Non alla poesia, non al poeta...alla «parola» - lettera aperta a Mirea Borgia a proposito della raccolta "Ismi" (Il Convivio ed., 2024) - una "non-nota di lettura" di Sergio Daniele Donati

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  Non alla poesia, non al poeta...alla «Parola». Questo volevo dirti, Mirea, dopo aver letto la tua raccolta " Ismi " (Il Convivio ed., 2024).  Ché forse siamo tutti presi da un imperativo tiranno che ci porta a cercare di definire il piccolo di fronte all'eterno  —  o all'abisso  —  che si dipana davanti ai nostri occhi. Umano, teneramente troppo umano, ridurre il reale ai limiti della nostra retina, Mirea.  Ma, leggendoti e soffermandomi sulle nenie senza tempo che proponi al lettore, io l'ho sentito quel richiamo. Ed era sottile e tenue, celato nelle tue ripetizioni, nell'ossessione di un avvilupparsi di lemmi alla ricerca di significanti: la Parola, prima della poesia, infinitamente prima del poeta. Hai ridato valore e spiegazione allo stento di una parola che sorge da lande melmose per divenire scia celeste, come sempre avviene; non senza fatica, non senza affanno. «La parola così poco umana da divenire Umanità» — questo pensavo leggendoti, ché in questa

Due poeti allo specchio (Laura D'Angelo e Sergio Daniele Donati)

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  D'estate Qui c'è aria di primavera, eppure lo sento il desiderio che mi spinge a dirti, in cerca di un tuo cenno, di un tuo presente che sia tu, tu e tu soltanto. Fuggono questi anni e i fiori nuovi mi dicono che ancora un altro è passato, mentre cambiano le stagioni e le ombre dei ricordi si fanno più dolci. Mi baci e sei l'estate. (Laura d'Angelo - inedito 2024) L'incontro Nasce sempre da un profumo — un'ombra sottopelle, un'ambra di memoria — il desiderio di un incontro. E poi, lo sai, non dà cenni né attende invito il mistral sulla costa. Prendi delle mie parole, delle mie lettere bislacche, il vuoto di senso e lascia che parlino la lingua dei fiori di miseria ai tuoi lobi abituati al canto del sacro. Non ho altro dono che l'arte dell'inciampo; un bambino caduto di bicicletta che si preoccupa più del graffio sul manubrio che del ginocchio scorticato; questo sono io, e tu il mare. (Sergio Daniele Donati - inedito 2024) _____ NOTE BIOBIBLIOGRAFI

A proposito della raccolta di Enzo Cannizzo "Il cielo pende dai lampioni" (Algra Editore ,2020) - "non nota di lettura" di Sergio Daniele Donati

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  Dice il poeta  Enzo Cannizzo  (1) 2 ottobre ci prende per mano tra i bagliori dei parabrezza e lo schianto dolcissimo di un altro mattino piove in piazza roma una ragazza si stringe al dizionario e a me pare che in quest'assenza d'interpunzione prenda vita l'eterno gioco, quel nostro vivere il reale come una sequenza senza fine di immagini a cui, alle volte, non siamo in grado di dare che una descrizione minima, fugace. Perchè nel dire senz'altro aggiungere brilla sempre un significato ulteriore e, se volete, un gesto che ridona libertà - quindi è gesto di liberazione - il lettore dalle sue stesse catene.  C'è, in altre parole, nel dire senza attribuire che scarsi e incisivi aggettivi alle proprie parole, un'elevazione etica che lascia all'interprete il commento.  E questo ci fa stringere, come la ragazza sotto la pioggia, alle parole, alla loro potenza liberatoria, soprattutto se le stesse ci vengono donate come una essenza in sé.  E aggiunge il poeta: 13

Cinque poesie inedite di Patrizia Caffiero e una nota di lettura di Sergio Daniele Donati

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  «...Forse questa montagna che ti ombreggia/questo ostacolo corposo e sfuggente/è soltanto la conseguenza amara/del tuo non dare un Nome alle Cose.» scrive in uno degli inediti che oggi pubblichiamo la poeta Patrizia Caffiero.  E in questi versi che paiono centrali mi pare di poter scorgere tracce di un pensiero che ha radici nelle profondità da un lato del Mito e dall'altro in un pensiero mediorientale ben preciso. C'è sempre tanto delle cose nel Nome delle cose , la loro essenza secondo alcuni pensieri, e c'è tanto di ricco nel saper tornare all'origine dei lemmi che danno Nome alle cose.  Ma questo pensiero, sembra suggerirci la poeta, porta con sé un'amarezza di fondo, ché altro non è che la constatazione dell'impossibilità di poter sfiorare la realtà delle cose al di fuori del linguaggio, della parola.  Ed, in fondo, è la stessa ossimorica dolce amarezza che ritroviamo nei versi: «...Ho costruito la casa nel mar/ma non avevo il progetto/quando sono andata

(Redazione) - Genere In-verso - 08 - ll gatto in poesia, simbolo del Femminino e della libertà

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  A cura di David La Mantia Rousseau: «Vi piacciono i gatti?». Boswell: «No». Rousseau: «Ne ero sicuro. È un segno del carattere. In questo avete l’istinto umano del dispotismo. Agli uomini non piacciono i gatti perché il gatto è libero e non si adatterà mai a essere schiavo. Non fa nulla su vostro ordine, come fanno altri animali». Boswell: «Nemmeno una gallina, obbedisce agli ordini». Rousseau: «Vi obbedirebbe, se sapeste farvi capire da essa. Un gatto vi capisce benissimo, ma non vi obbedisce».   di  James Boswell Tratto da Visita a Rousseau e a Voltaire traduzione di Bruno Fonzi, Adelphi 1993) Libertà, dunque. Del resto, i Greci chiamavano il gatto “ailouros”, l'essere che agita la coda, estremo emblema di autonomia, di rispetto degli altri perché non interessato ad esercitare potere. Ma perché identificare i gatti con la figura femminile? Certo, sono oggettivamente belli, armonici, autonomi, liberi, alieni dal servilismo, affascinanti nelle loro pose, capaci di dare affetto e

Dalla raccolta "L'etica dell'acqua" di Giuseppe Manitta (Avagliano ed., 2021) una "lettera aperta simbolico-onirica all'autore" di Sergio Daniele Donati

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  Anche la polvere lotta contro l'estinzione, cerca il suo profilo per non annegare tra le pozzanghere. Il dubbio è sempre se capire le forme o catturarle. Lo schermo, invece, contempla la metamorfosi dell'io e il vangelo della moltiplicazione smarrisce l'orientamento nella calca dei profili. È possibile non avere sosta, espandere il limite oltre la cancellazione, farsi altro, appoggiare la mano su "invio" e crearsi. Facce senza corpo, distrazioni di scena. Siamo un'eresia fatta di rassegnazione. Così tu, Giuseppe Manitta , nella tua raccolta "L'etica dell'acqua" (Avagliano ed., 2021).  E io, che lotto sempre tra senso e suono, e di queste «esse allitteranti» ho fatto una veste sin troppo comoda per definire me stesso, mi fermo e, un poco mi spauro. Perchè questo tuo voler dire del nostro muoverci tra maschere, del nostro indossare i volti che ricoprono la nostra assenza di corpo, risuona denso nei miei midolli.  E mi dona un brivido lungo la

Ai bimbi del ghetto di Varsavia

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  Si ringrazia David Pedrizzetti per averci indicato questa immagine In mano pulviscoli d'infanzia e la disperazione dei padri. Lontano uno Shemà Israel recitato nel bisbiglio assorbito da nuvole grigio-guerra; e le madri lacerate dalla certezza: non c'è che morte sui palmi delle mani e una tenue speranza  in un orizzonte di macerie. Non si sopravvive a quella memoria, si muore — in quella memoria — di generazione in generazione. Davanti al miracolo di ossa decomposte, divenute concime per le radici  dell'eucalipto e del carrubo, io mi fermo, la schiena tenuta dritta dal filo spinato e da schegge di sogni caduti a terra. Nemmeno più lacrime solo sabbie e polveri e poi fumi; dai camini.  Non si sopravvive a quella memoria: io sono perchè voi non siete più io sono perché voi mai siete stati e piango.

Cinque poesie inedite di Marco Giovanni Maggi - con non-nota di lettura di Sergio Daniele Donati

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  È il gioco eterno del simbolo: ci solletica e lancia lontano e, poi, tenendoci legati col filo di lino sottile del significato ci riporta indietro, a velocità decuplicata, verso il nostro stesso centro.  È il gioco eterno del simbolo: tira i dadi della conoscenza sul tappeto verde di una roulette bislacca. Un gioco a cui partecipano sempre almeno tre protagonisti.  La cosa significante, la cosa significata e un soggetto a cui tutto ritorna.  È il gioco eterno del linguaggio: un prato fiorito in cui le metafore si rincorrono imponendoci un moto senza fine verso l'altro da noi, in cui la similitudine impedisce la gabbia della solitudine, del solipsismo; e si intona un canto, a volte stonato ma sempre eticamente fondante; un augurio di non fermare mai la montagna russa, il dipinto puntinista del senso della parola. Le poesie di Marco Giovanni Maggi che oggi proponiamo questo gioco lo conoscono in profondità e lasciano stupito il lettore nel loro donare un movimento che strappa da sé