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Papà e mamma

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Sergio Daniele Donati - Autoritratto © Sei andato via, papà, senza salutare, lasciando solo una scia di ricordo tra i miei passi zoppi. Mamma va ora via  goccia a goccia - la vedo rincorrere  un suo dire bambino - e non lasciano scie quelle sue parole delicate, dense di rimpianto, il mio. Perché su quella pietra,  papà, io mi fermo; senza fondare ecclesie,  mi siedo,  e finalmente piango. Scrivo sempre per mettere ordine,  papà; non ora.  Ora mi siedo; e piango.

A papà

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A mio padre Ora lo so; hai dovuto rinunciare all'idea del sogno, per sopravvivere all'incubo. E so che i limiti che imponiamo a noi stessi non accettiamo siano superati da chi amiamo. Ma il mio sogno, papà, è un tributo al tuo, e se, nel sogno, recupero un'infanzia negata, non credere, non ignoro lo strazio della tua. Ora va di moda dire, papà, che il perdono è l'impossibile detto di chi in fondo si sente superiore  a chi perdona. Ma noi siamo ebrei, papà, e sappiamo che il perdono  è figlio di un lavorio continuo, d'una ricerca di tracce sotto al fango, e d'una immaginazione fertile capace di riconoscere nel tuo sguardo sbarrato d'ansia la gioia di te bimbo  a rincorrere un pallone, prima delle persecuzioni.

Hopper's style in Milano

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E cammina, cammina forte, a passo deciso. Finché l'immagine non svanisce. Non è quel tuo volto, quella maschera di caucciù, che avrei voluto fissare negli occhi per ultimo, papà. Cammina, pompa forte il cuore, il mio, che ancora non si è fermato. E parlami ancora, parlami di Modena, delle tue montagne, parlane a me, figlio distratto, che a quei racconti ho sempre dato troppa poca importanza. Parlane a me, figlio incapace di non fuggire, fallo ora. Ma dal caucciù la voce si strozza. Ed io cammino veloce, per non ricordarla la tua voce acuta, molto più acuta della mia; cammino veloce come un razzo appuntito per tagliare lo strazio denso e proiettarmi altrove, fuori dalle galassie dei non detti, ormai impossibili a dirsi, fuori dagli sguardi abbassati da entrambi, dai "ti voglio bene" reciproci che ci si bloccavano in gola. Due maschi, troppo maschi per cedersi reciprocamente il passo. Che pena, che strazio, il silenzio ottuso, l'incapacità di dire, quando