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A Glenn (scrittura spontanea in controtempo - dedicata a Glenn Gould) di Sergio Daniele Donati

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  poesia esile/poesia esule E dimmi tu quale sia il segreto dell'appoggio di un dito  all'armonia del silenzio.  Io mi copro di sudori e non cala mai  la mia antica stortura.                     esistere è in fondo un baco            e dal buco nero dell'illusione           che esista una verità protetta            dal guscio del proprio nome           le parole escono           come un biascicare  parole d'ubriaco,           un trascinare ricordi di ciabatte           in corridoi d'ospedali dove i muri           trasudavano resine di dolore  giallastro           e colavano  nelle notturne           grida  dei malati d' infanzie mai vissute.  Una nota sospesa - la tua - al filo di rame brunito  della speranza diviene  nella mia retina lacrima e poi sorriso ebete e meraviglia e stupore,          ché  io ancora esisto            come tatuaggio sbiadito           su pelle vissuta.  Di dirmi partecipe alle dissonanze del creato - un eterno intervallo di settima a si

(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 28 - È là che rotola (riflessioni in scrittura spontanea)

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  A cura di Sergio Daniele Donati È là che rotola su un centro instabile la parola che che contiene  semi di legami indicibili e tenaci.  È masso che frana senza requie sui crinali scoscesi dell'incoscienza, la parola che rotola e frantuma riflessi d'ossidiana in un muto paesaggio senza orizzonte terreno.  I significati sono schegge, che tagliano la pelle dell'illusione unitaria, sono scampoli di abbandoni e grida  di stupore malcelato tra le balbuzie di denti ingialliti dall'esperienza fumosa di un non senso che batte.  È la che sorge ironica la parola  che per prima non fu detta,  mai estratta dall'ammasso senza fine di un brusio senza fondo.  È là, e là resta,  la parola che celo  nel superbo spettacolo di orridi montani e tingo di striature di colori invisibili, prima che lo starnuto di un dire involontario copra l'unico rifugio felice del silenzio che evoco  in lingua antica come velo sulla mia superbia di serpente ignorante.  È là, e là resta,  mentre muov

La musica delle dita/un sogno (scrittura spontanea - a mia madre)

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  È là, tra la pieghe del sogno, che risiede un canto quasi mai ascoltato una voce che pare d'altri mondi e d'altra vita  un suono piegato verso la spirale che è vortice nel baricentro della mia postura. Lasciare andare lontano i propri respiri quasi fossero neve lasciarli calare lenti su lande sconosciute su terreni inesplorati e far che coprano quel suono d'arpa che strappa il calore delle lacrime dalle mie retine. Stavi lì, e io ero lì e altrove, a dirmi col tuo canto che saresti tornata a essere bambina per scelta che avresti vissuto ora  l'infanzia che ti fu strappata dai fumi della storia. Tu madre di te stessa bambina,  finalmente,  io come sempre figlio di un soffio troppo sottile per essere vero inconsistente, senza contorni capace solo di testimonianza dell'altrui grandezza.  Eppure tra le mie dita nel sogno un controcanto si alzava lento e le muovevo - le dita - quasi fossero bacchette magiche che creavano negli strati gassosi dell'esistenza alchimie

Ricorda (sempre Oblivion)

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  scrittura esile/scrittura esule Ricorda, o almeno lascia che io ricordi. C'è stato un tempo in cui i nostri sguardi si incrociavano; e poi fuggivano ritrosi a terra. Ed era la medesima terra ad accogliere le nostre timidezze.  Una terra fertile, allora. Là, a terra, ci scambiavamo un canto e le mani non osavano ancora sfiorarsi. Erano i tempi di noi bambini e timidi (elettivi dicevi), di un noi ancora bambino e timido, ma eravamo ancora aperti a tutte le parole da venire. Ed erano parole che, forse, non abbiamo mai detto, ma per certo entrambi abbiamo immaginato, milioni di volte. Gli occhi chiusi, lo sai, abbiamo pensato miliardi di volte quelle parole compiere voli sulle nostre pelli e tramutare il nostro epitelio in tessitura d'amore. Che al potere della parola, lo sai bene, abbiamo sempre creduto entrambi, con tutte le nostre fibre. Ed è inutile fingere tra noi; ci crediamo ancora. Ricorda, o almeno lasciami ricordare, la dolcezza del primo bacio, la timidezza della tua v

Una meditazione a occhi chiusi

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  Foto di Man Ray scrittura esile/scrittura esule È arrivato l'istante. Inesorabile. Lento. E atteso. E porta con sé bave di lumaca e vischiosi fili di ragno. Atteso, inesorabile e lento.   Non sei pronto, non lo sei mai stato. Nemmeno quando contavi i tuoi respiri, gli occhi chiusi, meditando. Nemmeno quando ti fingevi pronto a essere trafitto dalla freccia. È arrivato, come fa lui; l'istante. Irruente. Atteso, lento e inesorabile. La palpebra vibra e non si alza. Il respiro si fa affannoso e tu osservi. Impreparato a ciò che attendi da tempo. Che il ricordo sarebbe tornato lo sapevi. Che avrebbe portato con sé tinte ocra e pastello a fiumi, lo immaginavi. Il muro crolla e resta una sola rovina. Palpebre abbassate e una mente testarda che conta i respiri. L'aria entra e sono mani, e carezze e profumi. La palpebra vibra e tu non la alzi. E crollano vestigia e mura armate mentre arriva - lento, inesorabile e atteso - l'istante. L'aria esce lenta e sono voci: dolci, a

Nella Fucina della Parola

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Che poi si cerchi anche il plauso dalla Fucina della Parola è cosa certa e antica. Un dire diretto per colpire in chi legge la vertebra dell'assenso. O, al contrario, un parlare sommesso lasciando intendere vi sia ben altro di non detto; solletico, questo, all'articolazione malsana della curiosità. La parola è costituita di materiale neutro, prezioso e grezzo nella Fucina della Parola; e là parlare (o scrivere) senza porsi il problema del limite (del detto o del taciuto), così rispondendo solo ad una legge antica e piccola che ci vuole schiavi di ciò che pretendiamo di dominare, è permearsi di una piccolezza che non giova a chi scrive, né a chi legge, né alla parola. L'Artigiano, pur miope, nella fucina raccoglie la gemma grezza e la pulisce da detriti millenari; bisbigliando formule sacre e antiche che ne risveglino il potenziale di stella o il ritmo costante della risacca del mare o profumi mediorientali d'eucalipto o mirto. Si dimentica l'Artigiano d'avere

Arpeggi e cicale

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  Rachmaninoff – Adagio del piano concerto #2 in C Minor, Op. 18 Io ti raggiungerò, padre, nel luogo designato, ti raggiungerò; a passo felice con i chiodi nelle scarpe, ti raggiungerò e a nulla varranno le cetre e i liuti,  là,  dove il suono della fonte sarà sovrano,  dove lo scacco sarà pedone. Io ti raggiungerò,  e sarà sorriso che unisce, padre e sarò di nuovo figlio,  del vento e delle cicale, come allora,  e il sasso che rimbalza  cricchetto, ricochet, grillo salterino. E rideremo rideremo,  come non abbiamo riso allora, e la risate si alzeranno come vele,  padre, e ci porteranno nel luogo  che i nostri occhi hanno sognato lontano, lontano, e sarà musica di cembali  e flauti e liane a cui appendersi, e sarò figlio del vento e delle cicale, e sarai figlio del vento e delle cicale. Io ti raggiungerò, padre,  e immergeremo i piedi nella neve che si farà scherzose beffe dei nostri “ohi che freddo, ohi ohi”, e rideremo, rideremo padre; e di lontano un corno inglese ci dirà che è 

La danza delle parole (scrittura spontanea)

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  Mi siedo. Resto immobile davanti alla tastiera del pc.  Attendo e estendo. Arrivano lente. Ma arrivano sempre. Le parole.  Da luoghi a me sconosciuti. Arrivano e bussano prima alle tempie poi sullo sterno.  Legate, disgiunte, piccole e crocchie.  E bussano, per essere dette, per essere scritte.  Io mi siedo, immobile, e aspetto.  Ecco la prima  Aquilone E cieli tersi, e fili lunghi tesi. E vento. Tanto vento. Da portarti via. Chissà dove, chissà dove.  Sabbia  Riempivo le mani di sabbia al mare e la lasciavo cadere piano come un flusso di cose antiche.  E poi danzavo al ritmo del granello di sabbia. Giochi di bambini. La sabbia era calda. Io ero caldo.  Madre Che te ne vai, che resti, che sorridi quando leggi cosa scrivo e mi dici che dovevo scrivere di più allora. E ci guardiamo, sapendo che allora non era possibile; ma ora sì.  Ora danzo con le parole e tu sorridi, che forse tutto questo lo avevi già visto. Allora  Ragù  Borbottava di là, in cucina. Mentre io leggevo i fumetti nell