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(Redazione) - Specchi e labirinti - 27 - Cuore Leggero

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  A cura di Paola Deplano «Hai una pronuncia pessima.» Avevo detto una parola in inglese, alla cena di fine anno tra colleghi - e lui mi aveva corretta così,  davanti a tutti: « Hai una pronuncia pessima. » Proprio questo aveva detto, me lo ricordo ancora,  anche se non brucia più: « Hai una pronuncia pessima. » Mi stava facendo pagare il fatto che lo avevo COSTRETTO ad uscire con i MIEI amici. Degli altri ricordo, a questo punto, il silenzio imbarazzato, gli sguardi nei piatti. Di te ricordo gli occhi dispiaciuti per me - e su di me. Dopo qualche bicchiere di troppo, prese di mira anche te. Non direttamente, per carità, ma si capiva  benissimo a chi fosse rivolta la violenta filippica contro i terroni che rubano il lavoro agli altri. Vani  furono i tentativi di farlo stare zitto, non solo miei.  A scuola ti volevamo - ti vogliamo - tutti bene.  Solo tu non parlasti, come se la cosa non ti riguardasse, come se tu fossi nato a Bolzano da genitori finlandesi, non in un paesino del Salent

El me Milan - ricordi di un Nature Boy

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Era, è e sarà sempre così. Perché quando il ricordo piega, e senti un'odore d'asfalto grigio nei pori della pelle so che lei, al me Milan, mi parla.  E abbasso gli occhi, perché non ho risolto nulla e, forse, non c'era nulla da risolvere, se non la tirannia di un racconto.  E metto le mani in tasca, come allora facevo in quelle, bucate, del mio Montgomery col cammello con i bottoni in osso.  Era stato un regalo di papà, forse troppo largo, perché ero piccolo e magro; ma tanto "che male fa? poi ci cresce dentro".  E io ci sono cresciuto dentro e dentro ci sono cresciute le mie paure e quelle strane sensazioni adolescenti tra le costole, in una Milano che d'inverno sapeva d'umidità e d'estate, invece...d'umidità ancora.  Ci sono cresciuto dentro camminando per le strade e contando i tombini del Giambellino, con una calamita in tasca, perché a volte c'erano delle monetine da recuperare, per comprarci poi la spuma al bar, un posto dove papà mi dice

(Redazione) - Speciale "I Mostri" - "Ho incontrato il Golem" - un racconto (forse!) di Sergio Daniele Donati

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  di Sergio Daniele Donati “ Ho l’impressione di ripartire da zero, di dover ricominciare un percorso che credevo concluso ”. Questo pensava Max Baruch con la penna in mano e il foglio bianco come un lenzuolo davanti a sé. “ So che questi appunti mi serviranno come materiale grezzo per alcune mie future scritture e che questo non è altro che un momento di rivalutazione. Eppure la sensazione profonda di fallimento mi accompagna. La parola mi è diventata nemica, e così anche il silenzio. Ho creato in questi anni un’enorme dinamica attorno alla scrittura, ma non è altro che fango incapace di riempire di una sola goccia d’olio sacro la voragine che occupa il mio centro ”. Erano pensieri tetri, melmosi e ossessivi quelli che prendevano corpo – un corpo di gigante – nella mente dell’anziano scrittore. E la notte – sua antica amante – riempiva ora i suoi pensieri di dubbi e incertezze. “ Scrivo ormai solo per stendere lenimenti inefficaci sugli orli di una ferita ancora in suppurazione e, a p

De profundis (una scrittura in onore di Vladimr Lubarov e Arvo Part)

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  Opera di Vladimir Lubarov Ci sono stato a lungo davanti a quello specchio che pareva riprodurre all'infinito una nenia di memoria, terzine di suoni che erano balzi - avanti e indietro, per poi tornare, chissà dove.  Chissà dove? E ho tenuto a lungo lo sguardo fisso sulla candela sullo scrittoio alla ricerca dell'anima nera e nobile che sostiene ogni nostra tremula speranza.  Nero all'interno, bianco in mezzo, azzurro fuori, queste sono le alchimie di una fragile fiamma.    Ma tu non c'eri, né mi accompagnava la tua voce, non più. Allora mi sono rivolto ai semidei che abitano la mia libreria e ho cercato parole, lemmi di conforto. Ma le lettere si mescolavano come sotto uno sguardo fortemente dislessico e componevano continui nonsense in lingue arcane e sconosciute. Una sola aveva contorni di fuoco: una Alef, muta e regale.  Mi guardava dentro le iridi senza cercare nulla, o forse cercando il nulla che le abitava.  Fu allora che una goccia d'ambra mi rigò il viso. 

Non ho barato... (un racconto di Maria Gabriella Cianciulli)

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  Non erano maschere di carnevale quelle che di tanto in tanto Umberto Sati vedeva alzando lo sguardo al televisore nell’angolo della sala d’attesa del poliambulatorio dove si era recato per un consulto specialistico, poiché da tempo accusava forti crampi allo stomaco. L’infermiera, sopraffatta da un colpo di tosse, gesticolò per qualche secondo indicando il corridoio a sinistra pregandolo di raggiungere la sala ecografica, il verdetto fu inequivocabile: " Signor Umberto lei ha una calcolosi in atto, dovrà togliere questa cistifellea al più presto ", tuonò il dottor Mauro Collante.  Si portò fuori al balcone per una boccata d’aria con la sua mole di uomo nerboruto, ossidato dal lavoro di tranviere svolto in Brianza per 40 anni. Gli occhi cerulei guizzarono sul viso tondo incorniciato da una capigliatura rossiccia e scompigliata, inevitabilmente come sempre gli capitava si velarono di un leggero torpore per via del dolore addominale; rientrando in sala d’attesa lo sguardo andò

LA TARANTOLA (UN RACCONTO DI LUANA MINATO - già apparso nell’antologia “Schegge e frammenti”, Terra d’ulivi edizioni, 2019)

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Il racconto La Tarantola  che qui si presenta  è già stato pubblicato nell’antologia “Schegge e frammenti”,  Terra d’ulivi edizioni , 2019,   curata da Elio Scarciglia LA TARANTOLA Mattia Contini non amava i ragni e non li amava per un timore irrazionale, una paura infantile che riusciva a esorcizzare soltanto quando ne catturava uno e lo vedeva imbalsamato.  Lo prendeva cautamente con un piccolo retino, facendo attenzione a lasciarlo intatto, poi lo rovesciava in un vasetto di vetro ben sigillato e quando era sicuro che l'animale fosse morto, lo ”imbalsamava“ con un metodo che aveva appreso consultando i forum entomologi.  Solo in questo modo riusciva a tranquillizzarsi e a scacciare quell'idea assurda che gli veniva tutte le volte che ne vedeva uno, cioè di immaginare di essere lui la preda invischiata nei fili insidiosi della ragnatela e finire divorato nelle fauci di una aracnide a otto zampe.  Con gli anni aveva collezionato diversi esemplari di Araneae ma questa sua oss

Il femminile (negli occhi di quest'uomo)

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"Il femminile" , dicevi. "Il femminile" , ascoltavo, e già la mia mente si perdeva. Perché nel cuore di quest' uomo il femminile è voce nascosta, volto velato. Nel cuore di quest'uomo il femminile è il lontano abbaiare di un cane; in una notte d'estate. Un addio soffocato: perché? Perché io? Perché a me? È una lucina accesa poi in sguardi nuovi - vieni, completami, colmami. Nel cuore quest'uomo femminile non è mai evidenza, semmai emergenza, inciampo, canto e sussurro. È velo, ricordo, urlo strozzato, affogato in pinte di birra. Nel cuore di quest' uomo il femminile è apparizione e sparizione, separazione, assenza d'azione. Sono mani tese verso un vuoto che acceca (è:  mamma perché non torni ciò che eri? Perché non torni? ) "Il femminile" , dicevi, "dobbiamo riscoprirlo" . E rallentava il respiro. Il mio. Perché quella ri-scoperta nel cuore di quest' uomo è atto di coraggio; mai avuto prima, estremo e radic

"La immaginavo tonda"

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  "La immaginavo tonda  da bambina la vita", avvocato, " tonda e felice". Io ascoltavo e avrei voluto accendermi una sigaretta, ma non si poteva, perché certi racconti ti riempiono di fumo gli occhi e non serve fingere un distacco che non riesci ad avere.  "Le infanzie rovinate, le infanzie rovinate"  ripeteva la mia mente mentre la donna continuava il suo racconto.  "Ora ho paura di tutto e quel mostro, anche se l'abbiamo reso innocuo, mi ha rovinato il cerchio " . E vorrei dirle di farsi aiutare, che esistono associazioni alle quali posso introdurla per superare il trauma.  Ma ha lo sguardo fisso, vitreo, senza vita, di chi non trova più senso in nessuna parola di conforto.  E poi quali parole, Avv. Donati? Quelle che ti si strozzano in gola insieme al ricordo di un bambino che urlava di notte per la paura del buio, in una casa di periferia dove tutto sapeva di un dolore non detto dai sei milioni di nomi? Quali parole? Quelle che riconoscon

Un taccuino

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  Su musiche di J.S. Bach The Well-Tempered Clavier, Book 1 Sviatoslav Richter ( 1969 ) « Falla diventar scrittura », mi diceva il demone, « trasforma quel taglio in suono e che si diffonda lontano nell'etere. Rendi il dolore incontro; e poi taci, lascia che il silenzio faccia il suo lavoro ». Io non capivo, non capivo le ragioni di un malessere diffuso a cui davo un volto e un nome, me che pescava in fiumi lontani, nei deserti d'un infanzia mai vissuta, in un grido mai accolto di esistenza. Allora le parole mi erano nemiche. Le parole erano ricordi e i ricordi bruciavano come rosse braci tra lo sterno e e lo stomaco. « Falla diventar scrittura », insisteva il demone, «è l'unica tua via di salvezza ». Allora presi la penna e cominciai a scrivere e quel volto si fece sempre più severo, portava tra le sue rughe un giudizio duro, come a dirmi della mia inadeguatezza al suo desiderio di essere da me salvata. Ed era vero, ero stato inadeguato ad una richiesta troppo grande per l

Parole (per evitare il sogno)

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Testa di uomo - Museo archeologico di Atene Foto di Sergio Daniele Donati Atto Primo Tempo: ossessivo compulsivo E svegliarsi da un sonno profondo, alle 4.50 del mattino, con la calma consapevolezza che tutto ciò che in tre anni si è detto e scritto e immaginato, o anche solo pensato - con un un pensiero lento e testardo; da montanaro - per evitare quel sogno, sia stato ormai e davvero detto o scritto o immaginato, o anche solo pensato - con un pensiero lento e testardo; da montanaro. Milioni di parole dette, scritte, immaginate o pensate, lentamente, come un montanaro.  E ti accendi un'immaginaria sigaretta - sono ormai tre mesi che non fumi - e ne aspiri piano il fumo fatto di niente e ripercorri nella mente quel sogno e tutte le cose che, testardo e lento come un montanaro, hai detto e scritto e immaginato, o anche solo pensato; per non farlo.  E ti dici che poi è così semplice, di un'allarmante e banale semplicità, accettare che spesso si usa la parola per evitare il sogno

Mi chiedi cosa sia Milano

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"Milano mia portami via" foto di Sergio Daniele Donati Mi chiedi cosa sia Milano. Milano è camminare per ore. E poi sedersi a un bar sui Navigli, perché ti duole un piede.  Là il barista ti guarda, ti porta la Sambuca che hai ordinato poi ti dice, senza nemmeno conoscerti: " so io di cosa hai bisogno".  E mette su, anzi spara , "Amico" di Renato Zero. E questo a fianco a un altro bar dove giovani vestiti da fighetti ascoltano "trap" - musica che sicuramente si chiama così perché ha i suoni di un trapano pneumatico.  E tu la bevi la tua Sambuca e ti ritrovi a cantare piano "Amico" di Zero - oh, averlo uno z ero  d'amico, o uno Zero come amico in momenti simili - assieme a due barboni, un extracomunitario e una signora sui 60 che sembra la Lina Wertmuller, con occhiali che secondo me ha rubato alla grande registra.  E poi c'è il vecchietto che guarda nel vuoto e poi nei miei occhi ( e ci trova di sicuro un vuoto ancora

Lettere a una persona speciale 57 - 65

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  Foto di Man Ray 57 Il femminile "Il femminile", dicevi. "Il femminile", ascoltavo, e già la mia mente si perdeva. Perché nel cuore di un uomo il femminile è voce nascosta, volto velato. Nel cuore di uomo il femminile è il lontano abbaiare di un cane in una notte d'estate. Un addio soffocato (perché? perché io? perché a me?) e una lucina accesa poi in sguardi nuovi (vieni, completami, colmami) Nel cuore di uomo femminile non è mai evidenza. È velo, ricordo, urlo strozzato, affogato in pinte di birra. Nel cuore di uomo il femminile è apparizione e sparizione Sono mani tese verso un vuoto che acceca. "Il femminile", dicevi, "dobbiamo riscoprirlo". E rallentava il respiro. Il mio. Perché quella scoperta nel cuore di un uomo è atto di coraggio. Estremo. È battaglia contro l'assenza, il nascondimento. È strapparsi dai volti maschere d'argilla nella speranza di una completezza nascosta in un firmamento lontano. Per questo ho bisogno della