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L'abbandono ben temperato (Notturna)

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Su musiche di J. S. Bach "Il clavicembalo ben temperato" Esec. Scistoslav Richter (1969) Lo spostamento delle galassie e la loro forma a spirale son governate da leggi per me arcane. So però che per allontanarsi tra loro  impiegano milioni di anni. L'abbandono non si crea mai in un baleno e il pieno  non si colma di vuoto in un istante. Tutto qua.  Mi chiedi ora di accettare  in un battito di ciglia  la fine, e par che ignori  i secoli impiegati dalle mie palpebre per alzarsi  e poter accogliere  tra le mie ossidiane il progetto d'un amore. Tutto qua; già, tutto qua.

Piangi

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J.S. Bach, The Well-Tempered Clavier, Book 1 / Sviatoslav Richter  Piangi? Piangi? Piangi? E non ti chiedo perché, no non te lo chiedo piangi e non ti chiedo perché, piangi e non ti chiedo perché e leva e appoggia e senti il polpastrello sul tasto e piangi e io non ti chiedo perché sono solo suoni le emozioni, solo suoni e piangi, piangi, piangi e non ti chiedo perché, atterra, atterra e sentirai il cielo tra le palpebre che vibrano umide piangi, piangi, piangi e non ti chiedo perché lascia che sia, tempera il tuo clavicembalo, piangi, piangi, piangi non ti chiederò perché e starò qui o lì o altrove, ma starò mentre tu piangi, piangi, piangi e io non ti chiedo perché sono note che si rincorrono le lacrime, mentre piangi e io non ti chiedo perché sono fulmini, luci che abbagliano in un cielo grigio e tu piangi, tuona, tuona, e io non ti chiederò perché lo senti il canto della sirena che lento avanza e non hai un palo a cui legarti e la nave va di

Het

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Su musica di J S. Bach - Clavicembalo Ben Temperato  (esec. Richter)  Si sfiorano sottili dita e nutrimenti tra l'oltre e l'altrove.  Il coro di voci lontane  ci arruffa i volti  La stella ride e noi, ignari del nuovo orizzonte, continuiamo a portare i nostri nomi

Dalet

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  Johann Sebastian Bach  -   Piano Partita No. 2 In C Minor, BWV 826    (Esec. Martha Argerich ) Davanti a quella porta io mi chino. La scrittura si fa piccola, sempre più piccola; essenziale. Mi dicevi poeta da piccolo. Io, sognante, componevo frasi con le quattro parole che possedevo. “Il cielo, il mare e mamma e papà”, ricordi? Poi mescolai elementi e materie e tu mi dicesti scrittore. Fu un necessario strappo a costringere l'abbondanza dei simboli, ali di rondine per le mie intuizioni, in cassetti inaccessibili, anche a me. Anche a me. Rimanemmo in tre; e ora lentamente svanisci anche tu. Con passo fragile, insicuro, delicato e discreto svanisci. Ti fai piccola ai miei occhi che si chiudono per non vedere. E, mentre a stento varco quella porta, lenta appare in cielo, come scritta di fuoco grigio, la domanda: “Chi mai sosterrà le mie lettere ora, mamma? Chi mai?”.

L'avvocato pensa

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Messa  in si minore J.S. Bach BWV 232 "Avvocato è con noi, è pronto?", mi chiede il giudice.  Alzo lo sguardo da gufo che prepara la mia discesa in udienza, la maschera che spesso indosso per nascondere l'evanescenza dei miei volti e dei miei pensieri di fronte ai destini di giovani vite.  "Sì certo, dottoressa, quando vuole...".  "Avrà avuto poco tempo per leggere la relazione dei servizi, avvocato. È stata depositata in ritardo solo l'altro ieri. Ha bisogno di qualche minuto per rileggerla?"  "No, grazie dottoressa. Mi è tutto chiaro, possiamo anche cominciare l'udienza".  Il mio sguardo non è più da gufo ora, ma da falco; ho puntato la preda e mi è chiaro che non mi può sfuggire.  Maschera anche questa, pesante maschera; e una leggera sensazione di onnipotenza che mi prende le rarissime volte in cui percepisco la certezza della mia vittoria.  "Bene, allora cominciamo".  Il resto è come

La casa dei sogni (ascoltando le 7 toccate di J. S. Bach eseguite da Glenn Gould)

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Disegno della piccola immensa Ruth Marie (11 anni) Hai ragione Glenn. Dovrei ricordarmelo più spesso.  Le tempeste sono sempre e solo esterne e lasciano rivoli sulla nostra pelle che, certo, invecchia.  Il vento, poi , Glenn, ci soffia sui pensieri e tardiamo sempre di qualche secondo l'istante del nostro ritorno.  Tardiamo e tradiamo l'istante, anagrammi noi stessi delle poche lettere che sappiamo mescolare.  Per questo il nostro stesso nome ci sfugge.  Eppure Glenn, tu lo sai bene, esiste sempre una possibilità di suonare uno staccato, riempiendo i silenzi tra le note delle nostre intenzioni di balzare.  Uno staccato per oltrepassare lo steccato dei nostri turbamenti.  Il mio nome è Fedro, Glenn. Il mio nome è Fedro.  E lancio sguardi dietro lo steccato dal giorno del mio primo respiro, là dove si cela la casa dei sogni. Un albero antico, un ruscello limpido dove posare le nostre fatiche.  E sono piedi nudi sul muschio morbido. E pennellate infan

Glenn

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J. S. Bach Variazioni Goldberg BWV 988 Variatio 15 Canone Alla Quinta ( esec. Glenn Gould ) Li lasciamo cadere di tasca, Glenn, i soffi, come note sperse, come lettere sfuse. E più il ritmo si fa lento, più diviene lieve l'appoggio sospeso. Come fiocco di neve, cade calando su un pensiero antico, senza far rumore, il Silenzio che crea. Ci chiniamo ancora e ancora per il peso di una piuma, Glenn. Perché sappiamo quanta intenzione sia necessaria per sostenere una leggerezza arcana. E increato è ancora il velo che possa coprire i miei volti quando il mio sguardo si sperde dietro le nenie antiche che mi diedero vita. E irroro territori inesplorati di lacrime di speranza. E il canto tuo è sottile, come il lino che danza al passo di donna che fu. La lama che ricomposi nelle notti stellate del mio desiderio irriso riposa in un fodero di fili d'argento. E il respiro, Glenn, il respiro che allora persi, agita ora le foglie della quercia sotto la quale ricevetti la mia stessa

Strange fruit

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Scrivere racconti accompagnandosi a degli standard jazz è un'impresa titanica. Uno sforzo disumano che ti strappa gli occhi dalle orbite. Bisogna saper armonizzare le parole con la musica, diminuire di mezzo tono, almeno, il suono dello scritto, perché non si sovrapponga al testo del brano, aggiungere i contenuti del racconto poco alla volta perché seguano vie sottili e non rompano l'armonia musicale ma la rafforzino. Tessiture da alchimisti, da chi si diletta a immaginare che battere sulla tastiera del computer sia come suonare il pianoforte. Viola questo lo sapeva bene. Ne aveva già scritti più di trenta. Si accese una sigaretta. Fumare affacciati alla finestra, nell'afa notturna di un luglio milanese ti porta veloce verso atmosfere jazz. “Forse ho sbagliato”, pensò, “dovrei chiamarlo”. Chiuse immediatamente gli occhi. Lo faceva sempre quando voleva scacciare una sensazione sgradevole. Spense la sigaretta mentre la Simone lasciava cadere lenta come un foglia mo