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El me Milan - ricordi di un Nature Boy

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Era, è e sarà sempre così. Perché quando il ricordo piega, e senti un'odore d'asfalto grigio nei pori della pelle so che lei, al me Milan, mi parla.  E abbasso gli occhi, perché non ho risolto nulla e, forse, non c'era nulla da risolvere, se non la tirannia di un racconto.  E metto le mani in tasca, come allora facevo in quelle, bucate, del mio Montgomery col cammello con i bottoni in osso.  Era stato un regalo di papà, forse troppo largo, perché ero piccolo e magro; ma tanto "che male fa? poi ci cresce dentro".  E io ci sono cresciuto dentro e dentro ci sono cresciute le mie paure e quelle strane sensazioni adolescenti tra le costole, in una Milano che d'inverno sapeva d'umidità e d'estate, invece...d'umidità ancora.  Ci sono cresciuto dentro camminando per le strade e contando i tombini del Giambellino, con una calamita in tasca, perché a volte c'erano delle monetine da recuperare, per comprarci poi la spuma al bar, un posto dove papà mi dice

Su "Elegia Ambrosiana" (Collettivo K - Divergenze ed.) - recensione di Sergio Daniele Donati

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Quella che state per leggere non è una recensione, né un commento a un testo che mi ha lasciato sbalordito; nel silenzio. Anzi, del testo parlerò davvero poco. Ciò che sto per scrivere è un tentativo di sintonizzazione , come facevo da adolescente con le vecchia radio internazionale che avevo ricevuto in dono da papà, girando il manopolone finché non riuscivo a beccare qualche strana stazione di Zagabria o Kiev. Leggo sul testo di Elegia Ambrosiana (Divergenze ed) del Collettivo K che “i membri di tale collettivo, gruppo di street poetry dal 1981, affidano i loro lavori a gessetto a selciati, mura e marciapiedi, perché non lascino segni sulle superfici. […] Tutti i componenti del collettivo sono stati e voglio restare anonimi, in linea coi loro componimenti […] Nella silloge del primo collettivo di street poetry d'Italia, i versi miti e infuocati comparsi a Milano e dedicati alla città proprio come un canto, un'elegia ambrosiana […]” . Poesia collettiva? Già sento il canto

Mi chiedi cosa sia Milano

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"Milano mia portami via" foto di Sergio Daniele Donati Mi chiedi cosa sia Milano. Milano è camminare per ore. E poi sedersi a un bar sui Navigli, perché ti duole un piede.  Là il barista ti guarda, ti porta la Sambuca che hai ordinato poi ti dice, senza nemmeno conoscerti: " so io di cosa hai bisogno".  E mette su, anzi spara , "Amico" di Renato Zero. E questo a fianco a un altro bar dove giovani vestiti da fighetti ascoltano "trap" - musica che sicuramente si chiama così perché ha i suoni di un trapano pneumatico.  E tu la bevi la tua Sambuca e ti ritrovi a cantare piano "Amico" di Zero - oh, averlo uno z ero  d'amico, o uno Zero come amico in momenti simili - assieme a due barboni, un extracomunitario e una signora sui 60 che sembra la Lina Wertmuller, con occhiali che secondo me ha rubato alla grande registra.  E poi c'è il vecchietto che guarda nel vuoto e poi nei miei occhi ( e ci trova di sicuro un vuoto ancora

Milano di notte

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Foto di Sergio Daniele Donati Milano di notte non ha più lucciole ma cicale. E lenta svapora ricordi d'infanzia  in memorie provenzali. Milano, la sobria,  di notte non ha più lucciole  ma cicale e copre immagini corrusche e lascive con mónotoni d'archi. Cammino e ricordo e osservo. Sei cambiata, Milano. Ti ritiri sempre più, senza lasciare traccia, al passo disattento  di chi ti abita. Hai abbandonato  la via fasulla dell'immagine  e ti sei fatta suono, di notte. Lento s'abbandona  il mio sguardo libero al suono dei tuoi insetti; tra i volti tuoi uno solo m'appartiene, quello che canta, coperto di veli sacri, la danza del ritiro. Milano, la notte,  non ha più lucciole  ma cicale che lanciano lontano, oltre le orecchie d'un uomo piccolo, mistici messaggi di risonanza. E non c'è apertura di mari, né sempiterni lumi  in quel canto. Solo la polka,  nemmeno troppo vivace, di chi torna felice alla sua dimora, e copre di maschere un volto senza nome né progetto. M