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Io non so dar fine (Oblivion)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Io non so dar fine  se non alle forme; son troppo abituato a cercar tracce nel dominio del sogno per negare un senso alla scoria, un odore alle ossicina di pollo sul piatto; della sera prima. Per questo io scrivo e tu danzi. È tuo il sipario, quando s'apre - o si chiude - tra gli applausi di spettatori incantati dalla grazia dei tuoi movimenti.  Certo, anch'io plaudo; ma dietro i velluti spessi, - al palcoscenico vuoto - mi chiedo sempre cosa resti del tuo sforzo eccelso d'equilibrio; sul filo di lino. Per questo scrivo, e sempre su rotoli sacri,  una storia senza fine; mentre tu sai mettere  la vocale sacra che distingue  la morte dal vero. Sono due vie elette e lontane. La tua discende da stelle di desiderio, la mia è umida di muschi di boschi inviolati. È stato sogno pensare  che potessero ascoltarsi. Resta però la speranza  che tu sappia togliere  la nera fuliggine del giudizio dai miei passi; che tu riesca a donare  al mio sguardo di all

Dove sta la ragione? (Oblivion)

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Foto di Sergio Daniele Donati Avevi ragione tu. Io vengo da un mondo piccolo abitato da esseri strani e in quel luogo ho imparato a respirare. Tu sei destinata ad altro, a matite rosse e regole da seguire  fino a scorticarsi la pelle. Tu sei luce e io penombra, io boscaglia e tu mare.  Il nostro incontro, avevi ragione tu, - se solo avessimo solo avuto un buon traduttore, un editor dei nostri cuori - fu cosa, come dicevi,  da  ridimensionare. Ma nel mio mondo piccolo righelli e compassi, squadre e goniometri  sono strumenti sovrani. Ho misurato come un geometra ciò che, almeno a me, accadde; fu ben più grande della cornetta in cui  cercasti di stiparlo.   Lo contiene però un atomo di speranza quando chiudo gli occhi e ringrazio d'aver potuto amare.

Oblivion (3) Y Final

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Alla prima spremitura l'olio sacro sembrava pece, ricordi? Aderiva alle nostre mani senza altro appiglio alla vita che i nostri corpi, sudati. Furono i tuoi passi e i miei respiri a render puro un amore colloso; e, mentre colava a terra, s'aprivano varchi di risate senza scopo tra i nostri sterni. Ora io vado e tu cammini su fili d'argento puro, e in quei varchi, benedetti dalla follia dei nostri passi allacciati, affonda le radici un giovane albero, forse un salice, capace di ricordo.