(Redazione) - Speciale "Mediterraneo" - "Gli Arbereshe e il mare" di Maria Cianciaruso

Foto di Sara Groblechner su Unsplash

Maria Cianciaruso

"Particolare di abito tradizionale" - foto di Italo Elmo (1)
 
Siamo arrivati dal Mare, lo abbiamo attraversato alla ricerca di un porto sicuro, con la speranza di una vita migliore. Il mare, da secoli protagonista di tutte le migrazioni, ha accolto i desideri e gli auspici degli Arbereshe, antico popolo albanese che dal 1400 in poi, per sfuggire all’oppressione ottomana, si è stabilito in molte zone dell’Italia meridionale, tra cui la Calabria.
Quel popolo abita ancora oggi nelle province di Crotone, Cosenza e Catanzaro, quel popolo, ancora oggi, parla la sua lingua antica, quell’idioma trasportato dalle onde del mare e che riesce a sopravvivere a distanza di secoli.
Anche le campane di Pallagorio parlano Arbereshe, sono incise con poesie di quella lingua lontana e sono rivolte verso il mare, verso quello stesso mare al quale si rivolge la Madonna del Carmine, prima di far rientro in chiesa, al termine della processione, in segno di ringraziamento e amore.
Le incisioni risalgono al 1907, ad opera di Francesco Lorecchio, all’epoca sindaco di Pallagorio. Sulla campana piccola è presente la seguente poesia:

“Kumbor’e sheite
Këndò për gjith jetën
Lavdat’è Shën Mërisë
E lark lark nka ajò an’e detit
Me ghuhen’e tonë të bukurë
Falna Arbërinë
Thuaji
Se Puherizve i ka hjè t’e duan
Si drita e sivet
Atë mëmë të vietrë”

(Më vit 1907 Francisku i Lhariqëvet, Sindac)

Che tradotto in italiano significa:

“Campana Santa
Canta per ogni dove
Le Laudi della Madonna
E lontano lontano sull’altra sponda del mare
Con la nostra bella lingua
Saluta l’Albania
Dille
Che ai Pallagoresi è di decoro amare
Come la luce degli occhi
Quell’antica madre”

(Nell’anno 1907 Francesco Lorecchio, Sindaco)

"Abito tradizionale" - foto di Italo Elmo (1)

Un saluto a quella madre terra e a quel mare, mai dimenticato. Verso quel mare, infatti, è rivolta anche l’Aquila bicipite, simbolo dell’Albania, posizionata sulla piazza principale di Carfizzi. L’aquila, in ferro battuto, guarda il mare dal quale siamo arrivati, il Mar Ionio, che tradotto in albanese è “Deti Jon”, espressione che significa anche “Il nostro mare”, perchè “jon” significa “nostro”. Una traslitterazione che ancora una volta ci fa sognare quell’immensità dalla quale siamo arrivati e verso la quale ci rivolgiamo per trovare la pace, confidandole i pensieri nella nostra lingua antica, nel nostro idioma parlato ancora oggi da anziani e bambini, trasmesso in una chicca di valori che sanno di casa, di speranza, di coperte colorate, di gioielli intrecciati di perline, di vestiti tradizionali con la sottoveste colorata, di odori e tradizioni che devono essere preservate per quell’identità che ci rende unici.
La storia rivive quotidianamente nei nostri paesi, con le icone, come quella di Skanderbeg nel corso principale di San Nicola dell’Alto. L’eroe nazionale che portò in salvo il popolo arbereshe via mare, che fece toccare le coste, simbolo di salvezza e di rinascita. Un’identità storica e cultuale che non vogliamo e non possiamo perdere, quel cuore pulsante e quella nostra lingua “Gjuha jone” che ha bisogno di essere salvata e salvaguardata. I valori di ospitalità che ci contraddistinguono, forse perchè siamo stati ospiti prima degli altri, si possono riassumere nelle parole “Mirë se erdhet” ovvero “Benvenuti” poste all’inizio di ogni paese e ripetute all’ingresso in ogni casa e ad ogni visita, perchè al di là di ogni appartenza politica, religiosa e nazionale, gli arbereshe sono sempre pronti ad accogliere.

"L'aquila bicipite" - foto di Maria Cianciaruso

NOTE BIOBIBLIGRAFICHE
Maria Cianciaruso è nata a Cariati il 30/07/1988.
Laureata in lingue, è una mediatrice linguistico culturale e professoressa di inglese e francese.
L'amore per le lingue e la letteratura l'hanno portata a scrivere un romanzo "Lo stesso orizzonte" e a partecipare a diverse raccolte di poesie e racconti. Abita a Carfizzi, un paese di origine arbereshe, radici delle quali va fiera e che intende preservare e trasmettere, perché le ritiene un'identità imprescindibile e autentica. Ha studiato i dialetti arbereshe all'università e riesce a scrivere questo idioma. Adora la lettura e la fotografia. Da tre anni è mamma di Michela.

NOTA 1: Le foto di Italo Elmo sono tratte, su gentile sua concessione, dal libro "I rituali di nozze nella società Arbereshe", di prossima pubblicazione.
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