(Redazione) - Dissolvenze - 50 - Soffi e sibili

 

di Arianna Bonino

Di chi sono gli uccelli del cielo?
Di chi le ridenti rondini, le ingenue allodole, i muti cigni?
In principio erano di Dio. Poi arrivò l'uomo e l'uomo si fece re, divenne padrone di flora e di fauna, facendone preziosa concessione a suo piacimento e mandando a morte chi osasse sottrarre un cervo, una lepre, un frutto.

Mentre attraversavo London Bridge
Un giorno senza sole
Vidi una donna pianger d'amore
Piangeva per il suo Geordie… (1)

Avrebbe fatto la stessa fine, Geordie, impiccato con una corda d'oro, se invece di rubare sei cervi nel parco del re avesse sottratto un cigno.
I cigni d'Inghilterra sono del Re, ancora oggi. Simbolo di aristocrazia, potere, bellezza.
Possono trasformarsi in una vera ossessione, come fu per l'imperatrice Giuseppina, che ne fece portare di bianchi e di neri per il suo lago nei pressi di Parigi e che di cigno dette le sembianze addirittura a sedie e suppellettili di cui si circondava.
E quindi, i cigni del Tamigi erano e sono del Re. A meno che non siano stati da lui concessi a qualche raro privilegiato, certamente appartenente ad una nobile famiglia nelle grazie del monarca, oppure al clero.
Sulla lucente superficie aranciata del becco un tempo si incidevano o imprimevano a fuoco i segni della casata, così che i candidi volatili marchiati fossero risparmiati dalla caccia e dalla cattura, molto frequenti in passato per garantire ai banchetti reali le prelibate libagioni a base di quelle carni (a dire il vero assai tenaci), preparate con salse e intingoli sopraffini e presentate al centro di complessi e scenografici ventagli ottenuti dalle bianche piume.
Ancora oggi, tutti gli anni, da tempi immemorabili, nel mese di luglio in Inghilterra si celebra lo Swan-Upping, una cerimonia durante la quale i cigni del Tamigi vengono catturati e marchiati allo scopo di censirli e attribuirne la proprietà (l'incisione del becco è ormai stata sostituita dall'inanellamento della zampa).
A spartirsi i cigni con la Corona inglese, che rimane ad oggi proprietaria di tutti i cigni in acque libere non marchiati, sono ormai solo due compagnie di livrea (corporazioni) della City di Londra, la Worshipful Company of Vintners e la Worshipful Company of Dyers.
In passato, invece, erano diverse le famiglie nobili che potevano vantare di possedere cigni per concessione reale. Per distinguere questi esemplari, venivano appunto ideati segni speciali.
Sir Horace Walpole, che certamente apparteneva ad una delle famiglie insignite del privilegio di possedere cigni, non è noto solo per aver coniato il meraviglioso termine "serendipity", che è quell’incantevole e spiazzante plot-twist che accade quando, partiti alla ricerca di qualcosa di ben preciso, d’un tratto - e per imperscrutabili motivi - si svolta nella direzione sbagliata, scoprendo tutt’altro, generando una scintillante catastrofe in grado di capovolgere per sempre il proprio destino. È lo stesso Walpole a spiegarci il fenomeno:

«È stato una volta che lessi una favoletta dal titolo I tre prìncipi di Serendippo. Quando le loro altezze viaggiavano, continuavano a fare scoperte, per accidente e per sagacia, di cose di cui non erano in cerca: per esempio, uno di loro scoprì che un mulo cieco dall'occhio destro era passato da poco per la stessa strada, dato che l'erba era stata mangiata solo sul lato sinistro, dove appariva ridotta peggio che sul destro - ora capisce la serendipità?”.(2)

Ma la fama di Walpole è legata in primis alla paternità del primo romanzo gotico, Il castello di Otranto(3), la cui prima edizione, risalente al 1764, fu firmata con lo pseudonimo di William Marshall, che in effetti compare nel testo come presunto traduttore di tale manoscritto, risalente a sua volta, vien detto, al periodo delle Crociate e redatto in origine dal vescovo della Chiesa di San Nicola di Otranto, Onuphrio Muralto.
La storia narra di Corrado, figlio del principe Manfredi, che muore tragicamente nel giorno delle sue nozze con Isabella, schiacciato da un elmo gigante. Temendo l’avverarsi dell’antica profezia che priverebbe la sua stirpe del castello, Manfredi cerca di sposare Isabella forzatamente. Seguono fughe, suoni di catene che si perdono nelle segrete del castello, spifferi mortiferi e sovrannaturali, ombre di candele e immancabili fantasmi.
Pastiches fittizi, vincenti marchingegni letterari, stratagemmi fantasiosi partoriti dal genio di Walpole, che prima ancora di dar vita a un nuovo genere letterario, si era ancor più divertito nella stesura dei deliziosi Racconti Geroglifici(4), anch’essi, non a caso, connotati dall’incantevole trompe l’oeil di presentarsi come traduzioni dei più svariati e sfrenati manoscritti, in cui Walpole sembra essere incappato per via di quello strano fenomeno da lui stesso inventato o, forse, scoperto: la serendipità.
Autore di racconti quasi per svago, ma serissimo saggista, Walpole, dopo aver costruito il suo gotico maniero di carta, non poté fare a meno di costruire anche il suo labirintico e stupefacente castello di pietre e mattoni, all’interno del quale incluse, a sua volta, un castello di carte.
Arredi, statue, opere d’arte, oggetti delle più remote e disparate provenienze, impensabili rarità: sono questi gli innumerevoli feticci che costellano le sue sua sterminate collezioni e, tra queste, su tutte, la ricchissima biblioteca, composta da esemplari spesso antichi e rarissimi, che Walpole raccolse appunto nella sua magione di Strawberry Hill.
Avete mai visto una avola genealogica di tutti i re e principi del Galles da Cadwalader, ultimo re di Gran Bretagna, a Lhewelyn, ultimo principe di Galles di sangue britannico? Beh, se volete, la trovate nella collezione di Walpole.
Avete mai posseduto, o almeno sfogliato - con tutte le cautele del caso - un manoscritto miniato del 1500, con pagine di pergamena e rilegato in oro smaltato, incastonato con intagli e cammei di corniola, rubini e turchesi e una tormalina di 9 centimetri e mezzo? Beh, Walpole sì.
Non stupisce che, nel corso dei quarant’anni in cui si dedicò alla costruzione e decorazione della sua eccezionale dimora, vi abbia incluso anche una stamperia privata: è in questa tipografia che Walpole produsse e riprodusse trattati e opere, comprese quelle derivanti dal suo genio e dalla sua fantasia.


La biblioteca di Walpole era un pozzo senza fondo, un’eruzione irrefrenabile di lettere, parole, inchiostri, idee.
Di questa collezione senza pari fanno parte anche due libri stranissimi, rivestiti in pelle, a cui Walpole teneva particolarmente, tanto da decidere di conservarli in una vetrinetta speciale, dedicata alle perle più incredibili e a lui più care.
Le pagine di questi due volumi sono fitte di disegni che sembrano in effetti geroglifici.
Di primo acchito, vien da pensare che sia uno di quei manoscritti d’origine incerta e remotissima che, tradotto in cinque o sei lingue da altrettanti esotici e misteriosi scribi senza tempo, sia giunto fin nella mani di Walpole, che, incuriosito, abbia deciso di partire un bel giorno, proprio come i figli del re di Serendippo, alla ricerca del testo originario, rinvenendolo chissà dove e finendo poi per custodirlo gelosamente chiuso a chiave in quella teca di vetro.
Ma forse anche a noi sta capitando di farci prendere la mano dalla fantasia, ingannati dagli specchi deformanti, visibili e invisibili, di cui sono costellati i corridoi dei castelli costruiti in aria e in terra da Walpole.
Perché, in realtà, quella scritta nei due volumetti speciali della biblioteca di Walpole, è certamente una lingua misteriosa, ma non è fatta di lettere. Eppure si può tradurre.

Quegli strani ideogrammi, sono, a ben vedere, i segni che venivano impressi sui becchi dei cigni per assicurarne le rispettive proprietà.
Questi segni dovevano essere raccolti e catalogati per certificare la riconducibilità dei volatili. Ciò avveniva in libri particolari, detti swan-marks books. Ecco, di questo si tratta. Sono volumi antichi, estremamente rari. Aprendoli senza conoscerne l'origine e il significato, si ha l'impressione di sfogliare un antico codice misterioso, un testo scritto in una lingua sconosciuta, primitiva, segreta. In effetti, sono i tatuaggi dei cigni.
Sembrano antiche note musicali che compongono una ballata d’amore gotica, bella e triste: è la lingua muta dei cigni, un alfabeto oscuro, senza parole, fatto di soffi e sibili.
Fluttuano silenziosi questi glifi, come d'aria e polvere, come di memoria perduta.
Ma di chi sono, allora, gli uccelli del cielo?
Di chi le ridenti rondini, le ingenue allodole, i muti cigni?
No, Geordie non sarebbe mai riuscito a salvarsi dalla forca, nemmeno se quel cigno fosse stato rubato per amore di lei, una dolce e triste Leda, una piangente e celeste Isabella.
Sola ormai, a specchiare gli occhi infiniti in quelle acque, tanto a lungo da non saper più leggere il suo volto, il suo nome, tanto da non vedere più, tra le ciglia, i cigni, i segni, i cieli.
Il collo bianco chino sul volto riflesso, scosso.
Il collo bianco tra i capelli.
Il collo bianco tra le piume, sull'acqua.

Riferimenti bibliografici
  1. Da “Geordie” di Fabrizio De André 
  2. Dalla Horace Walpole's Correspondence di W. S. Lewis, Yale edition, riportato nel libro di Theodore G. Remer, Serendipity and the Three Princes, from the Peregrinaggio of 1557, Edited, with an Introduction and Notes, by Theodore G. Remer, Preface by W.S. Lewis. University of Oklahoma Press, 1965.
  3. Horace Walpole. Il Castello di Otranto, Mondadori, 2019, traduzione di Chiara Zanolli
  4. Horace Walpole, Racconti geroglifici. Theoria, 1989, a cura di Attilio Brilli


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