Kaddish della parola #2
Abbiamo costruito un mausoleo
attorno al nòcciolo di parola,
costretto all'implosione mattutina
le intuizioni della notte
— la parola copre la parola,
a evitare l'ansia
di doversi ricostruire;
nel silenzio.
Abbiamo escluso, costretto
in asfittiche particelle d'ambra,
il germoglio di un pensiero
neonato e ancora puro,
e moltiplicato i vocabolari
della disappartenenza e del vuoto
— parole profughe, desertiche,
profane e acuminate,
sotto la pianta dei piedi;
incapaci di darci il volo
o di assicurarci la profondità
di un pensiero ancora nascente.
Eppure là,
nella devastazione del linguaggio,
tra i mattoni di quella nuova Babele,
stava una bambina ipovedente,
il corpo proteso al canto dell'assenza
— raccoglieva scheggie e ossidiane
e le porgeva in dono
al vento distraente — e distratto —
perché ne facesse polveri nere
a fecondare le terre antiche
e speranze fragili; tele di ragno.
Il disegno era chiaro
— il Mandala dello zittimento
composto e già dissolto
al primo pensiero —
e un canto di ritorno era
nel suono dissonante
del corno d'ariete
che lacera da sempre
la falsa unità dei cieli
e apre l'occhio alle cataratte
del pentimento e del sigillo.
Abbiamo costruito un mausoleo
alla sacra parola,
un mausoleo rimasto poi vuoto
perché il suono non lascia cadavere;
apre voragini di consapevolezza
nelle quali il sasso della trasmissione
radica e dà germoglio,
nonostante il mugugno noioso
di un mondo incapace
di dare alla resa la giusta
forma di una rinuncia
a ogni forma di guerra.
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Testo - inedito 2025 -
di Sergio Daniele Donati
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