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(Redazione) - Riflessioni, non recensioni - 17 - Pothum Ponnu/no more girl

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A cura di Stefania Lombardi Questa rubrica esce, in questo mese, con la primavera. In questo mese c’è stata anche la Festa della Donna. Senza inutili polemiche su mimosa sì o mimosa no, o sul dover ricordarsi sempre di certe cose e non solo quel preciso giorno, ricordo, tuttavia, che quel giorno esiste per rammentarci che la parità di genere è ancora un mero miraggio, anche nei paesi considerati più aperti. Dopo una pausa di tre mesi, questa rubrica torna in India con un altro bellissimo lavoro di Manjunathan Subramanian che alle condizioni delle donne ha dedicato gran parte della sua produzione artistica. In questo corto la protagonista è una ragazzina con un sogno: diventare atleta. Il corto si apre con la spiegazione di “Pothum Ponnu” che in lingua tamil significa “basta ragazze” , nome di battesimo dato alla primogenita o alla terzogenita con la speranza e l’augurio che la prole successiva sarà maschile. Il desiderio legittimo della ragazzina di diventare atleta si scontra con il

(Redazione) - Sei inediti di Valentina Ciurleo

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Notti insonni sanno di promesse luoghi sfuggenti attimi andati da qualche cielo. Camminerò a un passo da te senza dimenticare. Viversi fuori è vita. ____ Mi sono ritenuta vaga per troppo tempo generica e comune. Dal filo dolente e incompreso. Pregare a volte infila nei buchi in quelle fosse dove sei tu e l’accudimento. Bassa. Pensavo di essermi misurata, ma sono nella norma del difetto. Bassa. ____ Nei nodi compromessi e resistenti c’è un punto sicuro la forza cede. Accade che sei sciolto. Improvvisamente sciolto. _____ Si crea rifugio una riga inconscia inconsapevole dentro. In armonia con lo stato con la memoria del vicino. Ripeti nell’intimo nel bisbiglio del tono. Sfogliando sera abito la volontà in fondo a questo incessante. ____ Le cose da non dirti le ho messe nero su bianco Riesci a stare solo in una stanza con le mie parole? A sfiorarti il viso nel lucido di questo confessare Cosa posso tacere nei tuoi occhi. Un grido, un gesto Sulla tua pelle, un ponte, Conduce dentro la nott

(Redazione) - Su "Visioni d'abbandono" di Giuseppina Sciortino (Transeuropa edizioni, 2022)

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Se c'è una cosa vera a proposito dell'abbandono, così come del lutto, è che esso non può esser detto. L'assenza, con il suo portato traumatico, la fine di una relazione, sia essa amorosa o di altro registro, sono immensità che ci pongono di fronte a tutta la balbuzie e inciampo della parola.  Eppure, quasi paradossalmente, di questo strozzo in poesia dalla notte dei tempi si cerca di parlare, quasi che a dar voce a quel singulto se ne trovasse magicamente la cura.  L'abbandono si guarisce dicendo l'impossibilità della sua narrazione, confessando i limiti della parola di fronte al muro bianco e ineludibile della fine, della morte, vera o simbolica che sia, di qualche cosa che per noi ha contato.  Per questo vado sempre molto cauto nel leggere nuove sillogi che dichiarano l'intento di descrivere l'indescrivibile, di dire l'indicibile. Cautela questa che nasce dalla consapevolezza di quale fine arte ci voglia a cercare di descrivere per frammenti, brandell

Dittico dell'illusione

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Non s'accontenta mai un blu occhio astigmatico di scomporre i contorni d'una ricerca d'un denso - non stabile - centro. Ma deve cercare nel sogno tracce nette di senso, voli di libellula; poi sapersi posare su incertezze vuote, alla ricerca dell'antico «So di non sapere» è detto mendace. Cerca di celare dolorose rese «Ricordo di avere dimenticato (là)» è, sì, coraggioso detto di chi sa che mai più ritornerà, se non nel gran sogno d'antiche dimore. Foto e testo - inedito 2023 -   di Sergio Daniele Donati 

Ora son padre

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A mio padre,  figlio d'una infanzia profuga Ora son padre, e tu sei figlio di stelle grigie. So del passaggio e della scure che taglia secca, e so del peso, della rinuncia ad esser mito. Ho lasciato là la cappa spessa che tu portavi su di te; sempre. Ho pianto, là, sai per la gran gabbia della parola padre sulle tue spalle. Non per me. Ben so di stare fuori dal mito perché qui, sulle retine, non ho il drappo nero della tua fuga tetra dal luogo che prima era per te rifugio, casa felice.     Indossasti poi     - in vesti strette -     miti fallaci     per non sentire,     dietro la cappa,     un pianto sordo     di bimbo solo. Foto e testo - inedito - 2023  di Sergio Daniele Donati 

Dialoghi poetici coi Maestri - 53. Francesco Scarabicchi (2)

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Una solitudine Che ne sarà dell'uomo paziente e solitario che vedo, rincasando dipingere un cancello? Tratto da Francesco Scarabicchi  «Il prato bianco» Einaudi editore (2017) Esili speranze cave Ho incontrato ieri per strada un uomo la cui barba non potrà testimoniare a discolpa d'una vita. Sergio Daniele Donati - inedito 2023 ____ NDR: Potrete trovare un altro dialogo poetico con Francesco Scarabicchi a questo  link

Cupole

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La prima cupola è strozzo, silenzio di giada e manto d'antico  su ogni vana parola. La seconda cupola  è lallazione scomposta, sogno piano  e idee d'ossidiana. Sotto la terza cupola sta uno sguardo bambino e il desiderio di ritrovarsi nel bosco dei ricordi di un infanzia solare mai vissuta . Foto e testo - inedito 2023 - di Sergio Daniele Donati

(Redazione) - Specchi e labirinti - 17 - A proposito de "L’estate dell'altro millennio " di Umberto Piersanti

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A cura di Paola Deplano Non ho mai nascosto – anzi, ho piuttosto esibito, scrivendone sia qui che altrove – la mia sconfinata ammirazione per il poeta Umberto Piersanti . Del resto, quando uno è definito da più parti una delle voci poetiche più rilevanti del Novecento, c’è poco da aggiungere. Nel mio piccolo, però, qualcosa la vorrei aggiungere: non esiste solo il Piersanti poeta, ma anche il Piersanti narratore.  L’estate dell’altro millennio , edito da Mursia nell’ormai lontano 2013, è una delle sue migliori opere in prosa, sia per la compattezza e la coerenza di scrittura che per le tematiche trattate.   E questo, mi preme sottolinearlo, è stato detto non solo dalla sottoscritta, ma, tra gli altri, da un poeta a me molto caro ed indiscutibilmente “enorme”, Mario Luzi, che ho avuto il privilegio e l’onore di conoscere personalmente a Siena, durante gli anni universitari. In poche righe egli traccia il miglior biglietto da visita di questo romanzo: (Da il Venerdì - la Repubblica 06 l

La balbuzie blu

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Ridi, parola , per la balbuzie blu che dimora nella memoria? Ignori forse l'eterna fonte? È la penombra prima del tuo cavo vagito?      Nasce dal seme      del Salmo tondo      dell'immenso Sé      quell'intenzione.      Inciampa e canta,      poi tocca terra.      Ridi tu ancora,       parola ? Di chi      sei mai la figlia? Il gesto puro - la mano chiusa che s'apre piano - separa il Vero dal verde mito del non-pensiero. È più lontano il cono d'oro dell'intuizione      Di questo vivo,      e poi balbetto.      E danzo nudo.      Sì, fredda danza      di tramontana;      senza più gioghi      - senza più giochi -      grigie illusioni      d'ascesi in vita. Voce che dissi mia, stai nel blu; in pozza gialla. Astro, declina, recita piano il salmo nero; il passo lieve di chi ritorna alla dimora.      Il silenzio sta      in nuova fronda.      Il silenzio sta      in cavo tronco,      in muto coro,      nel fil di lino.      Il silenzio sta      dove si posa    

Trittico del Tre

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    Stendevi con cura i panni; al sole più tenue d'un sogno bambino.       Per stare al gioco d'antiche lettere osserva la penna, e guarda e conta. Soppesa la vita, spenditi e torna.        Un due tre sul trono il mio re spezzava gli spazi silenti del nostro respiro.  ______ Testo - inedito 2023 - e foto di Sergio Daniele Donati ©

Resine (al bambino che non fui)

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Estrassi da cortecce resine, stille ocra dal più sacro fervore. Furia di primavera, d'essenze, ambre e scuri oli.     E tu non osservasti     né ascoltasti, allora. Nel tuo sguardo nessuna dimora, solo il tamburo di pelli d'asino. Essicca lento solo nel deserto l'indicibile ricordo. Scaglie blu di stelle già morte. Restano solo carezze buie Uomo-corteccia; uomo-salice, figlio caduto.     Assenza; foglia     morta, per terra. Foto e testo - inedito 2023 - di Sergio Daniele Donati ©

(Redazione) - Su due sillogi di Francesca Serragnoli (nota di lettura di Sergio Daniele Donati)

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Facciamo un gioco. Fingiamo di non conoscere Francesca Serragnoli,  la poeta di cui oggi parleremo, di non aver mai letto le sue composizioni e di non aver altro da fare che tuffarci nella tessitura di testi a noi sconosciuti.  Facciamolo col serio sorriso del bambino quando gioca, con la precisione appassionata dell'orafo quando deve comporre preziose gemme in un solitario.  In questo gioco tra me e voi, lancio il primo dado .  Convivo con la pioggia un brivido issarmi per un filo arrivare al vento slacciare il profilo come un petto. 1 Vedete anche voi con quale maestria la poeta abbia fatto poggiare il verso d'esordio su quello che lo segue e quanto questa serie di incalzanti infiniti proietti l'attento lettore verso una domanda che prende sempre più corpo? Quale azione seguirà? La poeta non lo dice e lascia all'ultimo infinito ( slacciare) un senso profondo di dinamica, di sfilacciamento, che ci fa dire la composizione volutamente non conclusa e sospesa. Secondo dado

Il femminile (negli occhi di quest'uomo)

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"Il femminile" , dicevi. "Il femminile" , ascoltavo, e già la mia mente si perdeva. Perché nel cuore di quest' uomo il femminile è voce nascosta, volto velato. Nel cuore di quest'uomo il femminile è il lontano abbaiare di un cane; in una notte d'estate. Un addio soffocato: perché? Perché io? Perché a me? È una lucina accesa poi in sguardi nuovi - vieni, completami, colmami. Nel cuore quest'uomo femminile non è mai evidenza, semmai emergenza, inciampo, canto e sussurro. È velo, ricordo, urlo strozzato, affogato in pinte di birra. Nel cuore di quest' uomo il femminile è apparizione e sparizione, separazione, assenza d'azione. Sono mani tese verso un vuoto che acceca (è:  mamma perché non torni ciò che eri? Perché non torni? ) "Il femminile" , dicevi, "dobbiamo riscoprirlo" . E rallentava il respiro. Il mio. Perché quella ri-scoperta nel cuore di quest' uomo è atto di coraggio; mai avuto prima, estremo e radic

Il quarto Alef-Bet - 16 Samech/Ayin

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Il sapiente guarda a fondo in basso, e indietro lontano mentre avanza condotto da una mano bambina appoggiata alle stelle _____ Foto e testo  - inedito - 2023  di Sergio Daniele Donati

(Redazione) - Figuracce Retoriche - 03 - ANAFORA EPIFORA SIMPLOCHE

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A cura di Annalisa Mercurio Iniziamo oggi con le figure di ripetizione . Ne vedremo una decina, ma non scappateeeeee! Non le faremo tutte oggi: saranno divise in comode rate e non sarà traumatico, prometto. Cominciamo. Guardate bene questa immagine e cercate di memorizzarla. Il primo ‘gioco’ di oggi infatti è quello di memorizzare il nome delle tre figure che analizzeremo, usando un’associazione di idee. Il termine che ho scelto per rappresentarle è anfora , un’anfora che vado a riempire di bigliettini, aventi tutti la stessa parola, o la stessa frase. Presto capirete perché. ANAFORA Per passare dall’anfora all’ anafora basta aggiungere una lettera e da qui partiamo! Secondo l’etimologia della parola, il termine  anafora  viene dal greco ἀναϕορά anà + phèro , ovvero porto indietro, porto di nuovo, riporto (no, non quello dei capelli, noi riporteremo altro). L’ anafora in pratica, è la ripetizione di una parola o la ripresa di un concetto. Lo scopo, è quello di porre l'accento su