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Trittico dell'abbandono

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Mi chiedi di scrivere mentre strappo con gomma bicolore dal quaderno della vita tratti di sogno; troppo maturo. Scriveranno altri per te, io ora taccio e cucio; e che sia un dire sovrano la parola del Silenzio. e mi chiedi di tornare dal luogo di ghiaccio ove le Voci m'hanno relegato; in quelle lande, però, si tace  chè la parola è valanga e il suono  - in quei bianchi deserti - è nemico dell'intuizione. Lascia dunque che chieda io al tuo petulare bambino un istante di requie; è tiranno, sai, e battente e antico il mio desiderio  di spezzar pennini, come fece il patriarca con gli idoli di Terach. Foto e testo - inedito 2022 - di Sergio Daniele Donati ©

Redazione: Un approccio lacaniano nella lettura di due episodi di Infanzia di Lev Tolstoj di Tiziano Mario Pellicanò

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Sigmund Freud equiparò il desiderio del ritorno alla fase della vita inorganica alla fusione con il materno, per Jacques Lacan il soggetto non ricerca quest’ultimo, ma aspira a colmare il Vuoto primordiale con la sua costante ricerca, destinata a chiarire il senso dell’esistenza, strettamente correlata alla coazione-a-ripetere: «la vita non pensa che a morire» . Non a caso, Jacques Lacan considerò l’esistenza come una ex-sistenza attraverso la rilettura del Todestrieb freudiano 1 . Il piccolo Nikolàj si ferma sulla soglia di questo vuoto di cui non possiede gli strumenti per una possibile decodifica, se non per mezzo del distacco e con un atteggiamento che rasenta l’indifferenza. Altri indizi, per la verità abbastanza palesi e neanche tanto censurati, ci illuminano sul rapporto tra il protagonista e la madre e possono essere rivelatori del comportamento scandaloso di Nikolaj dinanzi alla morte della donna e spiegarne, almeno in parte, le motivazioni. Un rapporto improntato, a volt

(Redazione) - Nota di lettura su "Dissociazione elementare" di Silvia Gelosi (Arcipelago Itaca edizioni, 2022)

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È uscita poco tempo fa per Arcipelago Itaca edizioni la raccolta poetica di Silvia Gelosi Dissociazione elementare.  La raccolta si caratterizza per una innata eleganza, sia strutturale che sonora, che non scema - anzi paradossalmente aumenta - in relazione alle tematiche profonde che affronta.  Di quale dissociazione l'autrice intenda comunicare al lettore l'esistenza lo scopriamo passo dopo passo, senza fretta, con la lentezza che l'intera raccolta richiama a sé.  Tuttavia non sfugge già nel titolo il paradosso (e l'ossimoro), che abilmente la poeta lascia scivolare con estrema nonchalance tra le pieghe del libro, e che pone il lettore in attenzione concentrata.  È possibile che ciò che è elemento (quindi essenza) possa essere dissociato? E, dissociando un elemento costitutivo dal suo altro da sé, cosa resta della sua vitalità iniziale? Silvia Gelosi struttura la sua silloge con una struttura che appare a chi la legge immediatamente binomiale; in cui la parte sinis

(Redazione) - Letti da Francesca - 09 - su "La scrittrice obesa", Marisa Salabelle, Arcadia ed, 2022

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A cura di Francesca Piovesan La scrittrice obesa è Susanna Rosso, donna che arriverà a pesare 164 chili, scrittrice che affogherà i suoi pensieri e le sue delusioni in cibo di ogni tipo, in cibo che diventerà sostanza del suo corpo, della sua casa, delle sue relazioni. Marisa Salabelle ci invita nella vita di Susanna, imponendocela nella sua schiettezza, nel suo cinismo, nel suo carattere ruvido, nella sua frenetica rincorsa verso una pubblicazione, un riconoscimento, un briciolo di celebrità che non sia il premio locale, o il trafiletto sul giornale di quartiere. Centocinquantacinque pagine di disperazione che diventa malattia, incomprensione della realtà che circonda la scrittrice obesa, confusione del piano narrativo che prende vita nella quotidianità del suo appartamento, delle poche visite che riceve, dei pochi rapporti sociali che riesce a portare avanti. Susanna Rosso nelle sue missive disperate a case editrici, scrittrici, scrittori, registi, cantanti. Lettere che denunciano c

A un giovane imputato

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Ieri ho sfiorato un'altra volta la barba d'Odisseo; parole alte dedicate forse alla voce nascosta di ciò che non torna. Ma nel fascicolo, oggi, c'eri tu, e i tuoi occhi troppo neri per non ricordarmi quelli di mio figlio, troppo persi perché  non ci vedessi i miei di allora. Il Mito che spesso usiamo per nasconderci alla vita era oggi lì, tra i fogli di quel fascicolo, a raccontarmi quali sirene t'abbiano spezzato il respiro. Io non so esser chiglia, né sono albero maestro, ma potrei farmi per te zattera o remo - se mai vorrai remare.  Ora, però, ti prego smetti di guardarmi negli occhi; posso difendere Il tuo diritto al futuro solo se evito la memoria di ciò che sono stato a un passo dal diventare. Foto e testo - inedito 2022 - di Sergio Daniele Donati

Il quarto Alef-Bet - 09 (Het/Tet)

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Va da sé; ogni scrittura è inchiostro di penombra su pergamene di luce. Eppure a volte pare di poter scrivere - e leggere e interpretare - pulviscoli di polvere provenienti dal nulla Foto e testo - inedito 2022 - di Sergio Daniele Donati ©

Odisseo e la fune

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Che dire del vento che offusca le direzioni, o della bonaccia che lancia alta  l'angoscia d'un ritorno non più immaginabile? Se mi trovi legato  all'albero maestro non è per il canto delle sirene - è solletico alle mie orecchie il loro fingere il bello  in un giallo sorriso sdentato. Ho bisogno invece  di funi robuste che mi seghino le caviglie e di ritrovare nella caduta di gocce di sangue sul ponte il senso profondo d'una direzione perduta. Foto e testo - inedito 2022 di Sergio Daniele Donati ©

Se avessi saputo...

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Se avessi saputo che canto era non avrei cantato; certe disarmonie non sono nelle mie corde e l'ultima battuta, quella che chiude, l'ultima nota l'avrei voluta sospesa al filo di rame d'un legame che articola il futuro invece che spezzarsi sotto il taglio d'una cesoia sgraziata. Ma siamo figli d'un burattinaio privo di senso dell'umorismo e, anche se ne deridiamo la voce stridula mentre ci impone saltelli e moine, è lui che ci tiene in piedi.  Allora sì, se avessi saputo che canto era, certo non avrei cantato; ora posso solo sentire l'applauso mentre mi allontano  e giro la schiena a un pubblico incapace di comprensione. Mi chiedi perché mi dondolo come tanti, in preghiera. Qualcuno, rispondo, dovrà ben dare all'onda e alla risacca e al ritorno il significato  che il mondo loro nega.  Gli anziani, come certe lettere, perdono i denti,  mai il sorriso, e io  sono antico nel midollo. Per questo mi dondolo e alla malora il canto che non avrei mai cantato

Due poeti allo specchio (Barbara Rabita e Sergio Daniele Donati)

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La colpa La mamma indossa un orecchino tondo, con la clip. Afferra il fascio di capelli della figlia: un mazzo di cicoria da tagliare alla radice. Vuole plasmare quel fascio, una forma a lei congeniale. Tra le labbra strette tiene elastico e due pinzette, la fessura sottile degli occhi trattiene un moto di nervosismo, si bagna di una lacrima da sforzo. Così devo essere? Si domanda inconsapevole la bambina, teso il cuoio capelluto, artiglia il lavandino mentre oscilla sotto le mani sapienti della madre. Lo specchio riflette la loro immagine e una piastrella scheggiata, rimasta così dopo un silenzio durato troppo. Barbara Rabita - inedito 2022 Eppure Eppure sulle nuche dei nostri figli - che fummo; che siamo -  poggia una mano divina una carezza turchese che il nostro contatto di padri (di madri?) scimmiotta, imbranato.  Eppure nelle nostre pupille di genitori incauti e inciampanti brilla la fiamma  delle parole che ci si strozzano in gola per quel dono immeritato La vita, sì la vita, am

Dialoghi poetici coi Maestri - 46 Velimir Chlebnikov (un dialogo in più stanze)

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Velimir Chlebnikov - immagine di repertorio dal web Senti il rumore, eh, amico mio Questo qua è dio che salta dentro un Pio. ( Velimir Chlebnikov - tratto da 47 poesie facili e una difficile a cura e tradotto da Paolo Nori - Quodlibet ed.) Sento odor di risacca, del ritorno di Dio nelle schiume del pensiero;  che non è mai mio. ( Sergio Daniele Donati -  inedito 2022 ) Poco, mi serve. Una crosta di pane, un ditale di latte, e questo cielo e queste nuvole. ( Velimir Chlebnikov - tratto da 47 poesie facili e una difficile a cura e tradotto da Paolo Nori - Quodlibet ed.) Il cielo non basta mai a sé stesso; è stanco il mio orecchio d'ascoltare di penne eccelse l'incapacità di dimenticarsi di sé. ( Sergio Daniele Donati -  inedito 2022 ) Nella piazza della vecchia città Si è raccolta una nera assemblea: Operai, ragazze, militari. E l'albero delle parole lascia cader le foglie. ( Velimir Chlebnikov - tratto da 47 poesie facili e una difficile a cura e tradotto da Paolo Nori - Quo

(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 14 - "Poesia degna e sobria": a proposito “Khamsin” di Maria Grazia Galatà (Marco Saya ed., 2021)

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A cura di Sergio Daniele Donati Nel 2021 è uscita per i tipi di Marco Saya Editore la silloge  Khamsin di Maria Grazia Galatà, raccolta che sicuramente si caratterizza per la maturità dei tratti stilistici e di contenuto.  Come altrove nella produzione copiosa dell'autrice, troviamo anche in questa raccolta il richiamo al dominio di una geometria del sentire, quasi ad una familiarità con l' aritmetica del sentire.  Già alla prima composizione della raccolta quanto sopra appare evidente.  Ne riportiamo il testo qui sotto ed è tramonto di un passo dentro ogni spina di spine  la fine di un luogo  la forma dell’angolo nel limite ignoto  e dimmi – le tue albe quali sono? La misura è già presente al secondo verso in quel passo che appare non incerto ma cadenzato e diretto verso la fine di uno spazio ben delineato.  Una finis, un exitus, un tramonto  che trova specchio nella domanda finale, con una simmetria che non può non esser colta da chi legge.   E non si può non notare che qu