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Tre inediti di Selene Pascasi

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Foto e testi di Selene Pascasi Si pubblica su concessione dell'autrice Fibra Tra la parola e la fibra si annida il sollievo dei secoli. Immacolati esseri senza volto seduti al chiaroscuro dei versi attendono incontri fatati su viali concimati di vita. Orme notturne di angeli capovolti. Patto divino. Incandescenza È una fine che non ha principio questa incandescenza di suoni fame notturna di carezze sparizione di garza ancestrale da un corpo asciutto di luce. Contemplo il dondolare labile del tuo restare senza tornare ospite precario della mia vita icona plasmata nel nulla. Lo assolvo dalle incombenze di prospettive domandate per liberarmi dal mai nato setacciando cianfrusaglie bottegaie di asettiche visioni. Torno a compimento. Nonostante l’amore Non sporcate l’aurora con flaccidi abbracci girandole solitarie metafore incompiute. Offendete la tristezza inchinatevi alle rughe sfiorate d’alba gli anni pazientate le stagioni. Nonostante l’amore. __________ Selene Pascasi è nata a L’A

C'è un modo di cantare

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C'è un modo di cantare piano, tra sterno e viscere, per se stessi incuranti dell'ascolto (o della sua assenza). È un canto dedicato (forse) a ciò che non è, ancora; al mondo del possibile. Tu non chiamarlo poesia. Non dargli un nome. C'è un modo di cantare piano; tu non chiamarlo poesia. Fischietta quel canto e, se in tasca hai un sassolino, lancialo lontano.

Ghimel (in tre versi)

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Ghimel di Sergio Daniele Donati La forza di quella domanda creò spirali centrifughe dentro casa; un silenzio felice.

Apollo e Dafne di Carla Ghisani

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Apollo e Dafne di Gian Lorenzo Bernin Ho corso nei boschi  in golena,  ho cercato a perdifiato  le radici del fiume, l’origine della mia fame feroce, fra i pioppi dalle foglie  d’argento. Sono diventata foglie io stessa, prediletta  dalla natura  scomposta figlia della notte che abita fra gli occhi  degli uomini e degli dei rapaci, che popola la terra di mostri  e di bellezza. Non ho più fiato,  ma corteccia,  dicono  che io sia  benedetta, e incorono la vittoria  con la mia grazia  lucente. Le mie braccia /ora rami, assottigliate  mani di fronde/ accolgono e fanno ombra e Apollo tace attonito, frena la sua violenta voglia. Il momento perfetto, quando il mio grido  si fece linfa. Quando la volpe mi vide  tramutare  il sangue in clorofilla,  da donna impaurita. a pianta,  la meraviglia del bosco, della mutevole, lieve vita.

Due inediti di Felicia Buonomo

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Foto di Felicia Buonomo Inediti e foto sono di Felicia Buonomo e vengono pubblicati su sua gentile concessione RISIKO Mi acquieto mentre ti prepari a guerre dal possessivo sbagliato. Mentre dimentichi il conto delle mille (mie) vite assassinate. Dormo contando i popoli vinti sul campo, luce fioca nel buio delle tue conquiste. Risiko ha regole che da sempre non comprendo. Gioco per afferrare la logica di chi non sa comprendere - nemmeno di fronte a un morto. CAVERNA Come desiderio di bambina che non teme di andare incontro. Eppure ferma sul precipizio delle fiducie tradite. Da sempre improvviso i tentativi di vita. Sapere la luce, mi insegni. Come il bene, il lutto e ogni cosa certa del cosmo. Del buio ho fatto caverna. Protegge da freddo e nemici. Anche dall'amore, rispondi. ________________________________ Felicia Buonomo è nata a Desio (MB) nel 1980. Nel 2007 inizia la carriera giornalistica, occupandosi principalmente di diritti umani. Alcuni dei suoi video-reportage esteri son

A mio figlio (fuor di scrittura)

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A mio figlio, il nuovo mondo Ciò che non sai è che il tempo spezza e toglie ossigeno a respiri già affannati; non sai che stelle e firmamenti, e voci e silenzi, e lettere e corse folli, e petali e danze sono gocce per riempire il secchio dell'abisso che ride; là sotto. Non sai del bimbo con le mani sulle orecchie, per non sentire. Non sai del volto che si volta per non guardare. Non sai dell'urlo soffocato: guardami. Non sai della carezza nel ghiaccio e della testa sull'asfalto e la moto a terra con la ruota anteriore che ancora gira, come gira la follia per questo mondo. Ciò che non sai ancora, è che essere padri è vivere pregando che l'ossidiana dei tuoi occhi si posi su ciò che chi non ha ancora parola chiama distratto amore , che la tua mano batta su tasti di pianoforti antichi e non su schegge di coscienza. Essere padre, è ora che tu lo sappia, è chiedere, urlare, imporre a un mondo distratto di ascoltare il tuo nome. Ciò che ora, se mi leggi, sai è che un pa

Il gesto del Silenzio

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  Che sia  un dito sulle labbra il gesto del Silenzio è l'abbaglio di chi non interpreta. Il gesto del Silenzio è nel fremito dell'occhio, che vorrebbe dire.

Metafisica dello stendino

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Foto di Sergio Daniele Donati Oggetti appesi allo stendino parlano della loro  stasi sul filo del silenzio. Resto all’ascolto sottile del loro  saggio racconto. Una calza spaiata mi narra del valore dell’uscita da un mondo  tiranno in cui l’unica voce  che intendi è quella del tuo vagito bambino. Lontano da me, ascolto il silenzio di magliette di lino e boxer vissuti.  Ogni ombra di ricordo è dissolta dall’immobile  oggetto su cui  si posa l'occhio. E respiro felice  L’aria rarefatta della libreria scomposta. I libri parlano  allo sguardo  finalmente vedente, senza essere letti. Oggetti incapsulati nel silenzio sovrano come fossili in gocce d’ambra. Tutto tace e dimentico finalmente di ricordare. 

Le lettere “rezdore” - A braccia scoperte

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Ne hai fatto una questione d'orgoglio, e loro t'hanno punito.  Che la scrittura è altro, anzi, è l'Altro che avanza. E, se avanza, tu devi retrocedere, renderti invisibile.  Le lettere sono donne altezzose e regali. Esigono spazi e tempi immensi. E non c'è spazio nell'eterno urlare “io, io, io”.  Il tempo si contrae, sino a diventare punto, dietro a quel dittongo ingombrante. Ritirati; ora. Non è tardi. Faranno il broncio. Si faranno desiderare.  Tu desiderale dal ritiro, dalla grotta silenziosa. Là, dove riposano ricordi color turchese, desiderale senza chiamarle.  Ogni regina ha bisogno del suo seguito. E torneranno. Lascia solo loro l'illusione che sia un ritorno spontaneo. Anche l'acqua del fiume, stolta, crede di essere libera quando si riversa nel mare.  E ignora la funzione degli argini, l'ineluttabile tragitto che le sue anse (le sue ansie) le impongono. Si dice libera quell'acqua per incapacità di vedere, di accettare di aver perso la sua vi

Passi solitari (Oblivion 2)

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Passi su terreni intimi, nostro vuoto comune; e luci di natale nei tuoi occhi color nebbia milanese. E mani sui fianchi e silenzi densi e suoni lontani, di fisarmonica. Io non so danzare; lo fanno per me lettere e segni. Tu ti muovi come dea e posi i tuoi silenzi sul mio sguardo bambino. E dimentica un istante solo chi sono; si imprima nella tua mente chi ho cercato di essere per te quando non potevo essere con te, quando strisciavo solo passi d'arte marziale su spiagge solitarie. Non fosti tu a spezzare la mia spada da samurai stanco. Fu un raggio di sole arrivato troppo presto su una corazza impreparata ai colpi dell'amore. Allora, su quelle spiagge, mi inventai le danze a noi interdette e il mare, lì vicino, rideva, come te, incapace di perdono.

L'ebreo si dondola

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Marc Chagall - L'ebreo in preghiera F. Chopin Nocturne No.14 In F Sharp Minor Op.48 No.2 (esec. Maurizio Pollini) L'ebreo si dondola quando la palpebra piega al ricordo e il suono delle litanie giunge da lontano. L'ebreo si dondola e mette il corpo nell'onda lenta, nel flusso dei millenni, e si concentra nel punto vuoto e bianco prima d'ogni lettera. L'ebreo si dondola nell'abbaglio del suono, nel canto ancestrale, nella parola aspra, nel suo nome che scolora; nel ricordo dei sei milioni, l'ebreo si dondola. E canta parole secche, l'ebreo che si dondola, e invoca la memoria dalle steppe dell'oblio, l'ebreo che si dondola. E si perde là, e naufraga tra le scorie dei rifiuti e gli ori degli abbracci, l'ebreo che si dondola.

Nebbie

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Foto di Sergio Daniele Donati Amo perdermi nelle nebbie. Tu non chiedermi quali. Sai bene che, tra tutte le nebbie, solo la foschia del tuo sguardo è capace di ridarmi un nome.

Ogni dimora di Laura Spazzacampagna

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  F Foto di Laura Spazzacampagna Oltre il respiro forse l'unica dimora è il Tempo - oltre la tua voce alla luce del risveglio.

Bet (in tre versi)

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  Sia benedetta  ogni dimora  e le sue parole.

Tre poesie di Laura Landi

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Foto di Laura Landi Ai miei bimbi Tommy e Chico alle parole trovate tra i loro stupori Si apre il sipario si apre il sipario è di scena il primo pianto e il grande addio. Sento il volo   sento il volo del vostro cuore scolpire il tronco che cresce. Alla mia Mamy Ti trovo  ti trovo  nel profumo di viola  mentre copri gli spigoli  con gommapiuma e seta.  ti leggo,  nelle parole che mi dai  e che aprono il raggio  quando il vento soffia forte.  ti cerco,  nella spalla di verde  e giallo  all’angolo dei miei tredici anni.  ti penso,  fra monofore e bifore  quando i pomeriggi in francese  raccoglievano i nostri passi.  ti amo,  ogni giorno  tra pensieri e parole  annodate di filo d’oro  e perle preziose.  Poesie apparse in "Così io mi ascolto" - Guaraldi editore - 2000 Si pubblicano su concessione dell'autrice e dell'editore

Benedizione balbuziente

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  Foto di Sergio Daniele Donati È una sorta di riflesso quel lago. La parola sacra sfugge all'occhio del cervo; poi torna come pelle su pelle. Io canto il canto e la neve sulle mie spalle tesse ricami e arabeschi sui limiti d'un dire balbuziente.

Alef (in tre versi)

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Davanti a me, infinito silenzio; sino alla prima parola.  

Il segno

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Foto di Sergio Daniele Donati È greve  il segno, mai il foglio; e, lucido il pensiero, balbetta  la parola.  

Il pescatore

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Partì prima del remo il canto del pescatore; polifonie, richiami di voci dal silenzio. Prima che la rete toccasse le acque sapeva che là, nel torbido, non dimora pesce. Eppure lanciò i suoi dadi perché non si spegnesse la luce sul mondo. La palpebra di marmo, scompose ricordi  sulla linea  dell'orizzonte. Parole nel gozzo, cucirono pensieri; aghi e fili dai colori senza grazia. E non fu finzione né sogno;  ma speranza e mani sul volto. Né fu delirio o minaccia o supplica poi, davanti alla rete;  solo strappi. Tornò a riva di notte. E non fu fame nel ventre né desiderio nello sguardo. Solo rimpianto e l'odore  di calce d'un cielo e stelle crudeli.

Requiem

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Foto di Sergio Daniele Donati Restano appese a una mente pigra parole non dette; sguardi che declinano, - timidi, spauriti - verso l'abisso. Hai messo l'accento sul momento; ho tolto apostrofi al divenire. Restano, dicevo, parole monche, suoni gutturali, sullo sfondo indaco delle nostre incapacità. Io non posso stare ove risiede la tua maschera; sto là, dove è bene che stia, nella landa sterminata della tua assenza.  

Come grandi tigli di Adriana Valabrega

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Tigli - Foto di Micol Tedeschi Il vetro trattiene il cielo nel fuoco, ora coperto a metà dalle anime oranti. Ombre scosse vibranti come grandi tigli sollevano lievi suoni musicali. Avanti e indietro corpi si snodano dondolanti, confortati dal ritmo delle voci oranti. La poesia Come grandi Tigli di  Adriana Valabrega Valabrega è stata pubblicata in "Giochi d’acqua" - Paola Caramella editrice, Torino 2019. Si pubblica sul blog su autorizzazione dell'autrice e della casa editrice

Abbaino di Francesca Piovesan

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Testo e immagini pubblicati su concessione dell'autrice Quando piove, qui è buio.  Resto intanato in un angolo, mi muovo poco, sistemo qualcosa di sfilacciato. Mi ci sono voluti circa due mesi per imparare a fare bene le cose, prima terminavo tutto a metà, mangiavo poco, sono stato magro, sottopeso. Quando piove chi vive con me fa poco rumore. Il suono della pioggia è più forte. La tv della stanza accanto non si accende, il gatto dorme sempre al solito posto, anche i vicini sono silenziosi. Io sono silenzioso, guardo l’abbaino che respinge l’acqua. Un paio di settimane fa è venuto un uomo a ripararlo; l’acqua entrava, formava delle piccole pozzanghere sul parquet rossastro. Ho provato ad avvicinarmi a quelle pozzanghere, per capire se ricordavo bene quei primi giorni di vita quando vivevo fuori, all’aperto, quando ero minuscolo, quando ero uno fra cento. Ho immerso nell’acqua una delle mie gambe; era fredda, acqua di Dicembre, acqua di ghiaccio, acqua di sole negato. L’ho ritirata

Senza un fine di Carlo Martello

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Pubblicata su concessione dell'autore Carlo Martello Senza un fine. Questa vita non ha futuro. Sbatti sbatti la testa al muro, Chiaramente, Te la rompi Senza fine. Senza un fine. Senza un fine, Sembra oggi ma è già domani Io non dormo e le mie mani Mulinelli, Stancamente Senza fine.

Sei milioni

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Foto di Sergio Daniele Donati Si crepano maschere d'argilla sui miei volti e lo sguardo si perde su un orizzonte assente; avanzano lenti i passi del silenzio e ardono i fuochi sacri della memoria. In alto sei milioni di voci evanescenti, celate dai fumi della storia, osservano e sostengono una tenacia bambina. Per loro solo canto nenie antiche, canti d'elevazione nella notte senza stelle.

Due poeti allo specchio (Davide Zizza e Sergio Daniele Donati)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Colano tra le dita parole senza peso.                                      Sul palmo                                     pergamene e carte,                        di territori sconosciuti.                             Quando si armano                              dello strumento sacro                                 si cancella un nome                                       sotto le unghie del ricordo, e poggia su un vuoto senza fine il  segno sovrano dell'oblio. (Sergio Daniele Donati - Fedro) Colano dalle dita parole senza peso. Sul palmo carte, territori bianchi sconosciuti. Quando il pennino sta fra pollice e indice si raschia un nome sotto le unghie del ricordo e poggia su un vuoto senza fine il segno sovrano dell'oblio. (Davide Zizza)