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Amore è Altro

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Foto di Sergio Daniele Donati Eppure incanta ancora lo scatto felino d'un tuo sguardo furtivo. E tace la voce -e il canto- del mio sterno guerriero se posi le ciglia sul diaspro della mia iride. Tu taciti, io taccio; parla per noi chi della parola trattiene  il segreto roco, e canta ininterrotto al mondo il suo gorgoglio profondo.

Nel mito

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Foto di Sergio Daniele Donati Immergiamo nel mito,  a volte,  mani bambine. Cerchiamo  nelle marmellate  dei significati  mieli per le nostre  labbra.  Suoni mai sentiti  parlano alle nostre  orecchie pallide.  Ci meraviglia  lo spettacolo  dell'antico tempio  rinnovato nel sole,  tiepido.  Il luogo dal quale  non proveniamo  si copre dei nostri  passi di ritorno.  I muschi di Pan  odorano di metriche giambiche  e sogni fecondi.  Immergiamo nel mito,  a volte,  dita bambine.  Ci culla il canto  dell'aedo  e la lira d'ambra  del rapsodo  canta con voce di donna  ai nostri capelli d'argento.

Preparare la scrittura

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  Foto di Sergio Daniele Donati Ci si prepara a scrivere, a volte, secondo rituali antichi. Che scrivere è chiamare a sé, dal silenzio, suoni cristallini. Oppure, al contrario, dare armonia e melodie nascoste ai suoni gutturali e melmosi che provengono dalle proprie viscere.  La gestualità è importante, prima di scrivere. Predispone l'animo all'ascolto quasi maniacale di ciò che ancora non ha forma.  E così il foglio, le penne, gli inchiostri vengono scelti con gesto lento, molto prima di ciò che si vuole dire.  Chi scrive secondo queste ritualità è sempre anche un calligrafo, o un maestro del thé giapponese.  E non dimentica che la corporeità ha un peso nella scrittura.  È il contenitore che dà la forma ai pensieri (prima), al detto (poi).  Ci si prepara alla scrittura come l'amante prepara la casa per la sua amata e sceglie i migliori vini e i bicchieri di cristallo. Non per sedurla, ma perché Lei abbia a disposizione i migliori strumenti per sedurlo.  Ogni scrittura prof

I sogni di Mordechai (cap. 1-13)

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Foto di Sergio Daniele Donati 01 Incipit  Mordechai uscì dalla sinagoga con un malessere di fondo. Parashà e Haftarot questa volta non erano riuscite a sollevarlo da terra. E quel grido, quello strazio, era come un tocco di campane d'inquisizione nelle sue orecchie Camminava, col cuore in affanno, e a nulla valevano le parole che il Rebbe gli aveva rivolto all'uscita. "Le cose tornano, Mordechai. Magari trasformate, ma tornano. Sempre". L'aveva guardato a lungo, senza parlare. Poi era andato via. Come può tornare ciò che mai è arrivato? E che cosa poteva mai capire un uomo di novant'anni degli affanni di un giovane.  Mise le mani in tasca e ci trovò il solito sassolino. Lo strinse, come sempre, e si sedette sul marciapiede. La gente passava indifferente, le ore passavano indifferenti, i ricordi passavano... differenti. Si tingevano di colori diafani, tonalità mai viste, di spiegazioni mai pensate. Mordechai chiuse gli occhi. I suoni del villaggio sembravano lo

Venerdì sera (di Patrizia Pieri)

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Foto di Sergio Daniele Donati Racconto pubblicato su concessione dell'autrice Patrizia Pieri La conosceva da soli tre mesi, ma una cosa così grande nella sua vita non era mai accaduta. Sin dal primo incontro l’aveva subito “sentita” dentro di sé in modo profondo, e, se è vero che non aveva mai faticato troppo per ottenere un incontro con quante desiderava conoscere, con lei aveva impiegato tre mesi prima di combinare realmente un appuntamento. Tra gli impegni prenotati con notevole anticipo, le scadenze da rispettare, i messaggi urgenti e imprevisti in segreteria telefonica, lei aveva sempre rimandato, ma poi, a parte l’attesa, era stato un susseguirsi d’incontri fino alla sera fatidica in cui avevano trascorso la notte insieme. No, una donna così non aveva avuto neanche il tempo d’immaginarsela, c’era qualcosa in lei d' inspiegabile, qualcosa sì d’indefinibile ma così forte che non riusciva a togliersela dalla testa. È vero: pensava sempre a lei, soprattutto dopo quella notte.

Le vesti (la scrittura che strappa)

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  Foto di Sergio Daniele Donati scrittura esile/scrittura esule Due anni.  Per due anni  parole, lettere, segni  mi hanno lacerato  le vesti.  Che al corpo che sanguina,  all'anima che declina,  si devono togliere  (presto)  le vesti.  Erano turbini  (benevoli e violenti)  e prendevano a schiaffi  volti coperti d'oblio.  Cercavano altro,  dentro la ferita.  E strappavano  (svelte e violente)  le vesti.  Due anni per carpire  il valore sacro  del vento  freddo  sul volto.  Brezza gelida  che squaglia la pelle,  e entra dagli occhi  e toglie le vesti  a un corpo  che sanguina,  a un'anima  che declina,  a un'anima  che fibrilla,  e lancia in cielo  S.O.S a forma d'uncino.  Due anni per togliermi  le vesti  e stendere balsami e unguenti  su un corpo che sanguina  e un'anima che declina.  Parole e lettere e segni  (violenti e benevoli)  mi hanno stesso sul tavolo  chirurgico  (presto, presto, lo stiamo  perdendo).  E mi tagliavano  (violente, veloci e benevole)  le

E ora tango (Oblivion) – La danza dell'Amore

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Ti tengo lontana, che sai di mare. Ti tengo vicina, che sai di ginepro. E quella nota tenuta, sensuale, è un urlo, bambino, acuto. Un dondolarsi lento, sopracciglia alzate occhi umidi, ti tengo lontana che sai di calce, vicina che sai di ribes Ti tengo lontana che sai di cielo. Ti tengo vicina che sai di mamma. E torni e vai e torni, ancora. Onde. Ti tengo lontana, ti tengo vicina. E sogni e sogni E ancora pieghe, pieghe. Ti tengo lontana e vicina. E schiaffi e addii e ti tengo vicina e lontana, ancora. E torni e vai. E muovo il piede su asfalti bagnati su arie buone d'oblio. E vai e torni E ti tengo vicina e lontana e vibra lento e pulsa il ventre e vai e torni e ti tengo vicina e lontana. Che sai di mare e di ginepro di mamma e d'oblio

La danza del perdono e del ritorno (Tikkun)

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Poi tutto torna al suo posto (al suo naturale e legittimo posto).  E tutta l'energia che hai messo nel desiderare mediazione e rimediazione, nell'impulso al tuo personale Tikkun, si manifesta in un solo semplice gesto di accettazione.  Ti fermi e accogli i tuoi limiti, quelli di allora.  Il presente sana un passato vorticoso e un poco folle.  Il tempo non pone a tutto balsamo, eppure tu non hai smesso di desiderare, di ricevere e donare, perdono. Mai!  Anche quando niente sembrava avere un senso, non hai ceduto mai alla tentazione di negare un significato a ciò che avveniva.  Giorno dopo giorno, con faticosi passi, nel buio più totale, hai saputo immaginare la luce.  Hai saputo farne un progetto.  Ora tutto ti pare semplice, persino evidente; e della fatica, delle notti insonni, o dei sogni troppo pesanti per farne parola, restano solo tracce nei peli ormai grigio-bianchi della tua barba.  Quel gesto di mediazione e rimediazione che hai ora con tanta facilità compiuto, non nasc

Arpeggi e cicale

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  Rachmaninoff – Adagio del piano concerto #2 in C Minor, Op. 18 Io ti raggiungerò, padre, nel luogo designato, ti raggiungerò; a passo felice con i chiodi nelle scarpe, ti raggiungerò e a nulla varranno le cetre e i liuti,  là,  dove il suono della fonte sarà sovrano,  dove lo scacco sarà pedone. Io ti raggiungerò,  e sarà sorriso che unisce, padre e sarò di nuovo figlio,  del vento e delle cicale, come allora,  e il sasso che rimbalza  cricchetto, ricochet, grillo salterino. E rideremo rideremo,  come non abbiamo riso allora, e la risate si alzeranno come vele,  padre, e ci porteranno nel luogo  che i nostri occhi hanno sognato lontano, lontano, e sarà musica di cembali  e flauti e liane a cui appendersi, e sarò figlio del vento e delle cicale, e sarai figlio del vento e delle cicale. Io ti raggiungerò, padre,  e immergeremo i piedi nella neve che si farà scherzose beffe dei nostri “ohi che freddo, ohi ohi”, e rideremo, rideremo padre; e di lontano un corno inglese ci dirà che è 

La grande tela

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  È una tela enorme. Così grande che si fatica a percepirne i contorni.  Così immensa che sembra contenere tutti i colori, tutte le loro sfumature possibili.  È un quadro talmente grande che ognuno ci legge e vede cose diverse.  Ritratti, scene di battaglia, paesaggi campestri, persino dei canali veneziani con le gondole nere su riflessi vibrati dell'acqua.  Chi ha un animo infantile e sognatore pare che riesca leggerci palloncini e mongolfiere e zuccheri filati alle fiere del villaggio.  Piero lo guarda, entrando nella gigantesca sala del museo, e ne rimane colpito.  “È un quadro davvero gigantesco”, pensa.  E sente che quella scena di caccia al cervo gli ricorda qualcosa.  Forse le sue vacanze in Inghilterra di tanti anni prima.  Coi prati perfetti, senza un filo d'erba fuori posto, e la boscaglia fitta nella quale sembrava di percepire il richiamo a antiche saghe e battaglie medievali.  Mentre il bimbo al suo fianco si lecca le labbra alla vista delle ciambelle fritte della