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Ayin

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Sai, figlio mio,  la prima luce illuminò  sessanta volte mille  e settantacinque soli,  e furono sette, figlio mio,  i raggi di stella  nella pupilla del Giusto.  La luce del risveglio,  figlio mio,  è lode eterna e tripudio  per settanta generazioni;  e nell'occhio del sapiente,  figlio mio, è custodito  ogni fertile dolore;  sulla corteccia ruvida dell'albero del silenzio,  figlio mio, il Giusto  posa la sua mano  e pulsano radici  e vibra il fogliame,  il Giusto che salva,  figlio mio, e punta  il suo occhio antico  sui tuoi volti e  benedice il tuo nome.  E ora riposa, figlio mio,  al suono delle settanta  cantilene che diedero  Gloria e Armonia al Creato

Mi attarda (Mon Enfance)

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Mi attarda,  lo sai,  lo sguardo sul muro, e il volo di rondine. Fischiano e picchiano,  come aghi di pino  nel bosco dell'impossibile E ride al canto del merlo, il ricordo d'un volto-mirtillo  da bambino. E tace lo sguardo che si perde nell'ora del tramonto che tutto cela.  Sospendevo allora, con gesto della mano, il flusso del tempo.  Poi la posavo, non ancora uomo,  sulle cortecce degli alberi. Erano pianti, lo sai.  E sai che il bello   e lo stupore calano goccia a goccia,  prima d'ogni parola nel cuore di chi canta in lingua antica e sovrana. Allora ti prego,  amico,  non ridere se m'attarda ancora, nell'ora che prepara  la battaglia, il ricordo di occhi bambini, da gufetto  nel bosco della vita.

Nun

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Adam è perso, eradicato  Adam è diviso e spezzato  Norah, coricata al suo  fianco, si fa lanterna  per reni e stomaco e cuore  e suona per lui  la sua arpa d'argento  su polvere e sangue e fiele  e gli sussurra: alzati  e lo chiama Uomo

La Flussa

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Disegni di Judith Sideri Canto all'antica in sibemolle minore per ragù e orchestra Bolle il brodo e borbottano gli aromi e si mescolano odori e ricordi  e immagini e penne e parole tra i peli ormai bianchi della mia barba. Sanno di desiderio, il mio,  mentre il tuo vissuto canta nelle cucine in cui giocavi coi tuoi  sei fratelli tra una risata  e un rimbrotto della rezdora. Io non lo so, anzi lo so cosa ti ha reso muto; non so, anzi lo so,  cosa mi ha reso ciarlone.  E so che ciò che mi ferisce  ora ti ferì allora, papà.  E scusami, se ho aggiunto bacche di ginepro  ai tuoi ragù, ma i miei boschi  si insinuano ovunque. Sono i sentieri che ho percorso  per allontanarmi da te, le vie che ora  mi riportano a te. E il merlo di cui tu imitavi il fischio canta sul mio balcone a ogni tramonto. Ci toccheremo finalmente le mani sotto un larice, papà, e forse mi tirerai come allora una pigna, e fingerò come allora di rima

Mem

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Il secchio, guardia dell'abisso, copre acque che, goccia su goccia, scorrono sotterranee. Ti celi al nostro sguardo e lasci tracce,  ridente, tra nespoli e ali di falco. Noi, quaggiù, popolo devoto al tuo nascondimento eleviamo un canto umano in tua gloria, chissà se uditi, chissà se udito.

Concerto

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Note stridenti,  acide,  metallo  contro metallo, legno secco  su legno secco. Intervalli di settima,  di seconda,  disarmonie. Muti gli ottoni,  squillanti i silenzi Eppur presente, ancora, tenue e inascoltato il canto altro,  mai sopito

Au commencement (בראשית)

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Quadro di Paul Klee - particolare Viene di lontano il primo soffio dell'amore,  e strabica, come Venere,  è la prima carezza.  Tu non chiedermi i percorsi  del nostro incontro.  È ancora incerto il mio passo  lungo la spirale centripeta  della vita e m'incanta il battito d'ala dell'airone sulla linea dell'orizzonte

Il messaggero d'autunno

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"Ci vuole un prisma", dicevi, "per trasformare luci bianche in arcobaleni di colori". Io cercavo, al contrario,  il luogo ove ogni parola  torna; un unico silenzio.  Mi sedetti sull'erba. Lontano cantava  un usignolo. Sergio Daniele Donati  - inedito Versi ispirati all'opera di Paul Klee " il messaggero d'autunno".

Lamed

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Spingimi via perché  io possa tornare; insegnami il piccolo  ché io possa  muovere mosche e moscerini  dai miei occhi. Dai impulso  all'apprendimento del passo dopo passo, porta dell'Altrove. E poi strega, incanta e bisbiglia (luce e neve) (canto di sirena) perché il Vero sia non nel luogo della dimora ma dove lo andrò a cercare                                                                                                                                                                                         

Nel tempo del glicine

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Nel tempo del glicine il passo smorza gli occhi violano i colori del mondo. Nel tempo del glicine il silenzio è nel morbo e la madre sul figlio coperto; d'ansie. Nel tempo del glicine posiamo maschere sulle maschere dei nostri volti E sono chiacchiere e suoni di violino dal verone noi tutti, Giuliette, lanciamo un grido. E crisi e fame e code ai rifornimenti nel tempo del glicine ai rifornimenti. E osiamo una battuta e chissà chi abbocca. Chissà chi abbocca nel tempo del glicine. E l'anziano muore, e il bimbo Zorro mascherato nel tempo del glicine. E le mani non strette, gli abbracci non dati, le carezze negate nel tempo del glicine e le lingue non intrecciate e le salive non mescolate per i giovani amanti nel tempo del glicine A debita distanza l'uno dall'altra guardano il glicine attaccato al muro, tenace contro il muro e partono da lì, di nuovo, i giovani amanti nel tempo del glicine.