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Per una vite di uva fragola di Maristella Tagliaferro

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Per una vite di uva fragola di Maristella Tagliaferro E’ il sangue della Terra che succhiamo dai tuoi lombi, profuma di fragola, odora di mela. Turgidi al tatto sono i piccoli capezzoli rossi. Ho voglia di tornare là tra le vigne Corvine e la Rondinella color rubino. Catullo ne canta il gusto di lamponi e d’amarena, a gran voce reclama il Vino più amaro e più buono. E’ fra le fronde bionde di Folle Blanche che distillate ci donano l’oro ambrato di Cognac, odoroso d’antiche querce, che accolsi la coppa dell’Amore e le sue parole segrete. Ma è da Cipro, dall’isola spumeggiante di luce e profonda di mistero che mi giungono aromi accecanti, dolci di miele, aspri e acerbi di limone. Mi parlano dell’Oriente, dei profumi d’incenso, dei tessuti morbidi al tatto, delle spezie dell’Asia lontana. Di un tramonto infuocato lungo il padre Nilo e dei ritmi dell’Africa nera. Mevlana compone un Sema viaggiando t

Aria che entra

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E l'aria che entra, e quella che esce, e il cielo stellato, e "la luce bianca,  papà, bianca", e star soli, connessi alla sorgente, per un po'.

Azzurre attese - Il segno nella pratica

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Dedicata a mio figlio,  il cui nome mi accompagna dal mattino, al risveglio, fino all'entrata fatata, la sera, nel mondo del sogno. Dedicata, al "maestro bambino" del mio ultimo seminario, e al suo saggio passo delicato nel mondo più sottile che io conosca. Quello della trasformazione. Dedicato alla "bimba madre" che difendo da se stessa e dal mostro che la minaccia. Che i suoi occhi velati di lacrime possano finalmente sorridere ad un cielo stellato.   Dedicata al bimbo che fui e che ancora respira dentro di me. Che possa per sempre trovare pace, sogno e sorriso nel mio stesso abbraccio.  Quattro infanzie, quattro incontri, che hanno fatto che io non fossi più lo stesso di prima. ______________ Viola, come la striatura del cielo prima della notte, figli del mondo, sono le pergamene dell'odio. Imparerete, leggendone i freddi venti, a rifiutarne il fascino e a trasformarne il segno. Rosse, come melograno aperto, figli del vento, sono le pergamene dell'amo

Piano Sonata in Re maggiore di Joseph Haydn (Glenn Gould)

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Andante con espressione Ci ho provato, Glenn, ad appoggiare le mie mani sui miei lemmi come fai tu sui tasti del piano che suoni.  Ci ho provato davvero.  Ho persino alzato la mano, in un lungo gesto di sospensione ad ogni pausa prolungata, come se fosse una pausa del pensiero mio, scrivendo poi senza sapere cosa volevo dire.  Ho provato ad inseguire le lettere come fossero fughe barocche, canticchiando, come fai tu, mentre la nera tastiera del mio computer mi osservava come si guarda divertiti un buffo personaggio.  Ho rincorso, ascoltandoti, la scrittura gestuale, istintiva, senza scopo, né significato, in cui i pesi dei polpastrelli sulla tastiera e la postura eretta della schiena hanno più valore di ogni chiasmo, enjambement, metafora, sineddoche.  Cercavo, abbandonando ogni ricerca, una figura retorica diversa.  Una similitudine dell'anima a cui appoggiare i  miei intenti...assenti. Ed ero talmente rapito, Glenn, dal mio scrivere senza senso, che tutti

Controtempo

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Foto di Fabiana Piersanti E verrà il tempo delle foglie morte, col pensiero che scrocchia sul suolo, come per gioco, come piede di bambino felice, e lo sguardo fine  sullo scorrere degli attimi. E verrà il tempo antico delle castagne e dei ricordi e delle fiabe ripetute, parola per parola a sguardi stupiti e infanti. Io ci sarò, ci sono sempre stato, con la gioia di una nota battuta mille volte, sul clavicembalo del mio cuore e mille volte diversa. Perché l'autunno  è la stagione del mio ritorno. Ma ora, controtempo, nella primavera della mia rinascita, piccolo rapace al primo balzo incerto nel vuoto, prendo il volo. Ed è una notte estiva, calda e stellata e accogliente, ad abbracciare i miei uuubuuuuuiuuu di gufetto felice.

Sguardi ritrosi

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Adoro incontrare uno sguardo ritroso,  l'attimo evanescente del suo distacco da uno dei miei volti,  il vuoto che lascia in un etere denso di "eppure",  senza null'altro chiedere,  se non di poter ritornare  al suo mondo fatato di sogno.  Adoro incrociare uno sguardo ritroso,  il permesso volatile che mi concede  d'esser parte di un mondo che fugge,  lasciando però flebili tracce di un'intimità soffusa. Gli sguardi ritrosi hanno la potenza delicata del petalo, del subitaneo struscio di un gatto sulle mie gambe, di un tocco di campane lontane in una notte stellata.  Dello sguardo ritroso non conosci la sorgente, ti si rivela nel suo svanire, come  lume intermittente di lucciola solitaria. Il mio è lo sguardo del gufo,  si posa e penetra fino a cogliere le profondità indicibili di ogni sua visione.  Incapace di svanire repentino, il mio sguardo ha il goffo passo di chi scruta immobile nella notte. Il mio è lo sguardo di un gufo. Uno sguardo che quando osserva si

Odor di gelsomino

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In ricordo del mio Maestro Poggiasti il suono del tuo sterno all'intenzione più pura. Il Silenzio, granito, abbracciava la docile piovana manifestazione  che irrorava i tuoi ultimi lenti pensieri. Il tuo non detto fu tradotto nella parola dell'Uomo e, ascoltato desiderio, si posò sul petalo da te prescelto Quel petalo ero io. Atto finale, dipartita, creazione e trasmissione il tuo, bisbiglio notturno, evocava la mia Via, odor di gelsomino.  Io, maestro, ero là, testimone della tua angelica trasformazione.  E non piansi ciò che eri stato. Mi girai, e con passo lento,  raccolsi pioggia dalle mie orbite per disperderla su una fertile terra ansiosa di riceverla.

Alef (la grande trasformazione)

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Non chiederti perché io non prenda in mano la penna. Troppo stretto è il silenzio tra le parole, perché io possa colmarlo dei miei segni. Non chiedermi perché io non prenda in mano la penna. Troppo ventosa e esposta è la linea del balzo tra due lettere, perché io possa creare ponti dorati di significato. Io resto, inerme e teso, riempito solo dei miei propositi. Intenti antichi come il blu del mare, senza nome, senza forma. Non chiederti perché io non prenda più la penna in mano. Ho incontrato scritture, quelle che elevano l'anima, sfogliando uno ad uno tutti i miei volti. Ne ho assorbito il suono profondo col quale la mia penna ancora acerba non si può accordare. Non chiedere perché non prenda in mano la sua penna a chi ha saputo varcare la soglia dell'altrui scrittura nel Silenzio. Non chiedergli di aggiungere tratti inutili a ciò deve restare nel mondo dell'indicibile. No, amata mia, non parlo del “non detto”, ma di ciò che si inscrive in un cuore nel silenzio,

It will end in tears

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Caspar David Friedrich Luna nascente sul mare "Finirà in lacrime", dicevi. E furono lacrime su lacrime. Ma la mia dedica infranse in parte la tua profezia. E, poiché il luogo del mio dono è in me saldo, finì in morbida mia dolcezza, nel silenzio, di lontano.

Dimmelo tu 2

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Foto di Daniel Taylor Dimmelo tu papà, dove posare lo sguardo, mentre il giorno scolora, e l'intento si fa cauto, e tutto è silenzio, e tace il canto mio, già afono. Dimmelo tu papà, dove posare lo sguardo nell'ora in cui le ombre scompaiono dietro a timide stelle, e l'unico suono possibile è quello ovattato della mia evanescenza. Dimmelo tu papà, dove posare il mio sguardo, prima che, volto dopo volto, io dimentichi il mio nome, prima che la penna che ci univa mi cada di mano, e il foglio si accartocci, e il ricordo diluisca, prima che io tracci gli ultimi stentati segni sull'arborea memoria della valle che ti accolse.

Testamento al bar in solitaria

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E poi ti siedi. La birra in mano, lo sguardo posato sull'orizzonte. Un albero spoglio ti guarda, sorridendo, come facesse un cenno alle tue memorie. Luce. Luce. Luce. Davanti, dietro e dentro di te. Luce nel tuo sguardo che tutto comprende, perché finalmente tace il bimbo. Perché finalmente hai saputo accompagnare il suo sonno. E la musica forte del pub. E la gente che passa, inconsapevolmente attrice di una scenografia divina. E tu guardi osservi, stupito della calma che ti pervade. E respiri al ritmo della musica. Al ritmo dei tuoi sorrisi. Al ritmo dei tuoi sorsi di una gelida birra che sembra dire alla tua gola, luogo sacro della coscienza, "osserva, osserva, osserva". Dio quanto amo l'umanità, quanto amo il suo passaggio, il suo camminare, ridere, piangere, sperare. Dio dammi la forza di continuare ad amare l'umanità. E quella ragazza. Sconosciuta. Mi guarda. Diritto negli occhi ormai lucidi di lacrime. "Cosa scrivi mi chiede". È solo un sus

Stavo per scriverti

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Stavo per scriverti. Ma la lettera l'avrebbero letta i tuoi carcerieri che, sebbene portino tutti il tuo stesso nome, sono tanto distanti da ciò che tu sei. Stavo per scriverti, ma non l'ho fatto, né lo farò. Perché la S.T.A.S.I. controlla la tua stasi e le mie parole sarebbero piume in mano ai tuoi aguzzini. Stavo per scriverti, ma non lo farò, perché odio essere letto solo da chi ti impedisce il respiro. Stavo per scriverti e non lo farò, ma pensare, sì, quello posso. E so che ti basterebbe un soffio per disperdere ciò che ti lega a loro. Lo sai bene, sono fatti di sabbia e cenere e i tuoi polmoni sono fatti per spegnere candeline, come quando eri bimba, e il mondo non ancora prigione.

Uno, due, dieci passi

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Foto di Dariusz Klimczac Uno, due, dieci passi. Poco conta, ma li conti. Uno, due, dieci passi, Poco conta, ma ti racconti. Uno, due, dieci passi. Li conti ancora e poi ricominci. Uno, due, dieci passi. Li conti sempre e ti convinci che uno, due, dieci passi siano tutto ciò che ti separa dal vuoto, che sia tutto ciò che si para davanti a quel balzo, purtroppo, a te già noto.

Non è difficile

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Dedicata ad un ragazzo "speciale" Non è poi così difficile, sai, contenere l'immenso in un gesto. Difficile, forse, è saper chiudere gli occhi al momento giusto ed abbandonarsi all'ascolto. Difficile, forse, è accettare l'onda che torna, come se fosse un gioco di bimbi sulla spiaggia. Non è impossibile contenere l'immenso in un gesto e mettere in quell'immenso le mani amorevoli che ti accompagnano, le voci calde che ti accarezzano. Tu tutto questo lo sai e le mie parole nulla aggiungono a ciò che tu sei ed a ciò che sono coloro che ti accompagnano.

Parole stentate

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Figlio mio, io vorrei trovare le parole (e non ne trovo se non di stentate) per dirti che ogni parola che leggi, ogni virgola su cui posi le tue pause, ogni punto che ti permette di staccarti dal testo, sposta galassie, allontana buchi neri, porta luce nel buio più oscuro. Vorrei trovare le parole (e ne trovo solo di stentate) per dirti che ogni istante che passi alla lettura diviene la lettura dell'Altro. Di quell'altro che è in te e di quello che ancora devi incontrare. Figlio mio, una parola scritta ha bisogno di essere letta e custodita non solo nel cuore di chi scrive. E se ti fai portatore delle parole altrui, ebbene, figlio mio, troverai le tue, quelle vere. E non sarà per imitazione, ma per osmosi, per aderenza profonda all'Umanità. E verranno i momenti in cui avrai bisogno del Silenzio, dell'assenza di parola, dello sguardo lontano e dell'ascolto della parte più profonda di te. Figlio mio vorrei trovare le parole (e ne trovo solo di stentate) per dirti ch

Inno ad una parola

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Una parola sola, timida, appena intuita, nella penombra di una notte stellata, concepita all'alba, delicata, nascosta, celata, ritrosa e sospesa, cullata in un silenzio di attesa, Una sola parola, dolcemente accudita, seminata al tramonto di un gennaio tiepido, inaffiata di sogno, germogliata in una notte di luna piena, fragile legame tra il vegetale e l'umana speranza, Sola, una parola, bisbigliata, sussurrata, mormorata, declinata in lingua antica, compresa da un solo udito, dedicata e delicata, fragile e vitale Parola sola, una, promessa eterna, accresciuta nel soffio del vento, radice salda, tronco possente, albero solitario, coperto di verdi foglie i primi giorni di marzo, e fiorito in colori screziati i primi giorni di un giugno assolato. Una parola, una sola. fonte unica, indicibile per i più, inaudita per molti, figlia del desiderio, dagli spazi siderali caduta nel Giardino che fu e raccolta furtivamente da Adam, come il seme più prezioso da far radicare, nonostante o

Surreale

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"Bisogna conoscerle,  le parole,  per poterle usare",  dicevi e ti gongolavi dei tuoi "corruschi lemmi" e della mia ignoranza. Io tacevo, come tace il tacchino tra un glu-glu e l'altro. "Bisogna conoscerle  le parole  per poterle usare", ripetevi, mostrando al mio sguardo di contadino  ruote di pavone bianco. Tacqui ancora e mi strappai il vestito.  Aprii il ventre,  mostrandoti il meccanismo  che nessuno osava vedere. "Quale parola definisce  le sue molle?", chiesi Ma tu non c'eri più,  ti eri già girata  a osservare il tuo orizzonte  opaco. "Bisogna conoscere  il meccanismo  prima di cercare le parole" pensai. E me ne andai, "volando come vola un tacchino".

Vedo perchè tu veda

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Foto di Rodney Smith Senza appoggio, senza velo, né mistero, né guardia alata, lancio lontano il mio sguardo, solo se il tuo bilancia il possibile delirio mio di coscienza, in egual postura. Vedo perché tu vedi Vedo perché tu veda.

Coeurs Brisés

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Siamo tutti così pieni di crepe che volgiamo lo sguardo spesso solo dentro noi stessi e i nostri drammi. Ma essere avvocati è una fortuna, e le storie degli altri si è per mestiere obbligati a sentirle. A volte ci pesa doverlo fare perché lo sguardo continua ad andare nelle nostre crepe, nonostante l'altrui racconto. Ma poi, già poi... "Avvocato mi sta ascoltando?" "Si certo piccola, si ascolta meglio ad occhi chiusi, sai." (no non ti ascolto, io non ho cuore, io non ho più cuore) "Lo diceva sempre anche mio nonno" Alzo lo sguardo (non me lo dire cosa ti è successo piccola, ti prego. Io non ho cuore, io non ho più cuore) "Allora le dicevo che sono dovuta scappare nel bosco" (Sapessi in quali boschi vorrei scappare io ora. Io non ho cuore, non ho più cuore, piccola mia, ti prego taci) "Ed era quasi buio". (Il mio sguardo si fa più attento, ma no non posso ascoltarti, io non ho cuore, non ho più cuore) "E

Dormiente (la guardia)

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Ho protetto il tuo sonno con fili d'erba intrecciati, i tuoi sogni con raggi di luce lunare, i tuoi silenzi con canti antichi e nenie primordiali. Ho osservato i tuoi respiri regolari nelle mie notti insonni. Sguardo di pastore, cuore d'agnello, mi son fermato deciso davanti ai tuoi tre fantasmi. Guardia antica, spada di vetro, brecciata, è iniziato il duello cui tu, assente nel sogno, non partecipavi. Ho perso, è vero. Ma è certo che i fili d'erba, i canti antichi e i raggi lunari sfioreranno la tua memoria le sere d'estate, ricordandoti, nella brezza, di quella guardia sconfitta.