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Testamento al bar in solitaria

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E poi ti siedi. La birra in mano, lo sguardo posato sull'orizzonte. Un albero spoglio ti guarda, sorridendo, come facesse un cenno alle tue memorie. Luce. Luce. Luce. Davanti, dietro e dentro di te. Luce nel tuo sguardo che tutto comprende, perché finalmente tace il bimbo. Perché finalmente hai saputo accompagnare il suo sonno. E la musica forte del pub. E la gente che passa, inconsapevolmente attrice di una scenografia divina. E tu guardi osservi, stupito della calma che ti pervade. E respiri al ritmo della musica. Al ritmo dei tuoi sorrisi. Al ritmo dei tuoi sorsi di una gelida birra che sembra dire alla tua gola, luogo sacro della coscienza, "osserva, osserva, osserva". Dio quanto amo l'umanità, quanto amo il suo passaggio, il suo camminare, ridere, piangere, sperare. Dio dammi la forza di continuare ad amare l'umanità. E quella ragazza. Sconosciuta. Mi guarda. Diritto negli occhi ormai lucidi di lacrime. "Cosa scrivi mi chiede". È solo un sus

Stavo per scriverti

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Stavo per scriverti. Ma la lettera l'avrebbero letta i tuoi carcerieri che, sebbene portino tutti il tuo stesso nome, sono tanto distanti da ciò che tu sei. Stavo per scriverti, ma non l'ho fatto, né lo farò. Perché la S.T.A.S.I. controlla la tua stasi e le mie parole sarebbero piume in mano ai tuoi aguzzini. Stavo per scriverti, ma non lo farò, perché odio essere letto solo da chi ti impedisce il respiro. Stavo per scriverti e non lo farò, ma pensare, sì, quello posso. E so che ti basterebbe un soffio per disperdere ciò che ti lega a loro. Lo sai bene, sono fatti di sabbia e cenere e i tuoi polmoni sono fatti per spegnere candeline, come quando eri bimba, e il mondo non ancora prigione.

Uno, due, dieci passi

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Foto di Dariusz Klimczac Uno, due, dieci passi. Poco conta, ma li conti. Uno, due, dieci passi, Poco conta, ma ti racconti. Uno, due, dieci passi. Li conti ancora e poi ricominci. Uno, due, dieci passi. Li conti sempre e ti convinci che uno, due, dieci passi siano tutto ciò che ti separa dal vuoto, che sia tutto ciò che si para davanti a quel balzo, purtroppo, a te già noto.

Non è difficile

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Dedicata ad un ragazzo "speciale" Non è poi così difficile, sai, contenere l'immenso in un gesto. Difficile, forse, è saper chiudere gli occhi al momento giusto ed abbandonarsi all'ascolto. Difficile, forse, è accettare l'onda che torna, come se fosse un gioco di bimbi sulla spiaggia. Non è impossibile contenere l'immenso in un gesto e mettere in quell'immenso le mani amorevoli che ti accompagnano, le voci calde che ti accarezzano. Tu tutto questo lo sai e le mie parole nulla aggiungono a ciò che tu sei ed a ciò che sono coloro che ti accompagnano.

Parole stentate

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Figlio mio, io vorrei trovare le parole (e non ne trovo se non di stentate) per dirti che ogni parola che leggi, ogni virgola su cui posi le tue pause, ogni punto che ti permette di staccarti dal testo, sposta galassie, allontana buchi neri, porta luce nel buio più oscuro. Vorrei trovare le parole (e ne trovo solo di stentate) per dirti che ogni istante che passi alla lettura diviene la lettura dell'Altro. Di quell'altro che è in te e di quello che ancora devi incontrare. Figlio mio, una parola scritta ha bisogno di essere letta e custodita non solo nel cuore di chi scrive. E se ti fai portatore delle parole altrui, ebbene, figlio mio, troverai le tue, quelle vere. E non sarà per imitazione, ma per osmosi, per aderenza profonda all'Umanità. E verranno i momenti in cui avrai bisogno del Silenzio, dell'assenza di parola, dello sguardo lontano e dell'ascolto della parte più profonda di te. Figlio mio vorrei trovare le parole (e ne trovo solo di stentate) per dirti ch

Inno ad una parola

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Una parola sola, timida, appena intuita, nella penombra di una notte stellata, concepita all'alba, delicata, nascosta, celata, ritrosa e sospesa, cullata in un silenzio di attesa, Una sola parola, dolcemente accudita, seminata al tramonto di un gennaio tiepido, inaffiata di sogno, germogliata in una notte di luna piena, fragile legame tra il vegetale e l'umana speranza, Sola, una parola, bisbigliata, sussurrata, mormorata, declinata in lingua antica, compresa da un solo udito, dedicata e delicata, fragile e vitale Parola sola, una, promessa eterna, accresciuta nel soffio del vento, radice salda, tronco possente, albero solitario, coperto di verdi foglie i primi giorni di marzo, e fiorito in colori screziati i primi giorni di un giugno assolato. Una parola, una sola. fonte unica, indicibile per i più, inaudita per molti, figlia del desiderio, dagli spazi siderali caduta nel Giardino che fu e raccolta furtivamente da Adam, come il seme più prezioso da far radicare, nonostante o

Surreale

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"Bisogna conoscerle,  le parole,  per poterle usare",  dicevi e ti gongolavi dei tuoi "corruschi lemmi" e della mia ignoranza. Io tacevo, come tace il tacchino tra un glu-glu e l'altro. "Bisogna conoscerle  le parole  per poterle usare", ripetevi, mostrando al mio sguardo di contadino  ruote di pavone bianco. Tacqui ancora e mi strappai il vestito.  Aprii il ventre,  mostrandoti il meccanismo  che nessuno osava vedere. "Quale parola definisce  le sue molle?", chiesi Ma tu non c'eri più,  ti eri già girata  a osservare il tuo orizzonte  opaco. "Bisogna conoscere  il meccanismo  prima di cercare le parole" pensai. E me ne andai, "volando come vola un tacchino".

Vedo perchè tu veda

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Foto di Rodney Smith Senza appoggio, senza velo, né mistero, né guardia alata, lancio lontano il mio sguardo, solo se il tuo bilancia il possibile delirio mio di coscienza, in egual postura. Vedo perché tu vedi Vedo perché tu veda.

Coeurs Brisés

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Siamo tutti così pieni di crepe che volgiamo lo sguardo spesso solo dentro noi stessi e i nostri drammi. Ma essere avvocati è una fortuna, e le storie degli altri si è per mestiere obbligati a sentirle. A volte ci pesa doverlo fare perché lo sguardo continua ad andare nelle nostre crepe, nonostante l'altrui racconto. Ma poi, già poi... "Avvocato mi sta ascoltando?" "Si certo piccola, si ascolta meglio ad occhi chiusi, sai." (no non ti ascolto, io non ho cuore, io non ho più cuore) "Lo diceva sempre anche mio nonno" Alzo lo sguardo (non me lo dire cosa ti è successo piccola, ti prego. Io non ho cuore, io non ho più cuore) "Allora le dicevo che sono dovuta scappare nel bosco" (Sapessi in quali boschi vorrei scappare io ora. Io non ho cuore, non ho più cuore, piccola mia, ti prego taci) "Ed era quasi buio". (Il mio sguardo si fa più attento, ma no non posso ascoltarti, io non ho cuore, non ho più cuore) "E

Dormiente (la guardia)

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Ho protetto il tuo sonno con fili d'erba intrecciati, i tuoi sogni con raggi di luce lunare, i tuoi silenzi con canti antichi e nenie primordiali. Ho osservato i tuoi respiri regolari nelle mie notti insonni. Sguardo di pastore, cuore d'agnello, mi son fermato deciso davanti ai tuoi tre fantasmi. Guardia antica, spada di vetro, brecciata, è iniziato il duello cui tu, assente nel sogno, non partecipavi. Ho perso, è vero. Ma è certo che i fili d'erba, i canti antichi e i raggi lunari sfioreranno la tua memoria le sere d'estate, ricordandoti, nella brezza, di quella guardia sconfitta.

Piedi umidi

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Foto di Logan Zillmer Hai ragione. Non ho nulla in più di te perché medito. Meditare non fa di me un superuomo. Anche io tengo i piedi nell'umido e la foschia mi chiude spesso i sensi. E sto, come te, immobile ad attendere chissà cosa per iniziare a vivere. Hai ragione meditare non mi dà nulla che tu non abbia già dichiarato di aver ottenuto per altre vie. E se anche tu vedi quella porta dietro la foschia, davvero non c'è nulla, se non il cammino prescelto, che ci differenzi. Hai ragione a rimarcarlo, sono una piccola persona che ha ricevuto un solo insegnamento ed una sola colonna dorsale per stare eretto. Una persona piccola che meditando ha percorso felice i suoi centimetri verso quella porta che tu puoi raggiungere con un solo balzo, a quanto mi dici. Eppure è meditando che ho capito che la mia banalità, piccolezza umana, limite è un valore, è il campo da arare per poter fare altri centimetri, camminando nell'umido. Hai ragione dunque a definirmi piccolo, a rima

Dimmelo tu

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Foto di Francesca Woodman Dimmelo tu se è il ricordo ad impedirti di guardare quel fiore. O forse è il profumo di Calla a non farti sentir degna di quel candore? O forse è la mancanza di veli di seta a far barcollare il tuo passo di regina? Dimmelo tu, dal tuo sguardo perso, perché ti copri il volto? Quasi che ad un fiore, delicato e fragile, molto più fragile delle più grandi tue fragilità, non si potesse far dono di un piccolo sorriso. Vero, non tutti i fiori vanno colti, perché non divengano cappi al collo, né ogni offerta di bellezza va accettata. Ma si può dire no con un sorriso, per non spegnere la luce in questo mondo. Ma tu tutto questo lo sai, perché io ti so limpida ed impaurita. Impaurita e limpida.

Guardare Lontano

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Foto di Rodney Smith Guardare lontano,  sobri e pensosi. Guardarsi di lontano,  a volo d'aquila. E comprendere che  senza quel gesto  pudico, senza nascondere  dietro la schiena, mani  cui potresti dare forma  d'un angelo  sterminatore  o d'una carezza,  nulla è possibile; né l'ineluttabile gesto  che annienta chi ti ha annientato, né il primo passo  verso il perdono  di se stessi. Sì, si nascondono  le mani dietro la schiena  per poter scegliere,  al bivio che  ci si impone davanti,  se diventare angeli della morbidezza  o del ferro  che taglia netto  l'indicibile. Ci si guarda da lontano,  a volo d'aquila,  per poter scegliere  cosa divenire.

Listening to Jazz Standards

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Mi permette, caro signore, una piccola riflessione in questa pausa musicale, mentre gli strumentisti si concedono una birra. Sì lo so, lei non mi conosce, e la nostra vicinanza di posto non mi autorizzerebbe ad una così invadente confidenza. Ma, mi scusi la sfacciataggine, io leggo nei tratti del suo volto, così diverso dal mio una sensibilità comune e, forse errando a causa di questa musica eterea, ho sentito l'impulso di condividere con lei qualche mio pensiero. Piccolo eh, non si attenda nulla di sovversivo per gli equilibri del mondo. Ah, lei sorride e dice che non la disturba, che, anzi, anche lei adora il jazz e le interesserebbe sapere di cosa sto parlando. Allora, mi permetta di offrirle da bere. Certe condivisioni hanno bisogno di carburante per poter avanzare, non trova? Mi dice che le piace il Jazz, ebbene io mi sento di doverle confessare che di questa musica so davvero poco. Certo come tutti ho anche io ascoltato da giovane Nina Simone e John Coltrane, ma

Il vecchio ed i giovani

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Il vecchio si sedette, come ogni sera, allo stesso tavolino, ordinò la stessa grappa, accese la stessa pipa e cominciò, come ogni sera ad osservare la gente. E attese, fino a che la stessa compagnia di giovani sognatori entrò nel locale. Era ormai un appuntamento fisso. Un uomo solo. Un uomo felice della sua solitudine. Un uomo che aveva di sé una buona compagnia. Era uno strano spettacolo da gustare, tra il dolce e l'amaro, tra il forte ed il tenue. Uno spettacolo che teneva sullo sfondo il brusio degli altri frequentatori del bar. Tutto era così struggente, così immensamente struggente. Come ogni sera, i giovani cominciarono, prima timidamente, poi sempre più insistenti a chiedere al vecchio che raccontasse loro una storia. Alcuni desideravano ascoltare la stessa storia delle serate precedenti, lo stesso racconto dalle infinite sfumature che potrebbe aver titolo “la vita di un uomo”. I simboli che sottostanno alle parole mutano, quasi impercettibilmente, anche dietro una

Hopper's style in Milano

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E cammina, cammina forte, a passo deciso. Finché l'immagine non svanisce. Non è quel tuo volto, quella maschera di caucciù, che avrei voluto fissare negli occhi per ultimo, papà. Cammina, pompa forte il cuore, il mio, che ancora non si è fermato. E parlami ancora, parlami di Modena, delle tue montagne, parlane a me, figlio distratto, che a quei racconti ho sempre dato troppa poca importanza. Parlane a me, figlio incapace di non fuggire, fallo ora. Ma dal caucciù la voce si strozza. Ed io cammino veloce, per non ricordarla la tua voce acuta, molto più acuta della mia; cammino veloce come un razzo appuntito per tagliare lo strazio denso e proiettarmi altrove, fuori dalle galassie dei non detti, ormai impossibili a dirsi, fuori dagli sguardi abbassati da entrambi, dai "ti voglio bene" reciproci che ci si bloccavano in gola. Due maschi, troppo maschi per cedersi reciprocamente il passo. Che pena, che strazio, il silenzio ottuso, l'incapacità di dire, quando

Pensive Lady

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Ci vuole tanto coraggio, troppo forse, per pensare a sé mantenendo lo sguardo sull'orizzonte. Dai luoghi protetti tutto sembra facile. Eppure l'orizzonte è dittatore e gioca coi coi tuoi occhi spostandosi lentamente sempre più lontano, sempre più lontano. E i pensieri, e i ricordi, sono piccoli aghi velenosi, che vorrebbero che tu gli occhi li abbassassi, dentro di te, nell'abisso dei tuoi abbandoni. Una battaglia antica e mai risolta, costellata di migliaia di vittorie di Pirro, di vittime lasciate sul campo senza sepoltura. E solo una donna sa affrontare il richiamo del futuro, il rimpianto del passato e la morsa del presente, mantenendo la postura. Un uomo, urla, bestemmia, recalcitra, chiude gli occhi, si agita, umilia il proprio corpo. Finché la postura, l'accettazione di ciò che è, arriva ma per spossatezza, per sfinimento. L'uomo esplode prima di implodere. E non è uno spettacolo per bambini. Ad un bambino farei vedere un uomo che risorge, quan

Robert Pirsig - Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta

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Come parlare di te Fedro? Come parlare con te? Tu, giovane, troppo giovane, filosofo della Qualità, ormai celato, nascosto, ritroso, lasci tracce del tuo passaggio. Ma sono orme di cervo in un bosco in cui fitta cade la neve. Troppo presto cancellate. E obblighi noi, fragili cercatori, ad iniziare la nostra narrazione per arrivare alla tua storia. Tu, ormai fantasma, sei l'emblema, dell'oggetto della scrittura, della narrazione. Si narra di sé per scoprire la presenza di altro in sé. Un Chautauqua, un'auto narrazione dei nativi americani, un raccontarsi interiore per arrivare a percepire la tua presenza, non più come traccia, ma come condizione del proprio essere. Tu, Fedro, ormai diluito nel mondo, elettorshockato, lobotomizzato, ormai fantasma, non puoi che implorarci di lontano, dalla tua assenza, di avere memoria del tuo passato. Ma le tue tracce sono così flebili che siamo obbligati a narrare il nostro presente per ritrovare te. Ed è uno sforzo immane, in

Evanescenza (2)

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Volto di pietra - Sergio Daniele Donati Poiché di seta è la tua voce e di cristallo il mio ascolto, l'onda mi ha levigato il volto perchè potesse, svanendo,  accordarsi alla viola dei tuoi pensieri.

Il centro e la pratica marziale interiore

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"Cerca il centro", disse il mio maestro. "La tecnica non può funzionare se non mantieni il contatto col tuo baricentro". Poi mi chiese: "Ok l'hai perso, cosa fai per ritrovarlo?". "Appoggio lo sguardo sulla linea dell'orizzonte", risposi meccanicamente; una lezione imparata a memoria. "No", disse indurito, "Lo sguardo viene dopo, molto dopo".  "Sensei, io non lo so", risposi. Non parlò più e se ne andò a correggere qualche altro allievo. La sera, come sempre, un grande parlare tra noi allievi, qualche bicchiere di vino e un grande amichevole casino. "Cos'hai?", mi disse lei, "sembri assente". Era una delle allieve più anziane del mio maestro. Bassa, fortemente in sovrappeso, con uno strano accento della Francia centrale. Quando però saliva sul tatami restavamo tutti estasiati. Sembrava danzare al ritmo della sua spada di legno, tracciando con la sua punta linee che sembravano pennel