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Listening to Jazz Standards

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Mi permette, caro signore, una piccola riflessione in questa pausa musicale, mentre gli strumentisti si concedono una birra. Sì lo so, lei non mi conosce, e la nostra vicinanza di posto non mi autorizzerebbe ad una così invadente confidenza. Ma, mi scusi la sfacciataggine, io leggo nei tratti del suo volto, così diverso dal mio una sensibilità comune e, forse errando a causa di questa musica eterea, ho sentito l'impulso di condividere con lei qualche mio pensiero. Piccolo eh, non si attenda nulla di sovversivo per gli equilibri del mondo. Ah, lei sorride e dice che non la disturba, che, anzi, anche lei adora il jazz e le interesserebbe sapere di cosa sto parlando. Allora, mi permetta di offrirle da bere. Certe condivisioni hanno bisogno di carburante per poter avanzare, non trova? Mi dice che le piace il Jazz, ebbene io mi sento di doverle confessare che di questa musica so davvero poco. Certo come tutti ho anche io ascoltato da giovane Nina Simone e John Coltrane, ma

Il vecchio ed i giovani

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Il vecchio si sedette, come ogni sera, allo stesso tavolino, ordinò la stessa grappa, accese la stessa pipa e cominciò, come ogni sera ad osservare la gente. E attese, fino a che la stessa compagnia di giovani sognatori entrò nel locale. Era ormai un appuntamento fisso. Un uomo solo. Un uomo felice della sua solitudine. Un uomo che aveva di sé una buona compagnia. Era uno strano spettacolo da gustare, tra il dolce e l'amaro, tra il forte ed il tenue. Uno spettacolo che teneva sullo sfondo il brusio degli altri frequentatori del bar. Tutto era così struggente, così immensamente struggente. Come ogni sera, i giovani cominciarono, prima timidamente, poi sempre più insistenti a chiedere al vecchio che raccontasse loro una storia. Alcuni desideravano ascoltare la stessa storia delle serate precedenti, lo stesso racconto dalle infinite sfumature che potrebbe aver titolo “la vita di un uomo”. I simboli che sottostanno alle parole mutano, quasi impercettibilmente, anche dietro una

Hopper's style in Milano

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E cammina, cammina forte, a passo deciso. Finché l'immagine non svanisce. Non è quel tuo volto, quella maschera di caucciù, che avrei voluto fissare negli occhi per ultimo, papà. Cammina, pompa forte il cuore, il mio, che ancora non si è fermato. E parlami ancora, parlami di Modena, delle tue montagne, parlane a me, figlio distratto, che a quei racconti ho sempre dato troppa poca importanza. Parlane a me, figlio incapace di non fuggire, fallo ora. Ma dal caucciù la voce si strozza. Ed io cammino veloce, per non ricordarla la tua voce acuta, molto più acuta della mia; cammino veloce come un razzo appuntito per tagliare lo strazio denso e proiettarmi altrove, fuori dalle galassie dei non detti, ormai impossibili a dirsi, fuori dagli sguardi abbassati da entrambi, dai "ti voglio bene" reciproci che ci si bloccavano in gola. Due maschi, troppo maschi per cedersi reciprocamente il passo. Che pena, che strazio, il silenzio ottuso, l'incapacità di dire, quando

Pensive Lady

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Ci vuole tanto coraggio, troppo forse, per pensare a sé mantenendo lo sguardo sull'orizzonte. Dai luoghi protetti tutto sembra facile. Eppure l'orizzonte è dittatore e gioca coi coi tuoi occhi spostandosi lentamente sempre più lontano, sempre più lontano. E i pensieri, e i ricordi, sono piccoli aghi velenosi, che vorrebbero che tu gli occhi li abbassassi, dentro di te, nell'abisso dei tuoi abbandoni. Una battaglia antica e mai risolta, costellata di migliaia di vittorie di Pirro, di vittime lasciate sul campo senza sepoltura. E solo una donna sa affrontare il richiamo del futuro, il rimpianto del passato e la morsa del presente, mantenendo la postura. Un uomo, urla, bestemmia, recalcitra, chiude gli occhi, si agita, umilia il proprio corpo. Finché la postura, l'accettazione di ciò che è, arriva ma per spossatezza, per sfinimento. L'uomo esplode prima di implodere. E non è uno spettacolo per bambini. Ad un bambino farei vedere un uomo che risorge, quan

Robert Pirsig - Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta

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Come parlare di te Fedro? Come parlare con te? Tu, giovane, troppo giovane, filosofo della Qualità, ormai celato, nascosto, ritroso, lasci tracce del tuo passaggio. Ma sono orme di cervo in un bosco in cui fitta cade la neve. Troppo presto cancellate. E obblighi noi, fragili cercatori, ad iniziare la nostra narrazione per arrivare alla tua storia. Tu, ormai fantasma, sei l'emblema, dell'oggetto della scrittura, della narrazione. Si narra di sé per scoprire la presenza di altro in sé. Un Chautauqua, un'auto narrazione dei nativi americani, un raccontarsi interiore per arrivare a percepire la tua presenza, non più come traccia, ma come condizione del proprio essere. Tu, Fedro, ormai diluito nel mondo, elettorshockato, lobotomizzato, ormai fantasma, non puoi che implorarci di lontano, dalla tua assenza, di avere memoria del tuo passato. Ma le tue tracce sono così flebili che siamo obbligati a narrare il nostro presente per ritrovare te. Ed è uno sforzo immane, in

Evanescenza (2)

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Volto di pietra - Sergio Daniele Donati Poiché di seta è la tua voce e di cristallo il mio ascolto, l'onda mi ha levigato il volto perchè potesse, svanendo,  accordarsi alla viola dei tuoi pensieri.

Il centro e la pratica marziale interiore

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"Cerca il centro", disse il mio maestro. "La tecnica non può funzionare se non mantieni il contatto col tuo baricentro". Poi mi chiese: "Ok l'hai perso, cosa fai per ritrovarlo?". "Appoggio lo sguardo sulla linea dell'orizzonte", risposi meccanicamente; una lezione imparata a memoria. "No", disse indurito, "Lo sguardo viene dopo, molto dopo".  "Sensei, io non lo so", risposi. Non parlò più e se ne andò a correggere qualche altro allievo. La sera, come sempre, un grande parlare tra noi allievi, qualche bicchiere di vino e un grande amichevole casino. "Cos'hai?", mi disse lei, "sembri assente". Era una delle allieve più anziane del mio maestro. Bassa, fortemente in sovrappeso, con uno strano accento della Francia centrale. Quando però saliva sul tatami restavamo tutti estasiati. Sembrava danzare al ritmo della sua spada di legno, tracciando con la sua punta linee che sembravano pennel

Shofar

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Il suono dello Shofar lacera, strappa, stride e lascia una scia di vuoto, che non osi nemmeno pensare di riempire. Il suono dello Shofar non è dolce, né nostalgico, è disarmonia nel ritorno e lascia un silenzio arcano che non osi nemmeno ascoltare. Il suono dello Shofar dà i brividi, febbre antica, Quale voce la potrà placare? Il suono dello Shofar è altro, è l'Altro che viene a depositare semi di silenzio su un terreno mai abbastanza irrorato E tra te e l'Altro non osi nemmeno... 

Tutto il blu del mondo di Valentina Meloni

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Pubblicato su concessione di Valentina Meloni ecco l’inverno col suo passo lento cadenzato di voli, dolce lamento di un sonno lunghissimo e sereno. non si posa ancora la nostra neve e le foglie che cadono, neppure loro possono davvero farci del male adesso che viene la notte del seme ci prende la mano ci fa acquietare… sai, amore, ho raccolto il canto dei mille e più uccelli del nostro tempio e ho riconosciuto la tua solida voce impastata di dolore e di vento io non so dirti perché ho tremato quando ogni sillaba si è andata posando come una carezza affiorante di parole su tutti gli alberi della mia foresta io non so dirti perché ho pianto e in cielo si è aperto un rovescio d’azzurro che ha colorato tutta l’aria d’intorno… ma adesso che hai accarezzato di pioggia tutte le mie radici nascoste non posso fermare questa primavera precoce mi fiorisci dentro a ogni nuovo fiore ogni seme spinge fuori la sua anima sottile e mi feco

Gocce di ricordi di Emi Di Fiore Ramistella

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Foto e testo pubblicati su concessione dell'autrice Emi Di Fiore Ramistella  Mi chiedo cosa sia la malinconia e se io ne soffra. A volte la sento accanto, immobile. Una venatura di tristezza. Eppure è un giorno come gli altri. Nessuna perdita, nessun evento drammatico, nessuna dolorosa sorpresa. Ma lei sta lì, incorporea, mentre sussurra parole pescate al passato. E i ricordi ritornano, intrecciandosi con le vite di chi è stato. Quando si pensa al nostro vissuto non si sa mai cosa sia vero e cosa venga confuso dal trascorrere dal tempo. Un glicine illuminato dal sole. Io da bambina, in giardino. Seduta a terra, con le gambe incrociate, e tra le braccia la mia bambola. La voce di mia madre che mi chiama, pronuncia il mio nome come se mi desse una carezza. Il bacio di mio padre, le sue labbra che mi sfiorano la fronte, chiedendo perdono per la sua lunga assenza. Poi lei, ancora lei che torna. Il viso dai tratti dolci, delicati come quelli di una bimba.

Io non imiterò mai i tuoi lemmi

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Io non imiterò mai i tuoi lemmi. Li lascerò scendere su un prato di silenzio, ciglia sottili verdi, tenui foglie, filtri di timidi barlumi di coscienza. Io non imiterò mai i tuoi lemmi, né svelerò al mondo avaro le loro fragili radici Piccoli passi di infante in un bosco antico, io non imiterò mai i tuoi lemmi. Mi accuccerò per terra, legato a nodo doppio al loro suono. E sarà un tiro alla corda sublime tra il desiderio di dirsi liberi e quello di dirsi vinti.

Possa il tuo sogno

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E sia la parte più ritrosa e celata di te protetta dal mio sguardo Ed il tuo sogno ritmato da un incedere costante E la fatica del cammino e i suoi inciampi, gioia del tuo Ascolto E il tuo Sguardo alto, fisso sull'orizzonte attento e severo. Poiché severo è il giudice e arduo l'incedere, ma vitale è il sogno di stella che lanci nel firmamento a custodia dell'Uomo

Il foglietto azzurro

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"E se il vento, repentino, carezza i miei ricordi, dove giace, immobile ed eterna, la mia speranza? Apro gli occhi ed assaporo l'esistenza in me di ciò che altri, pavidi navigatori del razionale, hanno definito con scherno "sogno". Poi, con un gesto antico, mi alzo e, lo sguardo sulla linea dell'orizzonte, grido al Cielo: Io sono l'Uomo". Il foglietto fu posato dalla donna, con gesto lento, meditato e rispettoso sul sedile del treno. Prima di scendere, la donna diede al foglietto azzurro un ultimo sguardo. Sorrise e se ne andò. L'uomo, qualche ora dopo, lo trovò sul sedile accanto al suo sul treno. Lo sguardo stanco, forse troppo rivolto al suo dolore, si posò quasi per caso su quel pezzo di carta. E fu la sua indolente mano che, senza nemmeno pensarci troppo, decise di raccogliere quel foglio. Leggerlo fu un gesto spontaneo e poco meditato. Ci volle qualche minuto prima che il significato di quelle parole raggiungesse la sua coscienza.

Abissi ebbri

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Alla quarta birra tutto appare chiaro. E si mollano gli ormeggi, l'etica vola alta. L'emozionale, pur non negato, si assoggetta alla legge dello spirito. E dello strazio e delle ossa polverizzate e del respiro che si blocca in gola e di quei pensierini che negano l'esistenza, quasi non esiste più traccia. Ci si sente centrati. Infusi di una saggezza antica. E si ha il coraggio di dire: "che sia, io lascio andare". La vocina che, fino ad un secondo prima, ti frantumava i polmoni, tace, e tu, vecchio saggio dalla barba bianca, dispensi le tue vette a te stesso e a chi, malauguratamente, ti sta ad ascoltare. Tripudi, grida di eccitazione: "Bene, bravo, bis". Alla quinta birra, però, sordida, la vocina si fa risentire. "Sei certo di farcela a lasciar andare?". "Come farai senza la tua essenza?" Alla sesta birra ti addormenti. Si addormentano i tuoi sensi ed anche la tua etica. E tu, figlio bastardo di un D.o minore, se non

Il rapporto olfattivo col diritto

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Conoscevo un giudice del Tribunale di Milano al quale quando passavi il fascicolo d'ufficio, perché ne analizzasse gli atti, essendo mezzo orbo, se lo portava ad una distanza quasi millimetrica dagli occhi, il naso in contatto col cartone, e lo scorreva tutto quasi fosse un moderno scanner. La cosa, esilarante per la maggior parte dei colleghi e me, provocava battute sarcastiche nei corridoi che per pudore non ripeto. Un giorno diedi un'interpretazione diversa alla cosa che lasciò molti inizialmente interdetti. Dissi " Ma non avete capito un cavolo! Il giudice X ha un rapporto olfattivo col diritto. Lui non fa scanning, lui il fascicolo lo annusa, lo odora e dagli odori (profumi mi parrebbe troppo) dei fascicoli, moderno segugio di commi ed articoli, determina torti e ragioni". Ovviamente tutti risero e mi diedero del matto e la cosa a me, giovane neo avvocato, fece piacere perché nell'ambiente passare per mattacchioni non guasta, ed io penso di riuscirci

Il solito poeta

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Nottata di sogni densi di significato e sonno finalmente profondo e ristoratore. Al mattino molto presto il terrazzo è un luogo fatato, silenzioso e calmo. Il cielo commuovente. Sembra invitare a guardare lontano, sia nel presente che nel passato, con morbidezza e soprattutto con speranza.  E poi lui, il seme, il primo seme ti guarda, timido, coperto dalle foglie delle belle di notte che, dopo aver diffuso colori e profumo sotto alle stelle, si cominciano a chiudere stanche. La bellezza stanca, va protetta. Il primo seme di quest'anno da me colto. E forse il primo cielo di quest'anno da me guardato in questo modo. Accogliere le primizie come un dono è uno dei più ricchi insegnamenti dell'ebraismo. Ad ogni primizia, ad ogni frutto assaggiato, ogni cosa colta per la prima volta nell'anno si dedica una particolare preghiera: Benedetto sia tu nostro signore che ci hai mantenuto, conservato, portato fino a questo tempo. E anche se recitata singolarmente que

Strange fruit

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Scrivere racconti accompagnandosi a degli standard jazz è un'impresa titanica. Uno sforzo disumano che ti strappa gli occhi dalle orbite. Bisogna saper armonizzare le parole con la musica, diminuire di mezzo tono, almeno, il suono dello scritto, perché non si sovrapponga al testo del brano, aggiungere i contenuti del racconto poco alla volta perché seguano vie sottili e non rompano l'armonia musicale ma la rafforzino. Tessiture da alchimisti, da chi si diletta a immaginare che battere sulla tastiera del computer sia come suonare il pianoforte. Viola questo lo sapeva bene. Ne aveva già scritti più di trenta. Si accese una sigaretta. Fumare affacciati alla finestra, nell'afa notturna di un luglio milanese ti porta veloce verso atmosfere jazz. “Forse ho sbagliato”, pensò, “dovrei chiamarlo”. Chiuse immediatamente gli occhi. Lo faceva sempre quando voleva scacciare una sensazione sgradevole. Spense la sigaretta mentre la Simone lasciava cadere lenta come un foglia mo

L'avvocato è stanco (nature boy)

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Il colloquio col giudice era stato stimolante e proficuo. Avevo usato ogni arma a mia disposizione per far passare come sostenibile quell'assurda mia linea difensiva. E, dallo sguardo che la dottoressa aveva posato nei miei occhi, avevo intuito che un qualche barlume di dubbio ero riuscito a seminarlo. Ma lei continuava a guardarmi, anche quando avevo smesso di parlare. Uno sguardo enigmatico, di chi ne ha viste tante, forse troppe. Solo i giudici, anzi solo i migliori tra loro, sanno tenere quello sguardo. E io, nonostante i miei trent'anni di arti marziali, i miei discorsi sullo sguardo del samurai e sulla capacità di chiudere gli occhi quando necessita, mi ero sentito nudo e inerme di fronte ai suoi occhi. Mi ero limitato a tacere, guardandola come un bimbo guarda una mamma arrabbiata dopo aver commesso qualche marachella. "Avvocato, ho capito", aveva detto, "e le prometto di valutare con attenzione le sue parole. Non tema. Ci sono ancora dei punti

Il sogno

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Non parlano più. Non pensano più. Chiudono gli occhi, le loro palpebre come serrande sulle ansie della vita, sulla povertà delle loro esistenze. Un vetro rotto sullo sfondo diviene finestra sul creato. Lo senti anche tu il lento passo del Sogno, del nostro Sogno, avanzare, ignaro, o forse indifferente ai cocci di vetro che calpesta per terra? Sorridono, sapendo che un attimo di sospensione può spostare intere galassie. Lo sanno nonostante la povertà dei loro strumenti, forse a causa di quella stessa povertà. E a me, che osservo quella docile mano su una robusta spalla, corre un brivido lungo la colonna vertebrale. Taccio e faccio il tifo per loro, che hanno mantenuto viva la loro fede, nonostante tutto, nonostante i calli sulle mani e le ferite nel cuore. E guardandoli so perché scrivo. Lo faccio per chiudere gli occhi anch'io e rinnovare ancora una volta lo stesso loro patto, nonostante tutto. Si scrive per chiudere gli occhi e vedere meglio o, forse, per cominciare a

La quercia

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Ferma.  Roccia del deserto,  opaca.  Immobile presenza  millenaria, solitaria.  Indifferente al dubbio,  solletico per la corteccia,  attenta ai messaggi del vento,  Ascolti.  Ponte tra l'indicibile e il firmamento,  eretta avanti la mia scelta.  Silente, in un mondo senza Verbo.  Torre d'ossidiana, memore della lava.  Io, canna al vento,  stanca guardia senza sguardo  sulla mia scelta afona.