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La fine dell'esilio

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scrittura esule scrittura esile _____ Furon lampi, poi tu. Cadde là il giogo nel luogo più sacro. Un pianto di rocce del nero deserto. Fine dell'esilio; del mio silenzio. ____ _____ Testo - inedito 2023 - foto e post-produzione grafica di Sergio Daniele Donati   

Ricorda (sempre Oblivion)

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  scrittura esile/scrittura esule Ricorda, o almeno lascia che io ricordi. C'è stato un tempo in cui i nostri sguardi si incrociavano; e poi fuggivano ritrosi a terra. Ed era la medesima terra ad accogliere le nostre timidezze.  Una terra fertile, allora. Là, a terra, ci scambiavamo un canto e le mani non osavano ancora sfiorarsi. Erano i tempi di noi bambini e timidi (elettivi dicevi), di un noi ancora bambino e timido, ma eravamo ancora aperti a tutte le parole da venire. Ed erano parole che, forse, non abbiamo mai detto, ma per certo entrambi abbiamo immaginato, milioni di volte. Gli occhi chiusi, lo sai, abbiamo pensato miliardi di volte quelle parole compiere voli sulle nostre pelli e tramutare il nostro epitelio in tessitura d'amore. Che al potere della parola, lo sai bene, abbiamo sempre creduto entrambi, con tutte le nostre fibre. Ed è inutile fingere tra noi; ci crediamo ancora. Ricorda, o almeno lasciami ricordare, la dolcezza del primo bacio, la timidezza della tua v

Una meditazione a occhi chiusi

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  Foto di Man Ray scrittura esile/scrittura esule È arrivato l'istante. Inesorabile. Lento. E atteso. E porta con sé bave di lumaca e vischiosi fili di ragno. Atteso, inesorabile e lento.   Non sei pronto, non lo sei mai stato. Nemmeno quando contavi i tuoi respiri, gli occhi chiusi, meditando. Nemmeno quando ti fingevi pronto a essere trafitto dalla freccia. È arrivato, come fa lui; l'istante. Irruente. Atteso, lento e inesorabile. La palpebra vibra e non si alza. Il respiro si fa affannoso e tu osservi. Impreparato a ciò che attendi da tempo. Che il ricordo sarebbe tornato lo sapevi. Che avrebbe portato con sé tinte ocra e pastello a fiumi, lo immaginavi. Il muro crolla e resta una sola rovina. Palpebre abbassate e una mente testarda che conta i respiri. L'aria entra e sono mani, e carezze e profumi. La palpebra vibra e tu non la alzi. E crollano vestigia e mura armate mentre arriva - lento, inesorabile e atteso - l'istante. L'aria esce lenta e sono voci: dolci, a

Le vesti (la scrittura che strappa)

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  Foto di Sergio Daniele Donati scrittura esile/scrittura esule Due anni.  Per due anni  parole, lettere, segni  mi hanno lacerato  le vesti.  Che al corpo che sanguina,  all'anima che declina,  si devono togliere  (presto)  le vesti.  Erano turbini  (benevoli e violenti)  e prendevano a schiaffi  volti coperti d'oblio.  Cercavano altro,  dentro la ferita.  E strappavano  (svelte e violente)  le vesti.  Due anni per carpire  il valore sacro  del vento  freddo  sul volto.  Brezza gelida  che squaglia la pelle,  e entra dagli occhi  e toglie le vesti  a un corpo  che sanguina,  a un'anima  che declina,  a un'anima  che fibrilla,  e lancia in cielo  S.O.S a forma d'uncino.  Due anni per togliermi  le vesti  e stendere balsami e unguenti  su un corpo che sanguina  e un'anima che declina.  Parole e lettere e segni  (violenti e benevoli)  mi hanno stesso sul tavolo  chirurgico  (presto, presto, lo stiamo  perdendo).  E mi tagliavano  (violente, veloci e benevole)  le

Canto

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scritto con Silvia Tebaldi nella primavera del 2020  Siamo tradotti dai Salmi dal verbo degli uccelli  dalla lingua dell'inconscio  nella rete dei giorni riarsi.  E ci attarda la sera  davanti ai fuochi  della narrazione antica  tra sguardi di bambini.  Tehillim di incipiente primavera  dispaccio dall'inconscio che ci desta  prima dell'alba, prima del nulla  quando si posano  i nostri pensieri di elevazione  sul soffio che unisce,  contenti della terra  che crea spazio e tempo.  O Vampa nera. O Grande vuoto.  O indicibile Nome.  Posati sulle nostre tempie.  Le nostre nuche anelano  al soffio della tua Parola.  Trema la vite, trema il gelso,  La terra è secca.  Sia il soffio pioggia, sia la pioggia,  sia.  E i morti nei nostri cuori  e natura che va per la sua strada.  Il ruscello tace, la foglia trema, la terra è secca,  la mano in attesa del passo  del Silenzio. Maestro.  O nostra madre angoscia,  nostra t

La Flussa

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Disegni di Judith Sideri Canto all'antica in sibemolle minore per ragù e orchestra Bolle il brodo e borbottano gli aromi e si mescolano odori e ricordi  e immagini e penne e parole tra i peli ormai bianchi della mia barba. Sanno di desiderio, il mio,  mentre il tuo vissuto canta nelle cucine in cui giocavi coi tuoi  sei fratelli tra una risata  e un rimbrotto della rezdora. Io non lo so, anzi lo so cosa ti ha reso muto; non so, anzi lo so,  cosa mi ha reso ciarlone.  E so che ciò che mi ferisce  ora ti ferì allora, papà.  E scusami, se ho aggiunto bacche di ginepro  ai tuoi ragù, ma i miei boschi  si insinuano ovunque. Sono i sentieri che ho percorso  per allontanarmi da te, le vie che ora  mi riportano a te. E il merlo di cui tu imitavi il fischio canta sul mio balcone a ogni tramonto. Ci toccheremo finalmente le mani sotto un larice, papà, e forse mi tirerai come allora una pigna, e fingerò come allora di rima