Post

Visualizzazione dei post con l'etichetta padre

Ora son padre

Immagine
A mio padre,  figlio d'una infanzia profuga Ora son padre, e tu sei figlio di stelle grigie. So del passaggio e della scure che taglia secca, e so del peso, della rinuncia ad esser mito. Ho lasciato là la cappa spessa che tu portavi su di te; sempre. Ho pianto, là, sai per la gran gabbia della parola padre sulle tue spalle. Non per me. Ben so di stare fuori dal mito perché qui, sulle retine, non ho il drappo nero della tua fuga tetra dal luogo che prima era per te rifugio, casa felice.     Indossasti poi     - in vesti strette -     miti fallaci     per non sentire,     dietro la cappa,     un pianto sordo     di bimbo solo. Foto e testo - inedito - 2023  di Sergio Daniele Donati 

Cum dederit

Immagine
Seleno e Dioniso -  Statua Romana II sec D.C. Dedicata al sommo poeta Ronnie Someck “Cum dederit dilectis suis somnum, Ecce haereditas Domini, filii: Merces, fructus ventris, Fructus ventris. Cum dederit dilectis suis somnum, Ecce haereditas Domini, filii: Merces, fructus ventris, Fructus ventris” Inizia sempre con una nota tenuta, una corda tesa tra ventri fecondi e cieli infedeli. In mezzo il figlio, solo, mostra al dio del nascondimento i suoi inciampi come trofei di latta per il festino del creato, o gusci di noce da usare come barchette nel fiume del ricordo. Dona la sua piccolezza a un'infinita assenza. E tiene quell'unica nota nel metatarso, al primo passo; un dono sacro, al Sacro che in lui dimora; a stento. È nulla, un passo, eppure si amplifica, nell'appoggio a terra, quella nota che parte dalle iod delle sue intenzioni. “Guardami, dio celato, guarda l'inciampo di un figlio zoppo. E accogli lo strazio d'una parola balbuziente tra le ciglia del tuo crea

A mio figlio (fuor di scrittura)

Immagine
A mio figlio, il nuovo mondo Ciò che non sai è che il tempo spezza e toglie ossigeno a respiri già affannati; non sai che stelle e firmamenti, e voci e silenzi, e lettere e corse folli, e petali e danze sono gocce per riempire il secchio dell'abisso che ride; là sotto. Non sai del bimbo con le mani sulle orecchie, per non sentire. Non sai del volto che si volta per non guardare. Non sai dell'urlo soffocato: guardami. Non sai della carezza nel ghiaccio e della testa sull'asfalto e la moto a terra con la ruota anteriore che ancora gira, come gira la follia per questo mondo. Ciò che non sai ancora, è che essere padri è vivere pregando che l'ossidiana dei tuoi occhi si posi su ciò che chi non ha ancora parola chiama distratto amore , che la tua mano batta su tasti di pianoforti antichi e non su schegge di coscienza. Essere padre, è ora che tu lo sappia, è chiedere, urlare, imporre a un mondo distratto di ascoltare il tuo nome. Ciò che ora, se mi leggi, sai è che un pa

Padre

Immagine
Ispirato alla musica di   “El Hatzipor” di Avishai Cohen  Li ho visti ardere, potenti e lontani,  i fuochi, padre;  e il fumo saliva, obliquo.  E ho sentito cori antichi  montare come schiuma  dai muschi del bosco.  Tu non c'eri, padre.  O forse mi percepivi  dal vento.  E chissà se per un istante  sei stato fiero  dello sguardo di tuo figlio,  posato sull'orizzonte;  se hai osservato  la mia schiena dritta;  e chissà cos'hai pensato  delle mie mani,  capaci di comprensione, padre.  Ho visto il cielo come fiamma,  nell'ora che precede il sogno;  il nostro sogno, padre.  Da dove viene la mia parola  se non dai tuoi silenzi, padre?  Da dove viene la mia domanda  soffiata lontano, alle stelle,  se non dalla tua assenza, padre? Ho raccolto poi nella via  amori e speranze.  E chissà se hai sentito  il tamburo del mio cuore  battere un ritmo tribale.  Da dove viene il richiamo dell'abbraccio,  se non dai tuoi slanci  t

Faresti meglio ad arrenderti, figlio

Immagine
Come spiegarti i mille movimenti a spirale che l'artista marziale deve saper compiere per sperare di governare il proprio mondo interiore, figlio mio? Ci sono insegnamenti che io ho ricevuto troppo presto. Altri li ho lasciati sedimentare troppo a lungo. Altri, infine, li ho coperti di un silenzio senza fine, perché potessero parlare da soli, per sé e di sé. E non so più nemmeno di cosa parlarti se non di ciò che sono stato e sono. Lo faccio ora, sapendo che, forse, mi leggerai tra anni. Faresti meglio a arrenderti, figlio mio, alla Vita che avanza dentro di te. Anche quando sentirai che ti strappa via le viscere e modifica i tuoi sorrisi interiori. Resistere alla Vita è come combattere l'oceano in piena, armati solo di un fuscello ancora verde. Se invece imparerai a seguirne i ritmi, i silenzi come gli urli improvvisi, la Vita come uno tsunami in piena ti innalzerà come ancora non pensi sia possibile. Faresti meglio a arrenderti, figlio mio, al giusto timore che l