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Vengono da lontano, le ventidue danzatrici

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  Tzade di Sergio Daniele Donati Vengono da lontano e io non ho la forza d'aprire la porta e invitarle a entrare. Di questo loro ridono; non hanno colmato le distanze tra galassia e galassia per entrare nella mia dimora. Sono qui per farmi uscire e mostrarmi quanto possa esser gradevole sostare davanti al fuoco e cantare antiche canzoni. Sono venute di lontano e bussano alla mia porta per mostrare a un uomo schiavo dell'abitudine i ridenti tramonti dell'Altrove. Le sento montare il campo nel cortile e accendere le braci, ridono e scherzano, poi di colpo tacciono; ascoltano il mio mugugno dentro la casa. Poi ridono di nuovo. Non hanno colmato le distanze tra passato e presente senza conoscere i tempi del futuro. Son venute da lontano e la loro regina ha occhi di smeraldo e tace su un trono di foglie. Ora non bussano più alla porta; ne grattano i legni con dita fatate, li sfiorano delicate. Non hanno colmato le distanze tra galassia e galassia senza sapere che il cambiamento

Resh (in tre versi)

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  La Quercia - di Sergio Daniele Donati Sono sacre le cortecce del principio del ritorno, del ricordo del futuro.

Kof (in tre versi)

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Kof di Sergio Daniele Donati È imitazione del Sacro ogni nostra parola e cammina lento, su teste di simulacri,  il sacerdote del Silenzio.

Tzade (in tre versi)

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  Tzade di Sergio Daniele Donati Del Giusto commuove sempre il passo ignaro di ritorno verso la sua bottega di calzolaio.

Samek (in tre versi)

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Fa' ben attenzione. Il diadema nella città d'oro sostiene chi vacilla.

Kaf (in tre versi)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Prende, trattiene e assimila altrui parole e silenzi la corona della saggezza.

Iod (in tre versi)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Sono piccole e sottili e strette. Fiamme d'ambra nei sogni dei nostri figli. Foto di Sergio Daniele Donati

Tet (in tre versi)

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Tet (disegno e foto di Sergio Daniele Donati) Di nove argille si compone il creato. L'ultima sigla il patto e dona i ritmi  alle danze delle donne, d'estate.

Lettere ebraiche

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  Foto di Sergio Daniele Donati Ogni tanto è utile porsi la domanda sul proprio planare attorno a un argomento. Che si tratti di studio, racconto o percorso poetico, insegnamento o altro, è evidente che lo Alef-Bet ha plasmato la mia forma mentis e continuo a pormi la domanda del suo valore (anche etico) nello sviluppo del mio pensiero. Ma queste sarebbero valutazioni e riflessioni destinate ai miei soli cassetti (che ne sono pieni) se non percepissi che lo Alef-Bet è portatore di un valore universale trasmissibile. Anzi, solo quando (e in quanto) trasmessi i significati anche simbolici delle lettere ebraiche acquisiscono luce propria. Le lettere ebraiche non sono trattenibili, così come non si può imprigionare il vento. Se ne può (e, a mio avviso, si dovrebbe) ascoltare il suono di lontano e lasciare che questo ci trascini verso paesaggi in parte sconosciuti. Ovvio, io vengo da una famiglia di tradizione ebraica e, quindi, le lettere dello Alef-Bet sono state le mie compagne sin da pi

Vive la speranza (Lulav)

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Vive la speranza in innesti d'agrumi su cortecce di conifere. All'ostinata ricerca di profumi mediterranei, ignori i muschi da cui proviene lo straniero. Eppure son quei passi a rendere sapido il mirto. e stucco per il palato il frutto della palma. Sei passi profughi giungono a te mentre al salice concedi uno sguardo distratto, e il cedro inscrive nel tuo cuore profondità sacre. Tieni in mano ora il frutto d'ogni stagione dell'uomo; per l'uomo che, straniero, irrora la tua terra.

L'ebreo si dondola

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Marc Chagall - L'ebreo in preghiera F. Chopin Nocturne No.14 In F Sharp Minor Op.48 No.2 (esec. Maurizio Pollini) L'ebreo si dondola quando la palpebra piega al ricordo e il suono delle litanie giunge da lontano. L'ebreo si dondola e mette il corpo nell'onda lenta, nel flusso dei millenni, e si concentra nel punto vuoto e bianco prima d'ogni lettera. L'ebreo si dondola nell'abbaglio del suono, nel canto ancestrale, nella parola aspra, nel suo nome che scolora; nel ricordo dei sei milioni, l'ebreo si dondola. E canta parole secche, l'ebreo che si dondola, e invoca la memoria dalle steppe dell'oblio, l'ebreo che si dondola. E si perde là, e naufraga tra le scorie dei rifiuti e gli ori degli abbracci, l'ebreo che si dondola.

I sogni di Mordechai (cap. 1-13)

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Foto di Sergio Daniele Donati 01 Incipit  Mordechai uscì dalla sinagoga con un malessere di fondo. Parashà e Haftarot questa volta non erano riuscite a sollevarlo da terra. E quel grido, quello strazio, era come un tocco di campane d'inquisizione nelle sue orecchie Camminava, col cuore in affanno, e a nulla valevano le parole che il Rebbe gli aveva rivolto all'uscita. "Le cose tornano, Mordechai. Magari trasformate, ma tornano. Sempre". L'aveva guardato a lungo, senza parlare. Poi era andato via. Come può tornare ciò che mai è arrivato? E che cosa poteva mai capire un uomo di novant'anni degli affanni di un giovane.  Mise le mani in tasca e ci trovò il solito sassolino. Lo strinse, come sempre, e si sedette sul marciapiede. La gente passava indifferente, le ore passavano indifferenti, i ricordi passavano... differenti. Si tingevano di colori diafani, tonalità mai viste, di spiegazioni mai pensate. Mordechai chiuse gli occhi. I suoni del villaggio sembravano lo