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A un bimbo ucraino

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La luce stanca le nostre retine e così lo scoppio delle parole. Sono bombe che lanciamo per tener lontane quelle vere.  Né è possibile chiudere gli occhi - foss'anche per un battito di ciglia - perché dietro il globo ci fissa un bimbo - lo sguardo perso - e chiede la restituzione  di un'infanzia rubata. Ma io ho frugato nelle mie tasche e non ho nemmeno un ricordo d'infanzia da donare. Gli darei il sassolino che tengo sempre con me a ricordo di ciò  a cui mi sono aggrappato per sopravvivere.  Gli sussurrerei le parole che mi disse un vecchio sul ciglio della strada - stavo seduto sul marciapiede incapace di respiro. "Tieni sempre qualcosa di duro in mano. Qualcosa di scuro". Imparai col tempo  che la saggezza di una mano supera di gran lunga qualsiasi affabulazione e che la forza della preghiera - anche atea - è tanto simile alla tenacia della pietra. Lo scoppio delle parole sulle bombe è l'atomica che lanciamo su noi stessi per non guardare negli

Mi attarda (Mon Enfance)

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Mi attarda,  lo sai,  lo sguardo sul muro, e il volo di rondine. Fischiano e picchiano,  come aghi di pino  nel bosco dell'impossibile E ride al canto del merlo, il ricordo d'un volto-mirtillo  da bambino. E tace lo sguardo che si perde nell'ora del tramonto che tutto cela.  Sospendevo allora, con gesto della mano, il flusso del tempo.  Poi la posavo, non ancora uomo,  sulle cortecce degli alberi. Erano pianti, lo sai.  E sai che il bello   e lo stupore calano goccia a goccia,  prima d'ogni parola nel cuore di chi canta in lingua antica e sovrana. Allora ti prego,  amico,  non ridere se m'attarda ancora, nell'ora che prepara  la battaglia, il ricordo di occhi bambini, da gufetto  nel bosco della vita.