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Visualizzazione dei post con l'etichetta Oblivion

Aspettavo la fine (Oblivion)

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Il ritorno del fogliol prodigo - Giorgio De Chirico Aspettavo la fine - un cenno di mano, lo stridio di rondine in cielo - ma fu solo ghiaccio e una nota supina  tra sterno e ventre. Quel ghiaccio scioglie ora, sai, mentre attendo altra mano a porre fine al mio canto .

The End (Oblivion - notturna)

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"Muro milanese" di Sergio Daniele Donati   Non può che finire  in assenza di parola l'eccesso di parola. Avessi taciuto allora non mi fermerei ora - lo sguardo umido - a raccogliere verità scritte a pennarello  su un muro.

Oblivion (una vez más)

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Foto di Man Ray Che poi - forse - né tu né io sappiamo cosa sia la libertà vera  da quella parola. Oh, certo, conosciamo ogni ritmo vitale,  ogni scoppio, ogni di bolla di sapone da cui seguiamo la dispersione iridescente d'un amore mai nato. Conosciamo - dicevo -  ogni nostra culla lenta, e i dondolii al ritmo caucasico della dimenticanza. Sappiamo, sia io che te, nasconderci dietro -  o dentro - un passato per noi troppo simile per esser detto. Ma, se questa melodia - questo Oblivion senz'oblio - ci lega i polsi e c'intreccia gli sguardi, è perchè di quella parola fummo - e forse siamo ancora  - schiavi. Io ne divenni il servo per averla detta e tu per non averla voluta sentire; e non so, sai, quale dei due domini, delle due catene - dire l'indicibile o ignorarne l'esistenza - sia più facile da spezzare.  La melodia che ci allaccia - so che lo sai - è discendente e piana come un rifiuto; un no  detto lento guardando l'iride di chi lo riceve riempirsi di catara

Due poeti allo specchio (Antonio Nazzaro e Sergio Daniele Donati)

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Antonio Nazzaro ritratto da Eleonora Buselli Caro Sergio, sinceramente non ho capito cosa vuoi che scriva ma ci provo. Prima di tutto per sopportare la compagnia perenne dell’acufene metto musica, non una qualsiasi, ma Fito Paez , cantautore argentino, visto che fra qualche giorno andrò a vivere a Buenos Aires. Già torno al mio vestito abituale ovvero quello di emigrante. Forse la poesia in fondo è questo, qualcosa che emigra sul foglio bianco e poi viaggia tra le dita di mani che sfogliano… Questa partenza spero che sia l'ultima ma visto il mio peregrinare di paese in paese degli ultimi trent’anni preferisco non dire niente a riguardo. Partire è qualche cosa che sempre mi ha fatto sentire libero di tutto, anche di dimenticare volti amici, nemici e gli amori. Ah gli amori… Lascio in quest’ultimo viaggio forse l’amore più bello e intenso della vita, che ha compiuto sessant’anni un paio di mesi fa. Si può abbandonare amore per amore? Bella domanda. Non ho una risposta ma è quello che

Era l'ora (Oblivion)

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Era l'ora dei riflessi strani dell'intuizione di destini lontani, d'una calma  che allerta, d'una penombra che penetra i midolli  e risveglia l'olfatto. Era l'ora del passo di gatto, della stasi delle cose, d'un battito cardiaco lento;  d'un tango di lenimento.  Era l'ora in cui dissi quel nome e lo squarcio del cielo fu boato; e per me, che non potevo dirmi ancor nato,  fu il vagito di chi sente  - per sempre presente - la tirannia d'una voce; assente. Foto e testo   - inedito 2023 - di Sergio Daniele Donati

Piccola riflessione #2 (Oblivion)

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È facile dirsi argentini e ignorare che il tango torna a ogni tua fuga, con melodie di resina  da un passato vischioso.  L'argento, sai, cola  su calchi di gesso che crepano  al suo calore lunare.  Avevi ginocchia d'ambra; era un fossile, in quel tuo avvolgermi, la mia pelle,  composta di parole tacitate. Un raro insetto in una goccia d'ambra il cui nome non poteva  da te essere detto per timore che riprendesse respiro sotto il tuo sguardo. Foto e testo -  inedito 2022 - di Sergio Daniele Donati  ©

Dopo il tempo (Oblivion)

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Lo sai; quando torna lunga l'onda d'un dire mai espresso,  lo fa senza bussare.  Allaga e riempie e infiamma di liquidi urticanti ventricoli troppo inesperti  al cospetto del Silenzio, e tu, e io, e noi,  li ascoltiamo borbottare come magma da una ferita da aspirare con una cannula d'oro. Non mi restava che quell'ultimo passo - piegare il corpo al dolore per evitare la fuga nella parola - per ascoltare le disarmonie - seconde e settime -  della melodia che ci univa, allora. Nel delirio della febbre avevi il volto di mio padre e la voce era la tua, così barbara da innamorare.  Sei svanita tra i sudori madidi  della mia pelle; restava sullo sfondo una voce tremula d'anziano. Chiamava la mamma nello strazio, là dove risiede celata ogni bellezza  si possa immaginare. Foto e testo - inedito 2022 - di Sergio Daniele Donati

Torna traccia (Oblivion)

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Torna traccia, in quella nota iniziale e sospesa, che so già declinerà verso il basso, del ricordo d'un bosco innevato. Quel cervo mi guardava di lontano pianificando le sue vie di fuga. Io l'osservavo, stupefatto e bambino - usciva del fumo dalle sue nari quasi respirasse l'aria fredda dell'addio prima di muovere un passo. Una nuvola grigia è passata sulle nostre pelli allora: tu non desideravi più esistere e le mie mani erano troppo piccole e i miei occhi troppo pieni di lacrime per impedirti di celarti di nuovo dietro le maglie di una mera sopravvivenza. Era una nuvola grigia che copriva i fumi caldi di vita che ci uscivano dalle nari. Oh si, tu ora esisti eccome e io sono trascinato via da una malattia dal nome impronunciabile; questa non è la stagione delle nebbie ma so per certo quale alito di vita ci ha sfiorato i volti prima che ci voltassimo tramutandoci entrambi in statue di sale.

Oblivion - La fine

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Pensavo fosse conclusa la spirale eterna e d'aver raggiunto al centro la stasi, nell'attesa d'un moto contrario; d'uscita. Avevo deposto pennini e inchiostri, come si depone un'intenzione, e archiviato sul computer ogni richiamo a una musica che torna su stessa a cercar strazio. Perchè la parola rivela a ogni suo passo l'esistenza dell'indicibile e batte il tempo col piede nervoso del suo desiderio di danza. Arriva presto il momento in cui dei tessuti laceri non puoi che tacere, e affidare al sogno l'illusione della rinascita a un infanzia mai vissuta. Erano illusioni del color del miele. Annegano in questa finzione la natura e l'uomo a ogni soffio d'aprile; come avrei potuto io esser diverso? Fu dunque proprio il suono senza tempo del mondo che risorge a ricordarmi il timbro d'un abbandono troppe volte vissuto. Lo stesso giallo della forsizia, si sa, tinge le foglie a terra d'autunno. Così si riattiva la catena; un addio minore riapre la

Mi chiedi perché (Oblivion)

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"Viso sul muro" foto di Sergio Daniele Donati Mi chiedi perché rido e non partecipo allo strazio con maschera greca o passi calcolati; da teatro Nō. Andava pur difeso quel bambino; qualcuno doveva pur insegnargli un respiro non asmatico o indicargli un possibile ascolto del tamburo battente in mezzo al petto. Andava pur difeso quel bambino e fu un vecchio Maestro a farlo - vecchio com'è vecchio un cinquantenne per un bambino -, un maestro pazzo la cui risata  separava continenti di sofferenze tra ciglia troppo giovani per concepire la sana lacrima. Non chiedermi dunque perché rido; chiediti perché ancora danzo  questa musica di sogno con il fumo uterino del tuo ricordo.

Lumaca (della serie Oblivion)

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L'esoscheletro d'una lumaca e la sua bava, lo sai, hanno identica funzione. Ricordano quanto debba essere protetta la nostra parte molle perché possa lasciar traccia.  Io vengo da stelle lontane e non mi spaventano le galassie; ho però il terrore del piede distratto. Il piede che non danza questa melodia persa, bava dei nostri ricordi, calpesta una corazza fragile e inabile a dire del cuore bambino  e guerriero che protegge. Resta un crack ottuso sotto fogliami marci e lo svaporare dei sogni d'una lumaca guerriera.

Lo si fa vicino (Oblivion)

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L'autore da piccolo Ci vuol grande maestria, ora lo sai, a trasformare in passo di tango il desiderio di fuga, a giocar all'elastico con sogni e rifiuti. Ignoravi allora che più lontano lanci il tuo sassolino più veloce sarà il suo – il tuo?- viaggio nell'abisso. Se fossi stata anche tu bambina lo sapresti: il primo rimbalzo dev'essere vicino a riva , perché si trasformi in ricochet argentati. M'hai lanciato troppo lontano per vedere il mio dorso delfino farsi lucido e umido; per questo ci allaccia ora la sola fantasia d'una musica che torna sui suoi passi con volo delicato. In mezzo al lago però galleggia un fiore di loto e, anche se non le vedi, lo sai, le sue radici si nutrono di limo. Assieme alla carpa baffuta ridono d'un uomo gettato troppo lontano per rimbalzare all'infinito su riflessi di ricordo.  

Le chiamate (Oblivion)

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"Dreaming" di Sergio Daniele Donati Ho fatto un sogno - in un sogno  non so mai se sia il passato  che bussa o il futuro che langue - e non c'eri, tu. C'erano le voci; quelle che, prima di te, mi indicavano chiaro  il cammino. Le sentivo lontane, evanescenti, né sapevo più decifrare il loro messaggio. Nel sogno scrivevo con dei gessetti  sull'asfalto. Erano lettere sconosciute, simboli arcani. Poi la bimba, comparsa dal nulla, mi guardava. "Sei tornato?", mi chiedeva, "resti?". Io non so perché piangessi mentre le dicevo che le briciole che avevo sparso  nel bosco per ritrovare  il cammino del ritorno le aveva portate via il vento.  La bimba mi guardava, nel mio  oltre me stesso, poi si sedeva tra i gessetti. "Sei tornato," diceva, "resti". Forse ti ho mentito, nel sogno c'eri. Eri nelle briciole; eri il luogo dove ho perso voci e cammino. _________ Las llamadas Hize un sueño -en un sueño nunca sé si sea el p

Tango in terzine (un 4/4 mascherato - Oblivion)

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" Evanescenza" - foto di Sergio Daniele Donati Alzo piano il velo perché le aderenze non strappino tessuti appena cicatrizzati; odorano di muschio e ginepro le tracce ancora biancastre del tuo passaggio, sulla mia pelle; sapeva invece d'eucalipto lo sguardo felino, il tuo, e quel batter di ciglia. Da buon ebreo mi dondolo, sai, quando il ricordo si fa battente  e la memoria ripercorre un intrecciarsi di gambe, un mescolio di fiati - appannavano i vetri d'una stanza, troppo stretta per contener quel grido -. Mi dondolo e spero che la nenia plachi la furia  del nostro mancato ascolto. Da buon ebreo resto a guardia d'un imperativo sovrano che tacita la rivolta  e mi spezza e rende umile il mio humus - funghi gialli su terreno umido -. È stato ciò che è stato e dentro ognuno di noi una voce distinta canta lo stesso canto - in lingue lontane - e chiude palpebre senza peso. La senti lì, ancora viva, trasformata in ricordo quell' antiqua fabula ?  Due solitudini s

Conosco il Tango (Oblivion)

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"Infanzie" di Sergio Daniele Donati Conosco il tango, ma non lo ballo, da sempre mi abita una regola - non so da chi imposta - che m'impedisce di star al centro delle altrui praterie. Osservo di lato passi stranieri sulla sabbia della mia evanescenza, questo sì; danze che parlano una lingua che non m'appartiene e fa vibrare le mie scintille. Mi sono riavvicinato poi ai miei alfabeti bislacchi quando la chiamata s'è fatta troppo insistente per essere ignorata. Io da sempre vado lontano, fuggo, e cerco sottoterra un'infanzia mai vissuta. Là tra lombrichi e gemme ho imparato a scavare a mani nude, troppo tardi per essere bambino troppo presto per esser uomo. Per questo fuggo; ciò che manca al cominciamento canta per sempre l'inno dell'assenza e separa e divide e riempie di liquidi collosi le vibrisse d'un uomo-gatto innamorato della luna. Ma forse uso simboli strani per le tue orecchie di cristallo, troppo fragili per sopportare il suono d'una v

Nascite (Oblivion)

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La nascita di un figlio - d'un libro, d'uno sguardo - non è mai casuale. Segue intrecci decisi ben prima del nostro primo respiro. La vita, lo sai, trova origine nella terra. Fango e aliti divini, questo siamo. E il nome che diamo al nostro Dio - che contenga la dolce desinenza EL o sia la brugola dei nostri motori - ha sempre la leggerezza d'una foglia. È sempre l'Altrove a indicarci la matassa e l'Antico a guidare le nostre pazienti dita - ci sono nodi indistricabili ma poco importa; pesa invece l'attitudine testarda e contadina a sollevare zolle - "Come nacque il nostro amore?" mi chiedi. E sai bene che sarei più abile a parlar della sua fine - è questo che faccio nei miei versi zoppi -; tu sei altrove e mi indichi la matassa dell'origine e mi obblighi a un passo indietro - guardando avanti - Un passo di tango sobrio, senza acrobazia né espressione, o intreccio di gambe. Io non so come, so che nacque quando l'ultima stella - alcuni la chiama

Maschere (Oblivion)

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  Foto di Man Ray Indossiamo maschere - ormai non è un segreto - e ci innamora d'un volto l'espressione mai presa più che la smorfia del desiderio. Tu questo lo sapevi e conoscevi la mia fascinazione per i suoni nascosti. Per questo indossavi costumi a me sgraditi; mi ricordarvi di guardare in quell'oltre-mondo che era la tua presenza. Chiedevi d'essere compresa, bimba ferita, dietro ai tuoi trucchi di prestidigitazione. Sbagliavi; era evanescente ciò che cercavi di celare - un fumo bianco - non la tua maschera; e ciò che nascondevi portava gli stessi profumi delle mie più pericolose assenze. Fu allora - una coscienza bambina che urlava forte la sua esistenza - che decisi d'opporre alle tue maschere la parola che scardina. Fu un bimbo mai amato a dirti “ti amo” ; e un adulto triste e troppo cosciente della fine delle cose - prima del loro inizio - ad abbassare lo sguardo a terra quando mi negasti - non la possibilità d'esser corrisposto; è questo il gioco perico

Liberami (Oblivion)

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Hopper - Pensive Lady Liberami tu, che hai diviso acque da acque e separato luci da tenebre, dalla traccia molle di questa musica di miele.  Spezza il ricordo, fracassa i tasti, fora il mantice d'una fisarmonica lucida di lacrime. Oppure liberami il piede e lascia ch'io danzi ancora il passo lento e atroce della risacca. Fammi onda, gettami lontano e lascia ch'io depositi su spiagge straniere i doni del dolore.  Rubami la piuma d'albatro tu, che hai creato gli astri perché il loro passato illuminasse il mio presente; toglimi il volo e la parola, rendimi afono e incapace di dire.  Oppure, dammi il canto della Moabita e lascia che incanti il mondo con ciò che a me fu precluso; perché, lo sai, se c'è una cosa che so fare  è costruire per altri mondi  coi mattoni delle mie assenze. Liberami tu, che ci hai dato la Legge e il Desiderio, dalla trappola del bello, fa ch'io non sia più seducente al mondo, ch'io non sia più sedotto; dal mondo.

The reason why (Oblivion)

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"Danza" di Sergio Daniele Donati Lo sai, non è il nome di questa musica, il suo richiamo al ricordo o al valore dell'oblio, a farmi scrivere di noi.  È quella nota iniziale, tenuta, una traccia siderale  verso un infinito di frammenti, a togliermi dal balsamo del silenzio e spostare la mia attenzione sulla colla delle parole.  È stato un éclat , hai ragione, e forse non ha senso questo mio agitar lemmi in movimenti sensuali, a spirale. Dovrei tessere veli, o tirare alte le vele  sull'albero maestro, e parlare del futuro che già colora d'alba i cieli di un uomo placato.  È stato ciò che è stato e forse ogni parola aggiunge solo briciole di comprensione  a ciò che nacque  per portar significato al mondo, e si spense poi nel buio cieco dei miei occhi. Ma poi c'è quella nota e a lei ritorno, con passo zoppo e occhio presbite. Se scoppia una stella in cielo, mi dico,  nascono comete e sistemi solari. E non sono cocci; è la vita che pulsa dietro la descrizione di un

Né so dar inizio (Oblivion)

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Foto di Sergio Daniele Donati Né non so dar inizio, benché bussi, a una nuova primavera per quella  parola.  È rimasto lo strozzo d'un dire  negletto e calpestato.  Guardo il palmo della mano, sempre troppo piccola  per apprendere i ritmi d'un lutto; trasuda liquidi di silenzio e memorie, e impone  il suo veto arcano. La parola derisa non so più dirla; ne resta la bellezza antica tanto simile a quella fredda di stelle lontane.