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Visualizzazione dei post con l'etichetta Fedro's Jewish Letters

Il quarto Alef-Bet - 12 Caf/Lamed

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Sai bene anche tu che il padre protegge pure sé stesso dal rischio di diventar Maestro. E sai quanto delicata sia la voce interiore che insegna i primi passi a un bambino; e sai che chi ne osserva gli inevitabili inciampi sorride, si china e spalanca le braccia, lasciando al Silenzio il messaggio più antico: "Vieni; tu ce la fai". Testo inedito 2023 e foto  di Sergio Daniele Donati ©  

Il quarto Alef-Bet - 10-11 Tet/Iod e Iod/Caf

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  TET/IOD È un passaggio stretto che mescola inchiostri ad acque quello dell'inchiostro diluito nella sua essenza marina dall'invasione del significato IOD/CAF Eppure una membrana protegge la trasformazione dell'indicibile in parola neonata - il sorriso della foglia è nelle sue vene e capillari che trasformano verde linfa nella più antica delle preghiere. Testi - inediti 2023 - e foto di Sergio Daniele Donati

Il quarto Alef-Bet - 09 (Het/Tet)

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Va da sé; ogni scrittura è inchiostro di penombra su pergamene di luce. Eppure a volte pare di poter scrivere - e leggere e interpretare - pulviscoli di polvere provenienti dal nulla Foto e testo - inedito 2022 - di Sergio Daniele Donati ©

Il quarto Alef-Bet - 05 (Dalet/He)

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Sono cinque - e forse più - gli accessi del Sacro  al nostro Corpo e cinque i messaggeri alati della parola. Il primo dice dicendo , il secondo parla dal silenzio, il terzo giace  immobile nelle paludi fertili  del vuoto tra le lettere, il quarto veste l'abito d'un sovrano sdentato  e ride dell'inciampo e della balbuzie  d'ogni nostro dire. Del quinto non cercare il volto; abituati alla curva della sua schiena povera mentre mescola polveri e ingredienti e borbotta in lingua antica formule di ritorno alla terra rossa delle origini.  

Il quarto Alef-Bet - 04 (Ghimel/Dalet)

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Porta d'ebano e argilla. Trasuda tra le resine  l'arte sottile di saper ricevere in dono le tinte pastello d'una parola nuova; in un cuore antico. Fotografia e testo (inedito 2022 ) di Sergio Daniele Donati ©

Il quarto Alef-Bet - 01 (Tav/Alef)

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Torna da un orizzonte profano l'onda del silenzio e lascia sulla rena  ricordi vuoti di rocce, sciolte dall'opera  immobile del paguro. La porta che si chiude  non sia un vuoto ma il luogo dalla cui serratura filtrano bagliori corruschi, prima che luce  sia detto perché luce sia. Ogni chiusura è sigillo e prisma e scompone  l'unico nel molteplice, l'afonia nel sibilo acuto d'una natura vergine a sé stessa. Innalzavamo a un firmamento assente inni d'incoscienza, la fronte ancora segnata  da limo sacro e fertile. Fummo detti figli del canto prima del primo suono, prima del primo intento e della prima visione. Fummo detti figli del soffio prima del primo alito, del primo aliseo e del primo seme. Per questo i padri  ci sfiorano le nuche; perché non sia detto  che il lichene dell'oblio possa intaccare la gola  d'un figlio che ricorda il suo futuro.

Il terzo Alef - Bet (completo)

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  ALEF Ho compreso che mi guardi e taci; e attendi il mio primo vagito per posare la tua mano di madre sul mio volto. Ho compreso che il tuo Silenzio è spazio lasciato al vento messaggero per comunicare il nuovo mondo. Là avrò posto e il mio nome, che ancora tu non pronunci, navigherà nel flusso di chi mi ha preceduto. Alef, madre eterna, con occhi di giada e sorriso evanescente. BET Porto sulle spalle una domanda che china la testa. Mi dici di andare per tornare diverso; ma la tua voce si perde nel mondo incontaminato dai miei passi. Tu vuoi che io crei lontano dai tuoi infissi. Mi giro, li guardo e ne rimpiango gli spifferi. Erano la lingua dei tuoi silenzi, il canto prenatale d'un grembo accudente. Porto sulle spalle una domanda che china la testa per varcare la tua soglia, che odora d'antico e tace del vento che mi spinge lontano. GHIMEL Un passo incerto, oltre la soglia del pensiero, manifestava l'universo di parole che non sapevamo ancora articolare. Prima era Silenzi

Tav ת

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La chiave che chiude un ciclo  non è la stessa  che apre il nuovo;  anche se la porta d'entrata  è la medesima. La ceralacca va spezzata  per aprire la lettera  e ogni sigillo è il segno  d'una possibile elevazione. Infine - e non va mai dimenticato -  le dita d'un bambino  contengono la stessa saggezza dei calli dell'anziano. Ed è ininterrotto il canto della trasmissione

Stanze (SAMECH - AYIN - PEI - TZADE - KOF)

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  SAMECH (ס) Null'altro da dire: esistono voci lontane e proteggono e custodiscono la parola ancora inespressa di una voce bambina. La prima parola d'un infante è un sibilo di accoglimento di un percorso infinito. AYIN (ע) Mi chiedi cosa sia una visione  e dove si debba poggiare lo sguardo quando un vento freddo scivola sui pori della pelle? Sull'orizzonte sotto i nostri piedi , rispondo. E quando il vento si placa, verso la luce lontana  di stelle già morte. PEI (פ) Un dente deve cadere per passare dalla negazione del creato al suo abbraccio. La parola si deve far chiara per permettere l'infinita interpretazione, eppure, già lo dissi, il mio maestro era balbuziente e sorrideva tra i suoi denti ingialliti al compito sacro della trasmissione. TZADE (צ) E non c'è giusto fuori dalla testimonianza. Né l'etica si poggia su un'intuizione afona. Il Giusto raddrizza la schiena prima di parlare e torna curvo nel silenzio. Chi lo ascolta raddrizza la schiena  di fron

Nun

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  Senza merito, né onta ciò che cade risale se sa trattenere tra le mani, prima che si sbuccino, polveri di significato. Là su quella pietra levigata ho battuto il capo e rossi sono ora i licheni  che dimorano nelle sue crepe. Si corica al mio fianco una lettera antica: NUN e mi ricorda di dimenticare  la ragione della mia risalita. 

Mem

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È Re e Angelo fedele - al centro di ogni verità - un richiamo acqueo, un invito ad adattarsi a ogni forma prima del falso gioco del radicamento. Furono separate per prime le acque e distillate le intenzioni. Restò all'uomo un dubbio, ma che importa? Era la prima alba.  

Iod

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Iod di Sergio Daniele Donati Se guardo negli occhi un bambino si scioglie in un istante La mia resistenza al futuro.

Zain (terzo ciclo)

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Poi una voce, un monito potente: « Vai lontano, verso te stesso, ché non c'è luogo più lontano di "te stesso" nel Silenzio ». Io stavo là, con la "voce-dentro", nel travaso del dolore. «Padre,» chiesi, «perché tradisci il destino di tuo figlio?» Abbassava lo sguardo mentre mi ferivo il torace, pugnale alla mano. Un monito al monito: «Le ferite dei padri  sono numeri tatuati sulla pelle dei figli»

Un video per riflettere sulle lettere ebraiche

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"SCRIVERE"  DI SERGIO DANIELE DONATI L'anno scorso il nostro gruppo di studio sullo Alef - Bet ha elaborato, nel corso di un semestre circa, un profondo lavoro sul significato simbolico di ciascuna lettera e dello alfabeto ebraico nel suo insieme.  È stato un lavoro ricco e entusiasmante per tutti noi.  Ogni partecipante ha prodotto disegni, pensieri ed immagini per me sempre molto toccanti. E mi hanno fatto dono di questo video in cui sentirete le loro voci leggere la mia prima elaborazione poetica sullo Alef - Bet stesso.  È con vera commozione che ve lo propongo, sperando di farvi cosa gradita.  Sergio Daniele DONATI  

Vengono da lontano, le ventidue danzatrici

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  Tzade di Sergio Daniele Donati Vengono da lontano e io non ho la forza d'aprire la porta e invitarle a entrare. Di questo loro ridono; non hanno colmato le distanze tra galassia e galassia per entrare nella mia dimora. Sono qui per farmi uscire e mostrarmi quanto possa esser gradevole sostare davanti al fuoco e cantare antiche canzoni. Sono venute di lontano e bussano alla mia porta per mostrare a un uomo schiavo dell'abitudine i ridenti tramonti dell'Altrove. Le sento montare il campo nel cortile e accendere le braci, ridono e scherzano, poi di colpo tacciono; ascoltano il mio mugugno dentro la casa. Poi ridono di nuovo. Non hanno colmato le distanze tra passato e presente senza conoscere i tempi del futuro. Son venute da lontano e la loro regina ha occhi di smeraldo e tace su un trono di foglie. Ora non bussano più alla porta; ne grattano i legni con dita fatate, li sfiorano delicate. Non hanno colmato le distanze tra galassia e galassia senza sapere che il cambiamento

Tav (in tre versi)

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Foto di Sergio Daniele Donati Viene per ultimo il soffio d'un silenzio senza fine; il velo che copre ogni nostro tremore.

Shin (in tre versi)

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Shin di Sergio Daniele Donati Non chiedermi dei fuochi al tramonto, sul monte. Chiediti perché non canto mentre ascolto i crepitii della vita.

Kof (in tre versi)

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Kof di Sergio Daniele Donati È imitazione del Sacro ogni nostra parola e cammina lento, su teste di simulacri,  il sacerdote del Silenzio.

Tzade (in tre versi)

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  Tzade di Sergio Daniele Donati Del Giusto commuove sempre il passo ignaro di ritorno verso la sua bottega di calzolaio.

Alef-Bet e Perdono - Ayin (ע) e Pe (פ)

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  Foto di Sergio Daniele Donati Se rivolgiamo uno sguardo adulto al mondo ( soprattutto delle relazioni ) il primo elemento che risalta, luminoso e terrificante, è la sua imperfezione. Le sue crepe e intoppi e faglie sono così grandi che il solo osservarle rischia di farci cadere in un abisso senza fondo. Ma qualcuno ci ha donato un occhio mobile e un cervello capace di rielaborazione. E allora la seconda cosa che notiamo del mondo (sopratutto delle relazioni) è la sua tenuta. Faglie e crepe e varchi profondi come ferite non impediscono all'uomo di continuare a trasmettere speranza. Perché? Perché l'uomo non cerca solo la verità storica e statica delle cose. Se ci avessero donato occhi e bocca (le Ayin ע e le Pe פ dell'alfabeto ebraico) solo per descrivere il mondo come è, ci sarebbe bastata una vista monoculare, da ciclopi. E la nostra funzione nel mondo sarebbe stata ben triste. Scribacchini, magari eruditi e colti, del limite, nostro e dei nostri simili. Nella