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(Redazione) - Lo spazio vuoto tra le lettere - 08 - Fedro, chi sei? (PARTE PRIMA - PREMESSA)

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  A cura di Sergio Daniele Donati "Che fai, Sergio, ci provi ancora ad evocare quella voce? Eppure lo sai cosa significa richiamarla, e quali venti gelidi sollevi il suo nome. Perché lo fai?" Già, perché lo faccio? Non certo per togliere ogni dubbio sul fatto che il Fedro che dà il nome a questo litblog non sia lo scrittore latino (per qualche notizia cliccare  qui ), né il personaggio tanto caro del celebre dialogo di Platone (qualche notizia su dialogo potrete trovare  qui ), ma la voce evanescente del romanzo "Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta" di Robert Pirsig (notizie bio-bibliografiche sull'autore) .  Non si evocano certe presenze solo per toglier dubbi agli altri. Robert Pirsig Come sia strutturato il testo del romanzo lo sappiamo tutti (è stato romanzo di formazione per tanti di noi).  Il protagonista percorre sulla sua motocicletta le profonde realtà degli Stati Uniti in compagnia di suo figlio preadolescente Chris e di due amici

Due poeti allo specchio (Agnès MK e Sergio Daniele Donati)

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Senza peccato (gioco di parole) Mi piove addosso tocco che m’infiora risuona come un tuono in corpo, assente dà vita, in soffi, ai figli della mente se rompe l’acqua della mia parola (Agnès MK - Inedito 2022) ____ Col pugno chiuso (gioco di parole) Col pugno chiuso e le nocche ormai bianche ho cercato di onorare la serietà del creato; fu un boato dal cielo - una risata cristallina - ad aprirmi le mani e a fare cadere a terra petali di gigli.  (Sergio Daniele Donati - Inedito 2022) _____ Dicono di sé gli autori Agnès è la “pazza con la violetta” de “l’Immortalità” (intesa come duello tra morte e rinascita) di Milan Kundera, alla quale lo scrittore fa dire che, quando un giorno l’assalto della bruttezza fosse diventato insostenibile, lei avrebbe comprato una violetta per tenerla sempre davanti agli occhi. Il “gioco di parole” è come una violetta: un abito leggero sopra uno sguardo talvolta doloroso. Fedro è il fantasma che si appalesa in tracce labili de " Lo zen e l'arte della

Due poeti allo specchio (Amina Narimi e Sergio Daniele Donati)

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  Dumìa La voce sottile dell'acquabuona portava altro pane intorno alle querce, fra i larici d'oro dei solchi profondi. Cercava la tacca, il tocco dell'angelo, il taglio perfetto dell'umidità, con le dita più sacre di un madonnaro quando posa per terra il celeste Maria. Carezzava le vulve, i seni degli alberi nell'amata dumìa della polvere viva benedetta compagna del biancomangiare arresa alla grazia della neve più alta. Si è confuso alla resina il suo respiro lasciando le mani e un giovane anello per disegnare da un fianco all’altro dei pesci antichi che lentamente risalgono l'aria mutando in uccelle. (Amina Narimi - Inedito 2021) Il giorno che mi diedero il nome Il giorno che mi diedero il nome fuori pioveva forte. Il vecchio aveva voce morbida, figlia di mondi lontani. “Che sappia chi è il suo Giudice”, disse, poi si rivolse al Silenzio nella capanna: “Taci,” gli disse, “lascia parlare il vagito”. E io piansi e le galassie sorrisero -inesorabile non è la

La casa dei sogni (ascoltando le 7 toccate di J. S. Bach eseguite da Glenn Gould)

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Disegno della piccola immensa Ruth Marie (11 anni) Hai ragione Glenn. Dovrei ricordarmelo più spesso.  Le tempeste sono sempre e solo esterne e lasciano rivoli sulla nostra pelle che, certo, invecchia.  Il vento, poi , Glenn, ci soffia sui pensieri e tardiamo sempre di qualche secondo l'istante del nostro ritorno.  Tardiamo e tradiamo l'istante, anagrammi noi stessi delle poche lettere che sappiamo mescolare.  Per questo il nostro stesso nome ci sfugge.  Eppure Glenn, tu lo sai bene, esiste sempre una possibilità di suonare uno staccato, riempiendo i silenzi tra le note delle nostre intenzioni di balzare.  Uno staccato per oltrepassare lo steccato dei nostri turbamenti.  Il mio nome è Fedro, Glenn. Il mio nome è Fedro.  E lancio sguardi dietro lo steccato dal giorno del mio primo respiro, là dove si cela la casa dei sogni. Un albero antico, un ruscello limpido dove posare le nostre fatiche.  E sono piedi nudi sul muschio morbido. E pennellate infan

Panim (volti)

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Temo di averli visti tutti, Fedro, i volti di cera rossa che celano al mondo, che pur ti brama, il ghigno che ti muove. Né mi spaura più il tuono del tuo nascondimento tra le foreste fitte del mio pensiero. Non sei più là e io sono altrove, dove dolce dondola l'assenza mia di speranza, infine raggiunta.