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Il quarto Alef-Bet - 01 (Tav/Alef)

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Torna da un orizzonte profano l'onda del silenzio e lascia sulla rena  ricordi vuoti di rocce, sciolte dall'opera  immobile del paguro. La porta che si chiude  non sia un vuoto ma il luogo dalla cui serratura filtrano bagliori corruschi, prima che luce  sia detto perché luce sia. Ogni chiusura è sigillo e prisma e scompone  l'unico nel molteplice, l'afonia nel sibilo acuto d'una natura vergine a sé stessa. Innalzavamo a un firmamento assente inni d'incoscienza, la fronte ancora segnata  da limo sacro e fertile. Fummo detti figli del canto prima del primo suono, prima del primo intento e della prima visione. Fummo detti figli del soffio prima del primo alito, del primo aliseo e del primo seme. Per questo i padri  ci sfiorano le nuche; perché non sia detto  che il lichene dell'oblio possa intaccare la gola  d'un figlio che ricorda il suo futuro.

Tav (in tre versi)

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Foto di Sergio Daniele Donati Viene per ultimo il soffio d'un silenzio senza fine; il velo che copre ogni nostro tremore.

Resh, Shin, Tav

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Resh ר  Sotto il patibolo della  parola sdentata,  Maestro,  pure io ho seppellito la mia Leah.  Sotto terra, il primo  suono, color fuoco,  in lingua nuova  è grido  di rinascita  per chi resta solo  Shin ש  E non c'è pace,  Maestro, se non si abbassa la palpebra tra il falso e il vero. Sui tre rami dell'albero foglie e luce. Dalla terra nera la radice,  cieca, ricava nutrimento.  Tav ת  Dammi la mano,  Maestro.  Ho paura.  L'accesso al monte è interdetto  e ogni ciclo si conclude  nel Silenzio.