Alef (la grande trasformazione)


Non chiederti perché io non prenda in mano la penna. Troppo stretto è il silenzio tra le parole, perché io possa colmarlo dei miei segni. Non chiedermi perché io non prenda in mano la penna. Troppo ventosa e esposta è la linea del balzo tra due lettere, perché io possa creare ponti dorati di significato.
Io resto, inerme e teso, riempito solo dei miei propositi.
Intenti antichi come il blu del mare, senza nome, senza forma.

Non chiederti perché io non prenda più la penna in mano. Ho incontrato scritture, quelle che elevano l'anima, sfogliando uno ad uno tutti i miei volti. Ne ho assorbito il suono profondo col quale la mia penna ancora acerba non si può accordare.

Non chiedere perché non prenda in mano la sua penna a chi ha saputo varcare la soglia dell'altrui scrittura nel Silenzio. Non chiedergli di aggiungere tratti inutili a ciò deve restare nel mondo dell'indicibile. No, amata mia, non parlo del “non detto”, ma di ciò che si inscrive in un cuore nel silenzio, in un attimo eterno, quando, chiudendo gli occhi, si osserva con cautela, il proprio primo respiro.

Non è forse senza tratto, senza segno, la custodia con cui un padre assiste al miracolo del sogno del proprio figlio?

Io vengo da quelle foreste, in cui i silenzi si mescolano alle nenie più antiche, e il mio passo si fa soffice come fiocco di neve. Ai loro muschi nostalgici io faccio ritorno.

Siediti al mio fianco, mia amata, se vuoi, e ascoltiamo assieme il suono della penna che non presi su un foglio lasciato volutamente bianco. Mano nella mano cerchiamo, se vuoi, l'assenza di ogni intento. Forse quel suono che dall'assenza di tratti si sprigiona ci guiderà alla prossima lettera. Forse saprò ancora una volta bloccare il turbinio del vento sussurrandogli lemmi mai pronunciati prima.
O forse ci diletteremo a giocare col vortice danzando la danza della quercia antica.
Saremo noi attenti lettori, autori o semplici testimoni? Poco importa.

Tutto questo tu già lo sai.
Sei nata dalla schiuma di quel mare e alle onde di quell'oceano torni.
Io rientro cauto nei miei boschi fatati a cercare bacche che hanno tante sfumature di colori quanti sono i suoni celati e ritrosi della lingua antica.

Che il foglio resti bianco, la penna posata al suo fianco. Che il foglio bianco divenga per entrambi la patria, il luogo del ritorno. Giocheremo forse ancora a mescolare di nuovo le nostre diverse lingue. Di fuoco la tua, di vento la mia.
Ma ora, e per lungo tempo, non chiedermi perché io non prenda più in mano la penna.
Ascolta piuttosto il canto del ritiro di un uomo che fu piccolo e grande nel tempo di un solo respiro. Di un uomo che ebbe troppo rispetto per ciò che si manifestava da poter pensare di poter aggiungere una sola Iod a quel miracolo.

E' giunta l'ora di coprirsi il volto col mantello rituale, chiudere la vista e l'udito all'indicibile, e lasciare parlare la voce mai sopita senza null'altro aggiungere.
Che la penna resti posata e silente sul foglio bianco, amata mia.
stampa la pagina

Commenti

  1. Risposte
    1. Grazie davvero. È sempre una esperienza emozionante cercare di descrivere i passaggi della propria scrittura verso il Silenzio

      Elimina

Posta un commento